n. 08 - novembre 2022

 Giuseppa Patti

Progressi terapeutici nella gestione della iperplasia surrenalica congenita

Management challenges and therapeutic advances in congenital adrenal hyperplasia

Nat Rev Endocrinol. 2022 Jun;18(6):337-352. doi: 10.1038/s41574-022-00655-w. Epub 2022 Apr 11

https://www.nature.com/articles/s41574-022-00655-w

Malappa A1, Merke D P 2,3.

1National Institutes of Health Clinical Center, Bethesda, MD, USA.

2National Institutes of Health Clinical Center, Bethesda, MD, USA. dmerke@nih.gov.

3Eunice Kennedy Shriver National Institute of Child Health and Human Development, Bethesda, MD, USA. dmerke@nih.gov.

Si tratta di una splendida messa a punto sulle nuove terapie nella gestione della iperplasia surrenalica congenita

Background: La gestione della iperplasia surrenalica congenita  è una sfida e gli obiettivi generali del trattamento sono prevenire crisi surrenali che possono risultare fatali, ottimizzare la crescita lineare e lo sviluppo puberale dei soggetti in età evolutiva e migliorare la qualità della vita nei soggetti affetti. Le formulazioni standard di glucocorticoidi non riescono a replicare il ritmo circadiano del cortisolo e non esercitano un controllo ottimale sulla produzione di androgeni surrenalici determinata da un’iperproduzione dell’ormone adrenocorticotropo. Fino al 2018, le preparazioni di idrocortisone disponibili erano compresse da 10 mg in Europa e compresse da 5 mg negli Stati Uniti. Considerando che queste dosi non erano appropriate per il trattamento di neonati e bambini piccoli con insufficienza surrenalica, è stata sviluppata una nuova formulazione di idrocortisone per soddisfare le esigenze di dosaggio dei pazienti pediatrici. Al fine di personalizzare  la terapia con glucocorticoidi e migliorare la compliance dei pazienti affetti, sono state sviluppate nuove strategie farmacologiche che imitano al meglio la secrezione fisiologica di cortisolo.

Metodi: Revisione narrativa volta a sintetizzare quanto pubblicato sulle nuove armi terapeutiche nella gestione dei soggetti affetti da iperplasia surrenalica congenita

Sintesi : I tentativi di adattare la dose di idrocortisone e sostituire la secrezione di cortisolo nel modo più fisiologico hanno recentemente mostrato progressi significativi ed è stata specificamente progettata una preparazione di idrocortisone a rilascio immediato per soddisfare le esigenze di dosaggio di neonati e bambini con insufficienza surrenalica. Nuovi approcci terapeutici nella gestione della iperplasia surrenalica congenita includono:

1-  Farmaci in grado di mimare in modo più fisiologico possibile il ritmo circadiano del cortisolo : formulazione di idrocortisone a rilascio ritardato (Chronocort, Plenadren) e infusione continua di idrocortisone sottocutaneo

2-  Terapie volte a ridurre la produzione di androgeni. Questi includono inibitori diretti della steroidogenesi corticosurrenale (inibitori della 17-idrossilasi)

3- Agenti soppressori dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene (come gli antagonisti del recettore 1 del fattore di rilascio della corticotropina, anticorpi  monoclonali specifici per l'ormone adrenocorticotropo e gli antagonisti del recettore della melanocortina di tipo 2).

4- Terapie cellulari e geniche Studi preclinici stanno esplorando il ruolo delle terapie cellulari riparatrici ed è anche in fase di sviluppo una prima terapia genica ricombinante a base di virus adeno-associati negli individui con sindrome adrenogenitale classica.

Obiettivo comune di queste nuove terapie sarà il miglioramento del controllo della malattia e della qualità di vita dei soggetti affetti

 

 Andrea Scozzarella

Index60, un possibile nuovo alleato nello screening del diabete di tipo I

The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, 2022, 107, 2784–2792 DOI:10.1210/clinem/dgac440

 https://doi.org/10.1210/clinem/dgac440

Titolo originale: Index60 Is Superior to HbA1c for Identifying Individuals at High Risk for Type 1 Diabetes

L’index 60 è superiore all’emoglobina-glicata nell’identificare gli individui ad alto rischio per diabete di tipo 1

Jacobsen LM1, Bundy BN2, Ismail HM3, Clements M4, Warnock M2, Geyer S2, Schatz DA1, Sosenko JM5

1Division of Pediatric Endocrinology, University of Florida, Gainesville, FL 32610, USA.

2Health Informatics Institute, University of South Florida, Tampa, FL 33620, USA.

3Department of Pediatrics, Indiana University, Indianapolis, IN 46202, USA.

4Pediatric Endocrinology, Children's Mercy, Kansas City, MO 64111, USA.

5Division of Endocrinology, University of Miami, Miami, FL 33136, USA.

Background:

Il diabete di tipo I (T1D) è un disordine progressivo in cui la perdita di funzione della beta cellula inizia anni prima della diagnosi per poi subire una rapida progressione nel periodo strettamente antecedente l’esordio della malattia. Una diagnosi precoce potrebbe far beneficiare di trattamenti in grado di ridurre la perdita di insulina endogena, posticipando quanto piu possibile l’esordio franco della malattia stessa. L’emoglobina glicata (HbA1c) è un noto marker utilizzato nella pratica clinica per stabilire il grado di controllo metabolico, fornendo una media dei livelli di glucosio degli ultimi 3 mesi. L’American Diabetes Associations (ADA) definisce prediabete valori di HbA1c compresi tra 5.7% e 6.5% (39-46 mmol/mol). Pochi dati sono presenti circa l’affidabilità dell’Hb1Ac ≥  5.7 nell’identificare sia soggetti ad alto rischio di progressione che soggetti con caratteristiche tipiche del T1D. Infatti l’Hb1Ac, pur fornendo indicazioni circa le medie glicemiche, non fornisce indicazioni dirette sulla funzionalità della beta cellula, rischiando di risultare scarsamente specifica sia nell’identificare soggetti ad alto rischio di progressione verso la malattia sia per quelli con caratteristiche tipiche associate al T1D. Le caratteristiche cliniche peculiari dei soggetti affetti da T1D sono: ridotta produzione insulinica, giovane età alla diagnosi, bassi valori di body mass index (BMI) e la presenza di autoanticorpi. L’Index60 è una misura combinata di glucosio e C-peptide basata sul logaritmo di C-peptide a digiuno, glucosio e C-peptide a 60-minuti dopo carico orale di glucosio (OGTT), che è stata sviluppata come marker intermedio o prediagnostico per il T1D.

L’obiettivo di questo studio era quello di confrontare la soglia standard del prediabete mediante Hb1Ac (> 5.7%) con Index60 per identificare individui ad alto rischio di sviluppare T1D e con caratteristiche cliniche tipiche.

Metodi:

Sono stati inclusi nello studio pazienti parenti di individui affetti da T1D con 2 o + Anticorpi positivi (Ab) (GADA, IAA, IA-2A, o ZnT8A) e sono stati sottoposti a OGTT e misurazione di HbA1c basale, e almeno uno fra OGTT e valutazione della HbA1c.

Index60 è calcolato nel seguente modo: log fasting C-peptide, 60-minute C-peptide, and 60-minute glucose from OGTTs [Index60=0.3695*(log fasting C-peptide in ng/mL) + 0.0165*(60-min glucose in mg/dL)-0.3644*(60-min C-peptide in ng/mL)].

Al tempo 0 i pazienti sono stati divisi in due categorie basandosi sui seguenti criteri:

  1. Stadio 1: multipla positività anticorpale con glucosio a digiuno e glucosio dopo OGTT nella norma
  2. Stadio 2: multipla positività anticorpale associata a disglicemia (impaired fasting glucose 100-125 mg/dL, impaired glucose tolerance con valori di glucosio a 2 ore compresi tra 140-199 mg/dL, o livelli di glucosio >200 a 30’, 60’, 90’)

Sono stati esclusi dallo studio gli individui con diagnosi clinica di diabete precedente o alla determinazione della positività degli Ab.  Il valore soglia di prediabete per Index60 è stata scelto in modo che il numero di soggetti nel gruppo Index60 fosse equivalente a quelli del gruppo con HbA1c ≥ 5,7. Tale soglia è stata ottenuta identificando il valore di Index60 (≥ 2.04) che aveva la stessa distribuzione statistica dell’HbA1c ≥ 5.7%.

Risultati:

Dei 3855 individui candidati 2887 presentavano i criteri clinico-laboratoristici per entrare a far parte dello studio. Di questi, 1081 hanno avuto diagnosi di diabete e pertanto sono stati esclusi.

I restanti 1806 partecipanti dovevano essere privi di diabete per un periodo di follow-up medio di 3,6 mesi.

Per meglio esaminare la differenza tra Index60 e HbA1c nella predizione del rischio, è stato confrontato il gruppo con il 18% più alto della distribuzione dell'Indice60 (≥ 2,04) con il gruppo con il 18% più alto della distribuzione dell’ HbA1c (≥ 5.7%). Ne risultava un gruppo di 506 partecipanti che non erano mutuamente esclusivi; in particolare, 238 partecipanti erano comuni a entrambi i gruppi, di cui 143 superavano entrambe le soglie.

Nei gruppi mutuamente esclusivi, gli individui che superavano l'Index60 ≥ 2.04 avevano un'incidenza cumulativa maggiore di diabete di tipo 1 rispetto a quelli che superavano l'HbA1c ≥ 5.7% (P <0.0001).

Tra i soggetti che superavano sia la soglia per HbA1c ≥ 5,7% che per Index60 ≥ 2,04 alla stessa visita, l'incidenza cumulativa per T1D a 1 anno ha superato il 90%. Nello specifico, l'incidenza cumulativa a 1 anno per quelli che superavano l'Index60 ≥ 2.04 era del 51,5% mentre per l'HbA1c ≥ 5.7% era del 33.1%.

A 5 anni, il rischio di T1D era molto più alto nel gruppo con solo Index60 e nel gruppo Index60 più HbA1c (94.6% e 99.0%, rispettivamente), mentre era del 66.1% nel gruppo solo con HbA1c. L'effetto predittivo di Index60 è evidente anche nel tasso annuo di diabete di tipo 1 per coloro che superano la soglia di HbA1c rispetto a coloro che superano la soglia Index60, rispettivamente (27.3% vs 64.9%).

Dei soggetti appartenenti al gruppo HbA1c > 5.7% 145 (55.1%) erano ad uno stadio 2 di T1D mentre nel gruppo Index60 260 (97.0%) individui erano allo stadio 2.

Inoltre, il gruppo con Index60 ≥ 2.04 presentava le caratteristiche cliniche tipiche del T1D, ovvero erano soggetti con giovane età, con BMI più basso, con maggiore numero di autoanticorpi e con peptide C più basso rispetto a quelli con HbA1c ≥ 5.7% (P <0.0001 per tutti i confronti).

Anche per quanto riguarda i profili basali metabolici risultavano differenze significative con il gruppo Index60 ≥ 2.04 avente un'area del peptide C inferiore sotto la curva (AUC), una risposta iniziale del peptide C inferiore (peptide C di 30-0 minuti) e un glucosio più elevato AUC al basale (p <0.0001 per tutti i confronti).

Conclusioni

Alla luce di tali risultati, Index60 ≥ 2.04 rappresenta un promettente marker diagnostico sia per la diagnosi di T1D che come soglia del prediabete. Il mancato utilizzo di questo parametro potrebbe portare oltre che ad un ritardo nella diagnosi, anche ad una potenzialmente più severa presentazione della malattia ed a una mancata opportunità di trattare in modo preventivo la patologia.  Un limite all’utilizzo di tale strumento è la necessita di eseguire un OGTT, test sicuramente meno pratico rispetto all’esecuzione dell’HbA1c. Anche se individui con Index60 > 2.04 sono a maggior rischio di sviluppare T1D e presentano caratteristiche fenotipiche peculiari tipiche di questo disordine rispetto a soggetti con HbA1c ≥ 5.7%, purtroppo manca ancora una soglia esatta per identificare un prediabete che evolva certamente in diabete.  L’Index 60 è risultato comunque superiore all’Hb1Ac nell’identificare il prediabete in soggetti con Ab positivi e pertanto i risultati di questo studio sembrano giustificarne l’utilizzo.

 

 Anna Di Sessa

Nuove prospettive sulla correlazione tra obesità infantile e funzione cognitive: i risultati dello studio clinico randomizzato ActiveBrains

JAMA Netw Open. 2022 Aug 1;5(8):e2227893. doi: 10.1001/jamanetworkopen.2022.27893

https://jamanetwork.com/journals/jamanetworkopen/fullarticle/2795759

Titolo originale: Effects of an Exercise Program on Brain Health Outcomes for Children With

Overweight or Obesity: The ActiveBrains Randomized Clinical Trial.

Effetti di un programma di esercizio fisico sulle funzioni cognitive nei bambini con sovrappeso/ obesità: lo studio clinico randomizzato ActiveBrains

Francisco B Ortega 1, 2, 3, Jose Mora-Gonzalez 1, Cristina Cadenas-Sanchez 1, Irene Esteban-Cornejo 1, Jairo H Migueles 1, 3, 4, Patricio Solis-Urra 1 ,5, Juan Verdejo-Román 6 ,7, María Rodriguez-Ayllon 1, 8, Pablo Molina-Garcia 1,9, Jonatan R Ruiz 1, 3 ,10, Vicente Martinez-Vizcaino 11, 12, Charles H Hillman 13, 14, Kirk I Erickson 1,15 ,16, Arthur F Kramer 13 ,17, Idoia Labayen 18 ,19, Andrés Catena 20

1PROFITH "PROmoting FITness and Health Through Physical Activity" Research Group, Sport and Health University Research Institute (iMUDS), Department of Physical Education and Sports, Faculty of Sport Sciences, University of Granada, Granada, Spain.

2Faculty of Sport and Health Sciences, University of Jyväskylä, Jyväskylä, Finland.

3Department of Biosciences and Nutrition, Karolinska Institutet, Huddinge, Sweden.

4Department of Health, Medicine and Caring Sciences, Linköping University, Linköping, Sweden.

5Faculty of Education and Social Sciences, Universidad Andres Bello, Viña del Mar, Chile.

6Department of Personality, Assessment and Psychological Treatment and Mind, Brain, and Behavior Research Center (CIMCYC), University of Granada, Granada, Spain.

7Laboratory of Cognitive and Computational Neuroscience (UCM-UPM), Centre for Biomedical Technology (CTB), Madrid, Spain.

8Department of Epidemiology, Erasmus MC University Medical Center, Rotterdam, the Netherlands.

9Biohealth Research Institute, Physical Medicine and Rehabilitation Service, Virgen de las Nieves University Hospital, Granada, Spain.

10Instituto de Investigación Biosanitaria, ibs. Granada, Granada, Spain.

11Health and Social Research Center, Universidad de Castilla La Mancha, Cuenca, Spain.

12Faculty of Health Sciences, Universidad Autónoma de Chile, Talca, Chile.

13Department of Psychology, Northeastern University, Boston, Massachusetts.

14Department of Physical Therapy, Movement and Rehabilitation Sciences, Northeastern University, Boston, Massachusetts.

15Brain Aging & Cognitive Health Lab, Department of Psychology, University of Pittsburgh, Pittsburgh, Pennsylvania.

16College of Science, Health, Engineering, and Education, Murdoch University, Perth, Western Australia.

17Beckman Institute, University of Illinois at Urbana-Champaign, Champaign.

18Department of Health Sciences and Institute for Innovation & Sustainable Food Chain Development (IS-FOOD), Public University of Navarra, Pamplona, Spain.

19IdiSNA, Navarra Institute for Health Research, Pamplona, Spain.

20School of Psychology, University of Granada, Granada, Spain.

Background

L’obesità infantile rappresenta un problema di salute pubblica su scala mondiale. In aggiunta all’aumentato rischio cardiometabolico, è stato descritto anche un impatto negativo sulle funzioni cognitive nei bambini con obesità. Ad oggi, le armi più efficaci per combattere tale epidemia sono rappresentate dalle modifiche alimentari e comportamentali. A tal proposito, evidenze ancora limitate suggeriscono un ruolo positivo dell’esercizio fisico nel mitigare l’influenza dell’obesità in età pediatrica sulle funzioni cognitive.

Lo studio si propone di valutare gli effetti di un programma di esercizio fisico della durata di 20 settimane sul funzionamento cognitivo (incluse intelligenza, funzioni esecutive, performance scolastica e valutazione strumentale del volume dell’ippocampo) nei bambini con obesità e di studiarne i potenziali mediatori.

Metodi

Lo studio clinico randomizzato ActiveBrains ha coinvolto 109 bambini con sovrappeso/obesità di età compresa tra 8 e 11 anni afferenti ai due principali ospedali pediatrici di Granada, randomizzati in due gruppi (57 pazienti nel gruppo di trattamento (sottoposto al programma di esercizio) e 52 in quello di controllo). Di questi, 90 sono stati successivamente inclusi nelle analisi per-protocol (47 nel gruppo di esercizio e 43 in quello di controllo). Tutti i partecipanti avevano ricevuto raccomandazioni sullo stile di vita. Mentre il gruppo di controllo ha continuato le proprie attività routinarie, il gruppo di trattamento è stato sottoposto ad almeno tre sessioni (delle 5 offerte) di esercizio supervisionato a settimana. Ogni sessione aveva una durata di 90 minuti (di cui 60 di esercizio aerobico e 30 di esercizio di resistenza). Il funzionamento cognitivo è stato valutato mediante test standardizzati e il volume ippocampale tramite risonanza magnetica. Tutti i 109 partecipanti dello studio sono stati inclusi nelle analisi intention-to-treat, mentre di questi solo 90 in quelle per protocol.

Risultati

I 109 partecipanti dello studio (58.7% maschi) avevano un BMI medio di 26.8±3.6 SD ed un’età media di 10 anni ±1.1 SD al momento dell’arruolamento.  Il gruppo di trattamento è risultato allenarsi per più di un’ora al 70% della propria frequenza cardiaca massima.

L’intelligenza cristallizzata ha mostrato un miglioramento significativo nel gruppo di trattamento rispetto al gruppo di controllo (p <0 .001). Inoltre, un altrettanto significativo miglioramento dell’intelligenza totale si è verificato nel gruppo di trattamento rispetto al gruppo di controllo (p < 0.001).

E’ stato riportato, inoltre, un effetto positivo dell’esercizio anche sul punteggio composto (derivato da due test) della flessibilità cognitiva (p =0.005). Tali risultati si sono confermati anche nelle analisi intention-to-treat dopo correzioni multiple (tutte le p<0.05). Un piccolo ma positivo effetto dell’esercizio si è verificato anche nella performance scolastica globale (p = 0.03), parzialmente mediato (30-39%) dai miglioramenti indotti dall’esercizio nella flessibilità cognitiva.

Tuttavia, inibizione, memoria di lavoro, volume dell’ippocampo e di altre subregioni cerebrali (subregioni ippocampo e corteccia prefrontale) valutate sia mediante risonanza magnetica che tramite approcci analitici più ampi (ad esempio analisi morfologica delle strutture cerebrali subcorticali e del volume cerebrale totale) non sono risultati essere influenzati dall’esercizio (tutte le p> 0.05).

Come atteso, l’esercizio ha incrementato la performance del fitness cardiorespiratorio, valutata mediante tempo di esaurimento muscolare al tapis roulant (p= 0.04). Tali modifiche si sono rivelate essere responsabili per il 10-20% degli effetti osservati sull’intelligenza cristallizzata e sulla performance scolastica globale.

Nel complesso, l’effect size si è mantenuto costante per tutti gli effetti osservati sul funzionamento cognitivo valutati tenendo conto di età, sesso e sviluppo puberale, ad eccezione dell’intelligenza cristallizzata, per la quale l’efficacia dell’esercizio è stata maggiore nei soggetti più giovani, di sesso maschile e prepuberi. Inoltre, i bambini con uno stato socioeconomico più basso hanno mostrato più ampi miglioramenti nell’intelligenza totale e in quella fluida.

Conclusioni

I risultati di questo studio clinico randomizzato suggeriscono che un programma di esercizio fisico (aerobico e di resistenza) della durata di 20 settimane svolto ad un’intensità relativamente alta influenza positivamente l’intelligenza totale e quella cristallizzata, la flessibilità cognitiva e, in misura minore, la performance scolastica nei bambini con sovrappeso/obesità durante il delicato periodo che precede la pubertà. Al contrario, le altre funzioni esecutive, il volume dell’ippocampo o di altre regioni cerebrali correlate non sembrano risentire dell’effetto positivo dell’esercizio fisico.

Pur trattandosi di uno sudio di notevole portata ed estremamente articolato che amplia le attuali scarse evidenze sull’argomento, non è stato possibile dimostrare le modifiche strutturali e funzionali delle strutture cerebrali coinvolte nel miglioramento del funzionamento cognitivo così come i tempi necessari per la loro osservazione. In aggiunta a problematiche legate alla durata dell’intervento o alla numerosità del campione, ciò potrebbe essere anche ascrivibile a modifiche cerebrali a livello cellulare o molecolare non identificabili mediante risonanza magnetica.

Uno stile di vita attivo in epoca prepuberale può favorire un più sano sviluppo del bambino con obesità sia sul piano cardiometabolico che su quello cognitivo.

Pertanto, i risultati dello studio rafforzano ulteriormente la centralità della promozione di programmi di prevenzione/ terapeutici basati sulle modifiche comportamentali nel bambino con obesità al fine di contrastarne lo sviluppo del vasto spettro di complicanze ad essa associate.