11/2018

A cura di: Davide Tinti (Torino) e Rita Ortolano (Bologna)

Michael R. Rickels, Stephanie N. DuBose, Elena Toschi, Roy W. Beck, Alandra S. Verdejo, Howard Wolpert, Martin J. Cummins, Brett Newswanger, and Michael C. Riddell, for the T1D Exchange Mini-Dose Glucagon Exercise Study Group. Mini-Dose Glucagon as a Novel Approach to Prevent Exercise-Induced Hypoglycemia in Type 1 Diabetes. Diabetes Care 2018 May 18.

Importanza: I pazienti con diabete tipo 1 (DT1) che svolgono attività fisica spesso manifestano ipoglicemia per una serie di meccanismi fisiologici legati solo in parte all’insulina. Gli approcci terapeutici includono la prevenzione dell’ipoglicemia attraverso la riduzione della terapia insulinica o la somministrazione di carboidrati prima, durante o dopo l’attività fisica, anche se queste strategie spesso non sono sufficienti o, al contrario, possono provocare iperglicemie. È in fase di sviluppo una nuova formulazione di glucagone in forma acquosa stabile che permette una più semplice somministrazione e un trasporto più facile.

Obiettivo: Studiare l’effetto di micro-dosi di glucagone somministrate per via sottocutanea prima dell’esercizio per mitigare le ipoglicemie rispetto alla riduzione della terapia insulinica o la somministrazione di glucosio.

Metodi: Sono stati arruolati pazienti affetti da DT1 (18-64 aa), in terapia con microinfusore, che praticavano sport regolarmente, non obesi. La presenza di ipoglicemie severe, di retinopatia, di neuropatia periferica o autonomica, l’uso di altri farmaci erano criteri di esclusione. E’ stata eseguita al baseline una valutazione della VO2max, e una revisione dello schema terapeutico in funzione dello sforzo fisico, consigliando ai pazienti di inserire un nuovo sensore e set di infusione il giorno precedente l’esercizio. Prima dell’esecuzione di 4 diverse sessioni di esercizio, programmati a distanza uno dall’altro, il paziente doveva essere a digiuno da almeno 8 ore, avere una glicemia compresa tra 100-140 mg/dL, e non doveva aver somministrato boli di insulina nelle ultime 3 ore. L’attività fisica svolta (assegnata in maniera casuale) consisteva in un esercizio di intensità moderata, con camminata veloce su un tapis roulant, al fine di mantenere una frequenza cardiaca al 50-55% del massimale individuale. Ogni soggetto ha quindi svolto lo stesso esercizio in 4 condizioni differenti: nessun adattamento di terapia; riduzione dell’insulina basale (-50% per 45 minuti); somministrazione di glucosio (20 g all’inizio e 20 g dopo 30 minuti); somministrazione di glucagone (150 mcg). Ogni intervento, eccetto quello di somministrazione del glucosio, prevedeva la somministrazione di placebo (soluzione salina e finte riduzioni della basale). Sono stati raccolti campioni ematici a -30, -15, -5 minuti e all’inizio dell’esercizio; a 5, 10, 15, 25, 35 e 45 minuti dall’inizio dell’esercizio; e a 50, 55, 60, 75 minuti dall’esercizio, nella fase di recupero. Eventuali ipoglicemie durante l’esercizio determinavano l’interruzione dell’esperimento. Sono inoltre stati misurati lattati, b-OH-butirrato ed acidi grassi non esterificati plasmatici.

È inoltre stato somministrato un pasto standard a 70 minuti dall’inizio dell’attività, e sono stati prelevati campioni ematici a 90, 105, 120, e 135 minuti.

Outcome primario: livello del glucosio plasmatico durante l’esercizio e la fase di recupero. Outcome secondari: prevalenza di ipoglicemia ed iperglicemia e relative metriche del CGM, incluso il coefficiente di variazione, nei diversi bracci di trattamento durante l’esercizio e la fase di recupero.

Risultati: 15 pazienti hanno svolto l’esperimento in maniera completa, il 16esimo ha svolto solo una attività; età mediana 30 anni, 40% femmine, BMI medio 24, durata di diabete media 22 aa, valore di HbA1c medio 6.8%. La VO2max al baseline era 42 mL/kg/min. Durante lo svolgimento dell’attività fisica, la glicemia si è ridotta per i trattati con nulla o con riduzione della terapia insulinica, mentre è aumentata per i trattati con glucosio o glucagone (vedi Tabella 1).

Metriche del CGM

Controlli

Riduzione insulina

Glucosio

Glucagone

P-value

Durante l’esercizio

 

 

 

 

 

Glicemia media (mg/dL)

95 (91-103)

106 (102-124)

162 (140–212)

155 (132–166)

<0.001

Tempo < 70 mg/dL (%)

12 ± 20

10 ± 17

0 ± 0

1 ± 4

0.02

Tempo 70-180 mg/dL (%)

84 ± 22

89 ± 19

72 ± 33

80 ± 31

0.52

Tempo > 180 mg/dL (%)

4 ± 13

1 ± 4

28 ± 33

20 ± 32

0.007

Fase di recupero

 

 

 

 

 

Glicemia media (mg/dL)

129 (114-144)

139 (127-149)

130 (117-148)

147 (126-161)

0.16

Tempo < 70 mg/dL (%)

10 ± 9

8 ± 6

8 ± 6

6 ± 4

0.84

Tempo 70-180 mg/dL (%)

73 ± 12

71 ± 10

69 ± 20

67 ± 15

0.63

Tempo > 180 mg/dL (%)

16 ± 13

21 ± 12

23 ± 20

26 ± 16

0.24

Tabella 1. Adattata dal lavoro di Rickels et al. Metriche del CGM durante l’esercizio e la fase di recupero. I valori sono riportati come media ± DS o come mediana (range interquantile).

6 soggetti hanno presentato ipoglicemia tra i controlli, 5 nei trattati con riduzione della terapia insulinica, e nessuno tra quelli trattati con glucosio o glucagone ha presentato valori < 70 mg/dL, sia durante l’attività, che nella fase di recupero. 11 soggetti trattati con glucosio e 8 di quelli trattati con glucagone hanno presentato valori di glicemia > 180 mg/dl, mentre gli altri pazienti trattati ne hanno presentato 1 per gruppo. Tra quelli trattati con glucosio, 5 soggetti hanno presentato valori > 250 mg/dL, 1 tra quelli trattati con glucagone e nessuno tra quelli trattati con nessuna terapia o riduzione della terapia insulinica sia durante che nelle fasi successive all’esecuzione dell’attività fisica.

Nessuna differenza significativa è stata osservata per i livelli ematici di glucagone ed insulina sia durante che dopo l’attività, eccezion fatta per i livelli di glucagone nei pazienti trattati con il farmaco. Nessuna differenza è stata osservata dopo la somministrazione del pasto per nessuna delle metriche del CGM né per i livelli di lattati, b-OH-butirrato ed acidi grassi non esterificati plasmatici. Nessun effetto collaterale, quale nausea durante l’esercizio, è stato riportato.

Conclusioni e Rilevanza clinica: il glucagone per via sottocutanea (150 mcg) è una valida strategia per prevenire le ipoglicemie indotte dall’esercizio fisico nel paziente affetto da DT1. Inoltre, il glucagone è più efficace della riduzione della terapia insulinica pre-esercizio, la quale non si è dimostrata diversa dal non fare nessuna terapia. Inoltre, seppure l’efficacia del glucagone sia simile a quella del glucosio, l’utilizzo del farmaco appare ridurre in numero di iperglicemie post-esercizio, evitando il consumo di calorie non necessarie.


Commento di Davide Tinti: le alternative in corso di attività fisica al fine di ridurre il rischio di ipoglicemia, principale fattore limitante l’attività fisica in persone con diabete tipo 1, sono limitate. Accanto a ridurre la terapia insulinica, di certo misura utile ma non molto efficace, il consumo di carboidrati pareva essere l’unica misura possibile per evitare con sicurezza le ipoglicemie sia durante che dopo l’attività. In questo studio, Rickels e gli altri membri del Gruppo di Studio ci dimostrano che il glucagone a piccole dosi, già testato con successo per risolvere ipoglicemie lievi o moderate negli stessi pazienti, sia efficace quanto lo zucchero per bocca, evitando iperglicemie di rimbalzo e limitando l’assunzione di calorie non necessarie derivate dal glucosio.

L’efficacia del glucagone in micro-dosi anche durante l’attività fisica sembra quindi spianare la strada per i pancreas artificiali bi-ormonali, attualmente in fase di test clinico e criticati negli ultimi anni in quanto ritenuti efficaci quanto quelli mono-ormonali nella gestione della glicemia nel paziente con diabete. Tuttavia, si evince da questo studio, che la riduzione della terapia insulinica non sembra essere efficace quanto lo è il glucagone per via sottocutanea e, seppur altri studi sulla stabilità della molecola a temperatura ambiente, includendo l’età pediatrica, e con un design robusto siano necessari, si aprono sempre più prospettive per il paziente con diabete insulino-trattato.
 

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Cools M, Nordenström ARobeva RHall JWesterveld PFlück CKöhler BBerra MSpringer ASchweizer KPasterski V; COST Action BM1303 working group 1. Caring for individuals with a difference of sex development (DSD): a Consensus Statement. Nat Rev Endocrinol. 2018 May 16. doi: 10.1038/s41574-018-0010-8.

Importanza: questa Consensus costituisce un utile strumento applicabile nella gestione dei pazienti con differenze dello sviluppo sessuale (DSD). È il frutto del lavoro multidisciplinare di un gruppo di esperti europeo (COST Action BM 1303 working group 1). 

Obiettivo: fornire uno strumento per il management degli individui con DSD prendendo in considerazione anche il rischio di complicanze a lungo termine.

Introduzione: i DSD comprendono un largo gruppo di condizioni congenite del tratto urogenitale e riproduttivo in cui è presente un’alterazione dello sviluppo del sesso cromosomico, gonadico, e/o anatomico. La nomenclatura rimane controversa e l’attuale classificazione si basa sulla genetica (46,XY DSD, 46,XX DSD, Sex chromosomal DSD). La perdita di questi pazienti al follow-up e in particolar modo dopo la transizione all’equipe dell’adulto non consente di avere informazioni sul rischio di complicanze a lungo termine e sulla qualità di vita; per questo sono nati dei progetti con lo scopo di valutare gli outcome di questi pazienti anche attraverso lo sviluppo di registri internazionali (es. I-DSD Registry e I-CAH Registry). 

Metodi: questa Consensus è stata creata all’interno del gruppo COST ACTION “DSDnet”. Il documento prodotto è stato pubblicato sul sito DSDnet ad Agosto 2017 e approvato a Settembre 2017.

Piano di cura personalizzato:

Consenso: prima di intraprendere qualsiasi procedura diagnostica e/o terapeutica è necessario informare il paziente o i genitori/ tutori legali se minore. Per le procedure irreversibili come quelle di chirurgia dei genitali esterni è consigliabile posticipare l’intervento a quando il paziente è capace di prendere le sue decisioni.

Indagini diagnostiche: tutti i pazienti con DSD necessitano di approfondimenti di genetica-molecolare. Nonostante l’avvento di nuove tecniche circa il 50% dei pazienti con 46, XY DSD non ottiene una diagnosi genetica. Gli esami ormonali sono ugualmente importanti e attualmente i metodi cromotografici e di spettrometria di massa sono i più raccomandati ma non sempre disponibili o standardizzati.

Supporto psicologico: è fondamentale alla diagnosi ma anche durante le eventuali decisioni da prendere. Inoltre si raccomanda che sia i pazienti che le loro famiglie mantengano un regolare contatto con il centro. Si raccomanda di cominciare a informare i propri figli sin dalle prime epoche di vita con un linguaggio appropriato per età. Molti pazienti con DSD riferiscono ansia nell’affrontare la loro attività sessuale e quindi necessitano di supporto psicologico.

Transizione: molti pazienti adulti riferiscono di avere difficoltà quando vengono presi in carico dall’endocrinologo dell’adulto. Idealmente lo specialista dell’adulto dovrebbe essere coinvolto precocemente nel processo di transizione.

Cure multidisciplinari in età adulta: riguardano eventuali terapie ormonali sostitutive nei pazienti gonadectomizzati, il buon controllo della funzionalità surrenalica nei pazienti con iperplasia surrenalica congenita (ISC) femmine per la fertilità. Tecniche di fecondazioni assistite sono state eseguite dopo trapianto di utero in pazienti con sindrome di Rokitansky. La gestione delle ipoplasie vaginali per esempio tramite le dilatazioni vaginali è complessa e controversa.

Implementare linee guida: tramite la centralizzazione dei pazienti in centro di riferimento con equipe multidisciplinari e attraverso l’ausilio dell’endo-ERN.

Raccolta dati nelle diverse età: la valutazione dei genitali dovrebbe essere limitata al minimo ed eseguita con grande cautela ed esplicito consenso, incluso per la documentazione iconografica. Nei maschi ipovirilizzati la descrizione dei genitali esterni è facilitata dall’utilizzo dell’external masculization score (EMS). La distanza ano-genitale correla con l’esposizione prenatale agli androgeni. Le femmine in epoca prepuberale non necessitano di valutazione vaginale. In età puberale per eventuale utilizzo delle dilatazioni vaginali potrebbe essere utile eseguirle in anestesia.

Chirurgia ricostruttiva dei genitali: non vi sono ancora consensus riguardo ai tempi, l’indicazione e la scelta chirurgica. Gli interventi possono comportare dei danni alle vie urinarie e al pavimento pelvico che purtroppo spesso non vengono documentate.

Tumori a cellule germinali: il rischio è più elevato nelle donne con disgnesia gonadica. Sarebbe prudente eseguire biopsie gonadiche in età adolescenziale nei 46,XY o 45,X/46,XY DSD.

Peso alla nascita: nei neonati pretermine e con basso peso alla nascita vi è un’aumentata incidenza di criptorchismo e ipospadia. Tuttavia nei pazienti con insensibilità agli androgeni non sembra esservi una maggiore incidenza di basso peso alla nascita. Pertanto gli androgeni non sembrerebbero influenzare la crescita ponderale e lo sviluppo uretrale e si suppone l’influenza piuttosto di fattori non ancora noti.

Anomalie associate: alcuni difetti genetici causativi di DSD si associano ad altre anomali che andranno indagate.

Crescita: pazienti con cariotipo 45,X/46,XY presentano un maggior rischio di bassa statura definitiva come i pazienti con sindrome di Turner, tuttavia il contributo dei cromosomi sessuali sulla statura definitiva non è ancora nota.

Osteroporosi: tipica dei pazienti con DSD soprattutto se gonadectomizzati, e delle donne con ISC  per l’eccessiva esposizione a terapia con glucocorticoidi.

Obesità, diabete, ipertensione e malattia cardiovascolare: i pazienti con sex chromosome DSD hanno un maggiore rischio di malattie autoimmuni e sindrome metabolica. Nelle pazienti con CAIS è stata riportata un maggiore incidenza di obesità, insulino-resistenza e dislipidemia probabilmente dovuti a un’alterata funzione del recettore per gli androgeni. Le ISC presentano maggiore rischio di obesità, ipertensione e ridotta tolleranza glucidica per esposizione alle terapie con glucocorticoidi. Pazienti con deficit di 11-idrossilasi e 17-alfa-idrossilasi/17-20 liasi hanno maggiore rischio intrinseco di ipertensione. L’ipertensione può essere anche secondario a terapia con fludrocortisone.

Coinvolgimento del SNC: nei pazienti con sex chromosome DSD vi è un’aumentata incidenza di disturbi motori, cognitivi e neuropsichiatrici. Ansia e morbidità psichiatrica sono più frequenti nelle donne con ISC. Dubbio il ruolo dell’esposizione in epoca prenatale al desametasone per prevenire la virilizzazione dei genitali esterni e perdita della memoria a breve termine (saranno necessari dati a lungo termine).

Dati ormonali e genetici: andranno archiviati per future analisi su larga scala.

Identità di genere: l’orientamento sessuale e di comportamento dovrebbero essere distinti dall’identità di genere. Nel DSM-5 i criteri diagnostici per la disforia di genere sono cambiati per riflettere questa distinzione.

Qualità della vita: alcuni studi su ampie coorti di pazienti con XY DSD riferiscono normale qualità di vita. Tuttavia altri studi suggeriscono una qualità di vita lievemente ridotta per quanto riguarda gli aspetti sociali e psicologici.

Conclusioni: nella gestione dei pazienti con DSD vi sono ancora molte questioni irrisolte soprattutto per quanto riguarda la gestione dei pazienti adulti. Stabilire una precisa correlazione genotipo-fenotipo e colmare le lacune è il principale obiettivo della ricerca futura. I dati sul rischio cardiovascolare, metabolico e sulle comorbidità neuropsicologiche sono pochi e la ricerca dovrà cercare di ampliare le casistiche con dati a lungo termine. Sfida per il futuro è creare dei team multidisciplinari dedicati alla cura dei pazienti DSD e per tale motivo si stanno creando network come l’endo-ERN in Europa e il DSD Translational Research Network negli USA.

Commento di Rita Ortolano: questa  Consensus è un importante contributo da parte di un gruppo esperto che  vuole fornire un orientamento agli specialisti per la gestione di categorie di pazienti per le quali non esistono delle linee guida. Inoltre stimola il lettore appassionato all’argomento di sforzarsi nella precisa raccolta dei dati di questi pazienti, e di programmare degli studi per implementare i dati disponibili in lettura su possibili complicanze a lungo termine.


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Lajic S, Karlsson L, Nordenström A. Prenatal Treatment of Congenital Adrenal Hyperplasia: Long-Term Effects of Excess Glucocorticoid Exposure. Horm Res Paediatr. 2018 May 9:1-10. doi: 10.1159/000485100.

Importanza: revisione della letteratura sugli effetti a lungo-termine cognitivi e metabolici del trattamento prenatale dell’iperplasia surrenalica congenita (ISC) con desametasone.  

Obiettivo: fornire uno strumento agli specialisti per informare le famiglie suscettibili di tale trattamento sui benefici e i rischi. L’ISC da deficit di 21-idrossilasi è una delle più comuni malattie autosomiche recessive (1:10.000-15.000 nati). Nella sua forma classica l’eccesso di androgeni in epoca prenatale determina virilizzazione dei genitali esterni femminili. Il trattamento prenatale con desametasone previene l’eccesso di androgeni prenatale e dunque riduce o migliora tale virilizzazione nelle femmine. Le donne con precedente figlio affetto sarebbero dunque suscettibili di tale trattamento che per essere efficace deve essere intrapreso entro la 7° settimana di gestazione ancor prima dunque di conoscere il sesso del feto. Solo le femmine affette da ISC proseguiranno il trattamento con desametasone per tutta la gravidanza, i feti maschi e le femmine non affette potranno sospenderlo. In sintesi per prevenire la virilizzazione in un feto femmina subiscono il trattamento altri 7/8 feti sani o maschi. L’utilizzo di nuove metodiche come l’identificazione del sesso fetale su sangue materno e lo studio genetico su DNA fetale circolante dovrebbero ridurre drasticamente i tempi di esposizione dei neonati maschi e femmine non affette a tale trattamento ma tali metodiche non sono disponibili in tutti i centri. Sin da 1999 tutti i pazienti trattati in epoca prenatale in Svezia sono stati seguiti secondo uno specifico protocollo (PREDEX study). L’introduzione nella pratica clinica dei corticosteroidi per prevenire la displasia broncopolmonare nei pretermine ha fatto emergere dati di verosimili complicanze a lungo termine inerenti il rischio cardiovascolare e la sfera cognitiva. Queste segnalazioni dunque sono state traslate al desametasone ma sinora i dati disponibili sono solo su sperimentazioni in laboratorio su cavie come topi che non riflettono bene la condizione umana. Gli effetti sulla madre come edema, incremento ponderale, strie cutanee, disturbi del sonno sembrerebbero transitori e trascurabili, inoltre nelle madri trattate non è stato documentato aumentato rischio di insulinoresistenza. Gli studi sulla sfera cognitiva e comportamentale dei pazienti trattati sembrerebbe dimostrare una riduzione della memoria a breve termine e delle funzioni esecutive più frequenti nelle femmine rispetto ai maschi trattati e maggiori rispetto ai controlli non trattati. Rispetto al rischio cardiovascolare (BMI, ipertensione, dislipidemia, insulinoresistenza, ipercortisolismo) non vi sono sufficienti dati a lungo termine e quelli disponibili sono contraddittori.                        

Conclusioni: le modificazioni della metilazione del DNA (epigenetica) indotti dall’esposizione al desametasone sarebbero il meccanismo patogenetico più plausibile alla base di tali complicanze a lungo-termine. Gli autori concludono che gli studi eseguiti per la sfera cognitiva e comportamentale evidenziando risultati contraddittori ma che sembrerebbero mostrare un effetto negativo sulle funzioni esecutive per lo più nelle femmine. Dovranno essere eseguiti degli studi per valutare piuttosto gli effetti cardiovascolari e metabolici a lungo termine.           

Commento di Rita Ortolano: questa revisione aggiunge poco ai dati in precedenza pubblicati dagli stessi autori sullo studio PREDEX, ma fornisce lo spunto a gruppi di studio e follow-up nei centri che aderiscono allo studio PREDEX per poter ampliare la casistica e offrire dati inerenti il rischio di complicanze metaboliche. Di fatto suggerisce che l’effetto sulle funzioni esecutive è dimostrato. Apre ovviamente il dibattito sul rapporto costo/beneficio di questo tipo di trattamento.


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