n. 02 - maggio 2022

 a cura di Andrea Esposito

Una possibile alternativa terapeutica per maschi adolescenti con ipogonadismo ipogonadotropo

J Clin Endocrinol Metab. 2022 Mar 11;dgac145. doi: 10.1210/clinem/dgac145. Online ahead of print.
https://academic.oup.com/jcem/advance-article/doi/10.1210/clinem/dgac145/6547236?login=true

Titolo originale: Corifollitropin Alfa Combined with Human Chorionic Gonadotropin in Adolescent Males with Hypogonadotropic Hypogonadism

Corifollitropina alfa combinata con gonadotropina corionica umana in maschi adolescenti con ipogonadismo ipogonadotropo

R Ravi Shankar1, Suneri Shah1, Hee-Koung Joeng1, Geraldine Mendizabal1, Julia R DiBello1, Yanfen Guan1, Barbara J Stegmann2, Eberhard Nieschlag3, Hermann M Behre4, Ronald S Swerdloff5, Michelle C Fox1, Keith D Kaufman1

1Merck & Co., Inc., Kenilworth, NJ, USA.
2Organon & Co., Inc, Jersey City, NJ, USA.
3Centre for Reproductive Medicine and Andrology, University Hospital Münster, Münster, Germany.
4Centre for Reproductive Medicine and Andrology, University Hospital, Halle, Germany.
5Lundquist Research Institute, David Geffen School of Medicine at UCLA, Torrance, CA USA.

L’obiettivo principale della terapia degli adolescenti maschi con ipogonadismo ipogonadotropo è incrementare i livelli circolanti di testosterone con il conseguente sviluppo dei caratteri sessuali secondari che riduce il forte impatto psicosociale di tale condizione. Tale scopo può essere raggiunto sia con la somministrazione di testosterone esogeno sia con la somministrazione di hCG che stimola la produzione endogena di tale ormone da parte delle cellule del Leydig. Tuttavia, un importante aspetto da tenere in considerazione è la stimolazione della spermatogenesi per garantire la fertilità futura. Tale obiettivo può essere ottenuto tramite somministrazione di FSH edd hCG con migliori effetti a livello testicolare quando la somministrazione dell’FSH precede quella dell’hCG. Gli effetti di tale terapia nei maschi adulti trattati con testosterone esogeno durante l’adolescenza sono scarsi e contrastanti. L’FSH necessita di essere somministrato più volte nel corso delle settimane.

La corifollitropina alfa (CFA) è una gonadotropina ricombinante che agisce sul recettore gonadico dell’FSH ma ha una emivita ed un tempo di picco significativamente più lunghi.

Obiettivo di tale studio è stato esaminare l’efficacia e la sicurezza della somministrazione di CFA da sola per 12 settimane e combinata con hCG per le successive 52 in maschi adolescenti di età compresa tra 14 a 18 anni con diagnosi di ipogonadismo ipogonadotropo.  

Sono stati arruolati 17 adolescenti maschi di età compresa tra 14 e 18 anni con diagnosi di ipogonadismo ipogonadotropo, volume testicolare <4 ml, testosterone <8.3 nmol/L, FSH ≤2 IU/L, LH ≤2 IU/L, e inibina B ≤35 ng/L. Essi hanno ricevuto una dose di CFA ogni 2 settimane per 64 settimane associata, a partire dalla 12° settimana, con una dose di hCG somministrata due volte a settimana e sono stati sottoposti a controlli clinici e biochimici periodici per valutare il volume testicolare, lo stadio di Tanner, la velocità di crescita e le concentrazioni dei marcatori ormonali di pubertà (testosterone, inibina B, AMH, estradiolo, LH, FSH, SHBG).

Dei 17 pazienti, 13 sono stati inseriti nella valutazione statistica. Durante le prime 12 settimane di terapia si è assistito ad un incremento del volume testicolare valutato ecograficamente che è poi continuato fino alla 64° settimana dello studio (1.4 ml, 2.5 ml, 12.9 ml rispettivamente). Inoltre, si è assistito ad una progressione dello sviluppo puberale valutato secondo Tanner e ad un incremento della velocità di crescita. I livelli di testosterone sia totale che libero sono aumentati dopo l’inizio della terapia con hCG. I livelli di inibina B sono aumentati sotto l’effetto della CFA mantenendosi stabili dopo l’inizio dell’hCG mentre i livelli di AMH sono aumentati durante la terapia con CFA per poi ridursi dopo l’inizio dell’hCG; tali cambiamenti sono spia del passaggio delle cellule del Sertoli dalla fase proliferativa alla fase maturativa. Nel corso delle settimane di terapia sono stati registrati eventi avversi di lieve entità come cefalea, rinorrea, flushing, vomito, dolore nel sito di iniezione. Sette partecipanti hanno inoltre presentato livelli aumentati di testosterone e di estradiolo che hanno necessitato modificazioni della dose di hCG.

I risultati sulla progressione puberale sono parziali in quanto la durata dello studio è di sole 64 settimane mentre generalmente il trattamento con gonadotropine necessita di 2-3 anni per raggiungere il completamento della pubertà. Tuttavia, tale studio dimostra che la CFA (da sola per 12 settimane e successivamente combinata all’hCG per altre 52) è efficace per indurre lo sviluppo puberale in adolescenti maschi con ipogonadismo ipogonadotropo e potrebbe pertanto sostituire l’FSH ricombinante che è gravato dalla necessità di un elevato numero di somministrazioni.

La principale limitazione dello studio è sicuramente rappresentata dal ridotto numero di partecipanti legato alla rarità della diagnosi di ipogonadismo ipogonadotropo negli adolescenti maschi che ha ostacolato un arruolamento più ampio che avrebbe potuto permettere inoltre un disegno più complesso dello studio con un gruppo placebo o un gruppo di controllo.

 

 a cura di Anastasia Ibba

Iperplasia surrenalica congenita e cortisone: meglio due che tre dosi di idrocortisone?

Horm Res Paediatr. 2022 Feb 25. doi: 10.1159/000523808. Online ahead of print.
https://www.karger.com/Article/FullText/523808

Titolo originale: Twice Daily Compared to Three Times Daily Hydrocortisone in Prepubertal Children with Congenital Adrenal Hyperplasia

Confronto tra la somministrazione di idrocortisone due volte al giorno rispetto a tre volte al giorno nei bambini in età prepuberale con iperplasia surrenalica congenita

Apsan J.1, Thomas C.2, Elnaas H.1, Lin-Su K.1, Lekarev O.1
1Division of Pediatric Endocrinology, Department of Pediatrics, Weill Cornell Medicine, New York Presbyterian Hospital, New York, NY, USA
2Division of Biostatistics and Epidemiology, Weill Cornell Medicine, New York, NY, USA

L’iperplasia surrenalica congenita (CAH) è una patologia ereditaria determinata da difetti a carico dei geni che codificano per gli enzimi adrenocorticali. Il più frequente è il deficit di 21 idrossilasi (21-OH) che determina una produzione insufficiente di glucocorticoidi che nei casi più gravi si associa al deficit di mineralcorticoidi. L’approccio terapeutico in base alla letteratura vigente, prevede l’uso di glucocorticoidi giornalmente. Il dosaggio viene deciso in maniera sartoriale per il raggiungimento di due obbiettivi: il primo prevenire una crisi surrenalica, il secondo evitare un eccesso di androgeni che potrebbe inficiare la crescita e lo sviluppo puberale, oltre che determinare effetti avversi metabolici come obesità, ipertensione ed insulino-resistenza. In letteratura lo schema terapeutico maggiormente proposto per i pazienti prepuberi prevede la somministrazione di 3 dosi al giorno (TID), mentre negli adulti è talvolta preferita la somministrazione di 2 dosi giornaliere (BID). In questo studio gli autori hanno messo a confronto i due schemi terapeutici BID e TID in termini di controllo della malattia, degli effetti sulla crescita e degli effetti avversi metabolici in un gruppo di bambini prepuberi con CAH.

   Si tratta di uno studio retrospettivo in cui sono stati raccolti i dati di 36 pazienti con la forma classica di CAH tra il 2007 e 2020. I pazienti sono stati divisi in due gruppi in base allo schema terapeutico (TID e BID). I dati sono stati raccolti dall’età di 4 anni all’inizio della pubertà per ciascun paziente. L’inizio della pubertà è stato definito con la presenza di LH≥ 0.3 IU/L o il riscontro di un stadio Tanner B2 nelle femmine o un volume testicolare di 4 cm3 nei maschi.  Ad ogni visita sono stati valutati: i valori sierici di testosterone, androstenedione, 17 idrossiprogesterone ( 17OHP), la velocità di crescita annuale, l’età ossea, la pressione arteriosa, il body mass index (BMI) e la dose totale di steroidi giornaliera.

Risultati. Gli autori non hanno riscontrato differenze statisticamente significative per quanto riguarda il controllo della malattia tra i due gruppi, anche se in maniera percentuale il 18% dei pazienti del gruppo TID aveva un controllo peggiore della malattia in termini di valore di 17OHP rispetto al 7.9% del gruppo BID. Una possibile spiegazione data dagli autori è la più scarsa compliance per quanto riguarda la 2° dose giornaliera, che determina una riduzione della dose totale effettiva, ma si tratta di una speculazione poiché una vera e propria analisi della compliance non è stata eseguita. Un’altra possibile spiegazione secondo gli autori potrebbe riguardare il fatto che dare una dose a metà giornata (quando il 17OHP è fisiologicamente più basso) possa precludere al medico di dare una dose maggiore la mattina o la sera, le quali sarebbero più effettive nel sopprimere il rialzo fisiologico dell’ACTH in risposta al 17OHP, e quindi la produzione degli androgeni. In realtà però i pazienti di questo studio hanno ricevuto una dose molto bassa come “à dose giornaliera, e una dose più alta la notte.

Gli autori, inoltre non hanno trovato differenze statisticamente significative per quanto riguarda i valori di testosterone. E’stata invece riscontrata una riduzione dei valori di androstenedione nel gruppo TID, dato che non ha un chiaro significato clinico.

Per quanto riguarda la velocità di crescita annuale, l’età ossea, il BMI e pressione arteriosa sistolica non sono state riscontrate differenze tra i due gruppi. Invece è stata riscontrata una differenza statisticamente significativa per quanto riguarda la pressione arteriosa diastolica ma comunque con valori all’interno del range di normalità per entrambi i gruppi. C’è da sottolineare però che la dose totale giornaliera era simile tra il gruppo TID e BID (11.7 mg/m2/die vs 12.1 mg/m2/die rispettivamente), ed è probabilmente questo che ha determinato l’assenza di differenze riguardanti gli effetti avversi metabolici tra i due gruppi. Inoltre gli autori fanno notare che lo schema terapeutico dei pazienti del gruppo TID da loro utilizzato, prevedeva che la 2° dose giornaliera fosse la più bassa e quella della notte la più alta. Questo non è lo schema terapeutico uniformemente utilizzato da tutti i centri che invece spesso prescrivono 3 dosi giornaliere uguali. Secondo gli autori, somministrare 3 dosi giornaliere uguali potrebbe portare ad una dose totale giornaliera maggiore e quindi determinare differenti risultati in termini di effetti metabolici.

In sintesi, in questo studio retrospettivo è stato dimostrato che non c’è un vantaggio chiaro in termini di controllo della malattia ed effetti collaterali tra i due schemi terapeutici TID e BID nel trattamento dei pazienti prepuberi con CAH. Si può speculare che lo schema terapeutico BID determini una compliance maggiore rispetto al TID.

In considerazione di questi risultati, gli autori affermano che lo schema terapeutico può essere deciso in base alle necessità e la compliance della famiglia e del paziente. Sicuramente sono necessari ulteriori studi con campione di popolazione più ampia per confermare i risultati.

Pro

  • unico studio che ha dimostrato che la somministrazione in due dosi giornaliere non influenza la crescita nè i parametri metabolici in pazienti prepuberi CAH. 
  • Stimolo per la creazione di altri studi multicentrici con maggiore numerosità del campione

Contro

  • scarsa numerosità del campione
  • studio retrospettivo
  • assenza di risultati sugli effetti metabolici a distanza
  • assenza di studio della compliance

 

 a cura di Giorgia Pepe

Ipotiroidismo subclinico e sindrome dell’ovaio policistico (PCOS): peculiarità e complicanze di un’associazione che viene riportata come piuttosto frequente

Journal of Clinical Medicine. 2022, 11, 1547. https://doi.org/10.3390/jcm11061547

Titolo originale: Association of Subclinical Hypothyroidism with Present and Absent Anti-Thyroid Antibodies with PCOS Phenotypes and Metabolic Profile.

Associazione dell’ipotiroidismo subclinico autoimmune e non autoimmune con fenotipi e profilo metabolico della PCOS.

Iwona Magdalena Gawron 1,2, Rafa? Baran2 , Kamil Derbisz2 and Robert Jach1,2
1 Department of Obstetrics and Gynecology, Jagiellonian University Medical College, 31-008 Kraków, Poland;
2 Clinical Department of Gynecological Endocrinology and Gynecology, University Hospital in Krakow, 31-501 Kraków, Poland;

Background: negli ultimi anni, l’associazione tra sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) e patologia tiroidea è stata evidenziata da un numero crescente di studi clinici. I dati presenti in letteratura si riferiscono prevalentemente a donne adulte dove è emerso un aumentato rischio di patologia tiroidea autoimmune, con diversa distribuzione geografica (Asia, OR=4.56; Europa, OR=3.27; Sud America, OR=1.86). Scarsi e contrastanti sono invece i dati finora disponibili in età adolescenziale.

In particolare, è stata rilevata un’aumentata incidenza di tireopatie autoimmuni (AITD) ed ipotiroidismo subclinico nelle pazienti con PCOS, suggerendo l’ipotesi di una possibile eziologia comune. La coesistenza di AITD e PCOS coinvolge circa il 18-40% di tutti i casi di PCOS, e sembrerebbe predisporre ad un aumentato rischio di sindrome metabolica ed infertilità. Sia l’ipotiroidismo subclinico che conclamato, nonché la presenza di anticorpi antitiroidei, potrebbero essere fattori favorenti. Tuttavia, la patogenesi e le complicanze di tale associazione sono ancora incerte ed i dati ad oggi disponibili non sono univoci.

Obiettivi:

1) descrivere la prevalenza dell’ipotiroidismo subclinico (IS) e della positività di anticorpi anti-tiroidei in un’ampia popolazione di adolescenti e giovani adulte con PCOS;

2) valutare se l’IS, di origine autoimmune e non autoimmune, possa influenzare i parametri metabolici ed ormonali nelle pazienti con PCOS.

Disegno dello studio: clinico retrospettivo, di coorte.

Popolazione e metodi: sono state reclutate 367 donne, di età compresa tra 16 e 45 anni, con diagnosi di PCOS posta sulla base dei criteri di Rotterdam (almeno 2 criteri tra: oligo-anovulazione; b) segni clinici e/o biochimici di iperandrogenismo; c) policistosi ovarica, escludendo altre cause di iperandrogenismo come iperplasia surrenalica congenita, tumori secernenti androgeni, sindrome/malattia di Cushing, etc.).

Sono state escluse dallo studio le pazienti con anamnesi personale positiva per tireopatie già diagnosticate, diabete o insulino-resistenza, consumo regolare di alcool o fumo.

La popolazione dello studio è stata sottoposta a:

  1. valutazione anamnestico-clinica: caratteristiche dei cicli mestruali, ricerca di segni clinici di iperandrogenismo (score di Ferrimann-Gallwey);
  2. valutazione ormonale: funzionalità tiroidea con autoanticorpi, FSH, LH, E2, Testosterone, SHBG, FAI (free androgen index), prolattina;
  3. valutazione metabolica: studio del profilo glucidico e lipidico, OGTT, HOMA-IR;
  4. valutazione ginecologica ed ecografia pelvica (numero, dimensione, disposizione dei follicoli ovarici, volume ovarico).

In base ai parametri clinici, biochimici ed ecografici, le pazienti sono state ulteriormente suddivise in 4 diversi fenotipi di PCOS.

Risultati: in totale, in 114 pazienti su 367 (31.1%) è stato documentato un quadro biochimico di IS ed in 44 (12%) una positività di anticorpi anti-tiroidei (TG o TPO). 

Le pazienti con IS ed anticorpi positivi (n=16, 4.4%) avevano un rapporto LH/FSH significativamente aumentato, più elevati livelli di insulinemia basale e di HOMA-IR, se confrontate con la restante popolazione dello studio.

Le pazienti con IS non autoimmune (n=98, 26.7%) avevano livelli significativamente più elevati di glucosio ed insulina durante OGTT, HOMA-IR, colesterolo totale ed LDL, trigliceridi, FAI.

Infine, in 28 pazienti (7.6%) è stata documentata la presenza di anticorpi anti-tiroidei in eutiroidismo; in questo gruppo non sono state osservate correlazioni statisticamente significative con i parametri metabolici ed ormonali. La regressione logistica ha evidenziato un rischio aumentato di insulino-resistenza ed ipercolesterolemia in caso di PCOS con IS, indipendentemente dalla positività anticorpale.  Inoltre, sia l’iperandrogenismo che l’aumento del TSH sono fattori di rischio indipendenti per lo sviluppo di insulino-resistenza.

Discussione e conclusioni:

  • Nelle pazienti con PCOS, si conferma una correlazione positiva tra IS e complicanze metaboliche, in particolare insulino-resistenza e dislipidemia.
  • Non è stata invece evidenziata alcuna correlazione significativa tra IS e fertilità (LH, FSH, numero di gravidanze), ad eccezione di un aumentato rapporto LH/FSH.
  • La positività degli anticorpi anti-tiroidei, di per sé, non sembrerebbe avere influenza sugli aspetti metabolici ed ormonali nella popolazione con PCOS.
  • Nessuno dei fenotipi di PCOS è risultato più frequente nelle pazienti con IS.

Alla luce dell’aumentata prevalenza di IS, si raccomanda uno screening della funzionalità tiroidea nelle donne con PCOS, in aggiunta alla valutazione completa dell’assetto metabolico. 

Commenti: lo studio ha il merito di avere approfondito l’associazione tra PCOS ed ipotiroidismo subclinico, di origine autoimmune e non autoimmune, sebbene con alcuni limiti (assenza di un’accurata definizione della correlazione BMI – TSH nella popolazione dello studio). La relazione tra autoimmunità tiroidea e PCOS resta un tema molto controverso, che affonda le sue radici nel dibattito più ampio del possibile ruolo del sistema immune nell’eziologia della PCOS. 

In futuro, studi longitudinali su popolazioni più ampie potrebbero essere utili per una migliore definizione di tale associazione, al fine di promuovere screening di funzionalità tiroidea con autoanticorpi nelle pazienti con PCOS, anche in assenza di sintomi e/o segni conclamati di disfunzione tiroidea.