5/2018

A cura di:

Antonella Lonero (Gallipoli-Lecce) e Brunella Iovane (Parma)

 

Hsu EA, Miller JL, Perez FA, Roth CL. Oxytocin and Naltrexone Successfully Treat Hypothalamic Obesity in a Boy Post-Craniopharyngioma Resection. J Clin Endocrinol Metab. 2018 Feb 1;103(2):370-375

L’obesità ipotalamica nei pazienti sopravvissuti a craniofaringioma è una condizione che si riscontra frequentemente e risulta essere resistente al trattamento. In diversi studi animali si è dimostrato che l’Ossitocina, un neuropeptide ipotalamo, avrebbe effetti anoressizzanti e sarebbe coinvolto nella regolazione del bilancio energetico. Il Naltrexone, un antagonista degli oppiodi, ridurrebbe il senso di fame e potenzierebbe gli effetti dell’ossitocina. In questo studio osservazionale, è stato trattato con l’associazione Ossitocina-Naltrexone un ragazzino di 13 anni sottoposto 5 anni prima ad intervento di asportazione di un craniofaringioma, con sviluppo secondario di  panipopituitarismo, obesità ipotalamica e iperfagia, il cui BMI era sempre rimasto compreso tra il 95° e il 97° centile nonostante la dieta. La fase 1, della durata di 10 settimane, comprendeva la somministrazione di Ossitocina intranasale (al dosaggio di 6 IU/die); la fase 2 di 38 settimane l’associazione di Ossitocina intranasale e Naltrexone (al dosaggio di 100 mg/die). Il trattamento ha portato a:

-   Riduzione del BMI z score da 1.77 SDS (96° centile) a 1.49 SDS (93° centile) dopo 10 settimane (fase 1)

-   Riduzione del BMI z score da 1.49 SDS (93° centile) a 0.82 SDS (79° centile) dopo 38 settimane (fase 2)

-   Riduzione dell’iperfagia durante entrambe le fasi

-   Continua ricerca di cibo ad alto contenuto di carboidrati a scopo edonico in assenza di fame durante entrambe le fasi

-   notevole perdita di peso quando non era controllato dai genitori e aveva libero accesso al cibo in casa durante le ultime 10 settimane della fase 2

La limitazione dello studio è legato all’impossibilità di quantificare le misure accurate di sazietà ed i cambiamenti nell’intake calorico. Gli autori concludono che sono necessari ulteriori studi per un periodo di cura più lungo a vari dosaggi, modulando le dosi in base al consumo e al fabbisogno energetici ed ampliando lo studio anche ad altre forme di obesità.

 

Hjorth-Hansen A, Salvesen Ø, Engen Hanem LG, Eggebø T, Salvesen KÅ, Vanky E, Ødegård R. Fetal Growth and Birth Anthropometrics in Metformin-Exposed Offspring Born to Mother with PCOS. J Clin Endocrinol Metab. 2018 Feb 1;103(2):740-747.

 

La Metformina viene utilizzata nelle donne in gravidanza per ridurre le complicanze associate alla PCOS, sebbene ci siano poche informazioni sul suo effetto sullo sviluppo fetale e sulla crescita.

In questo lavoro multicentrico a doppio cieco gli autori hanno esaminato le misure ecografiche antropometriche fetali e alla nascita dei figli di madri con PCOS trattate con 2 grammi di Metformina (n=131) o con placebo (n= 121) dal primo trimestre di gravidanza, comparandole con quelle della popolazione di riferimento e correlando i risultati al BMI materno. Sono stati misurati il diametro addominale e il diametro biparietale alla 19° e 32° settimana di età gestazionale. La circonferenza cranica, la lunghezza ed il peso alla nascita sono stati confrontati con la popolazione di riferimento di figli di madri sane, espressi come z-score corretti per età e sesso. I figli di madri con PCOS trattati con Metformina o con placebo presentavano una circonferenza cranica maggiore alla 32° settimana di gestazione ed alla nascita, con valori alla nascita maggiori nelle madri obese o in sovrappeso trattate con metformina. Tra le madri normopeso, quelle trattate con Metformina avevano figli con valori inferiori di lunghezza (z score= -0.96 VS -0.42, P=0.04) e peso (z-score= -0.44 versus 0.02; P= 0.03). Confrontati con la popolazione di riferimento, i figli nati da madri con PCOS appartenenti al gruppo placebo, avevano lunghezza ridotta, ma peso alla nascita e circonferenza cranica simili.

 

Conviser JH, Fisher SD, McColley SA. Are children with chronic illnesses requiring dietary therapy at risk for disordered eating or eating disorders? A systematic review. Int J Eat Disord. 2018 Feb 22. doi: 10.1002/eat.22831.

Le patologie croniche con regimi terapeutici che prevedono una dieta specifica possono mettere a rischio l'alimentazione del bambino, favorendo lo sviluppo dei disturbi del comportamento alimentare. La maggior parte della letteratura che correla il trattamento dietetico delle malattie croniche ed i DCA riguarda il diabete mellito di tipo 1. Gli individui affetti da diabete sono a maggiore rischio di atteggiamenti e comportamenti alimentari errati, inclusi desiderio di magrezza, insoddisfazione per il proprio corpo, diete dimagranti, esercizio fisico eccessivo, pillole dimagranti. La riduzione dell'insulina, la sua manipolazione od omissione sono le modalità prevalenti per controllare il peso corporeo. Tutto ciò ovviamente comporta una scarsa compliance alla terapia del diabete, con conseguente aumentato rischio di sviluppare complicanze a lungo termine associate alla patologia. Le femmine con diabete sono più a rischio rispetto ai maschi di sviluppare atteggiamenti e comportamenti alimentari errati ed adottano strategie di controllo del peso più estreme e pericolose. Le abitudini alimentari dei genitori sono spesso associate all'alimentazione disordinata dei bambini.  A ciò si associano anche le caratteristiche di un ambiente familiare inadeguato: scadente struttura dei pasti familiari, qualità della relazione e della comunicazione genitori-figli, mancanza di fiducia, scarsa coesione familiare. Il conflitto familiare, in particolare se in relazione al diabete dei figli, è associato a maggiore incidenza di DCA. Al contrario, una buona relazione genitori-figli si associa ad un buon controllo metabolico.

 

In conclusione, questo studio evidenzia che gli interventi dietoterapici per le patologie croniche dei bambini richiedono particolare attenzione al peso corporeo ed al regime alimentare, ma possono aumentare il rischio di sviluppare disturbi del comportamento alimentare.

 

Laura Gandrud, Aylin Altan, Paul Buzinec, Jesse Hemphill, Jayne Chatterton, Tina Kelley, Deneen Vojta. Intensive remote monitoring versus conventional care in type 1 diabetes: A

randomized controlled trial. Pediatric Diabetes. 2018; 1-8.

Negli ultimi anni la possibilità di connessione virtuale tra pazienti e personale sanitario ha permesso di poter monitorare a distanza pazienti affetti da patologie croniche con consistenti benefici. Anche in ambito diabetologico grazie ai nuovi presidi di monitoraggio glicemico è possibile salvare e scaricare i dati relativi all'andamento ed al controllo della glicemia e, quindi, del diabete stesso. Questo studio ha preso in esame una popolazione di 117 pazienti pediatrici affetti da diabete mellito tipo 1 da almeno un anno, di età compresa tra gli 8 ed I 17 anni, in terapia insulinica tramite microinfusore. Questi pazienti, che hanno proseguito le visite cliniche di routine e l'upload dei dati del microinfusore, sono stati randomizzati per un periodo di 6 mesi in un gruppo (57 pazienti) gestito “convenzionalmente” ed in una coorte di 60 pazienti gestita tramite Intensive Remote Monitoring (IRT), ovvero i cui dati venivano revisionati telematicamente dal personale specializzato e i pazienti contattati telematicamente (telefono o mail) in caso di variazioni dello schema terapeutico.

Di entrambi sono stati valutati l'andamento della HbA1c (base, a sei mesi e 9 mesi), le variazioni della qualità di vita (Pediatric Quality of Life Inventory 3.0 Type 1 Diabetes Module), l'eventuale accesso a servizi di cure di emergenza e gli episodi di ipoglicemie.

Nel gruppo IRT si è assistito a un miglioramento maggiore dei valori di emoglobina glicata e della qualità di vita, in particolar modo nella fascia di età 13-17 anni, forse perchè più direttamente coinvolti e resi partecipi dall'iniziativa. Tant'è che, a distanza di 9 mesi, e quindi al termine dello studio, in questa stessa fascia di età si è invece registrato un aumento dei valori di emoglobina glicata.

In conclusione, questo studio-pilota, ha messo in luce come le nuove tecnologie possano rendere plausibile una gestione più intensiva del diabete, soprattutto in età pediatrica. Ed inoltre sottolinea l'importanza di adottare un supporto personalizzato per l'adolescente con diabete mellito di tipo 1.