10/2017

 

A cura di

Domenico Corica (Messina), Maria Loredana Marcovecchio (Chieti) e Rita Ortolano (Bologna)

 

 

Battelino T, Rasmussen MH, De Schepper J et al. Somapacitan, a once-weekly reversible albumin-binding GH derivative, in children with GH deficiency: A randomized dose-escalation trial. Clin Endocrinol (Oxf). 2017 Oct;87(4):350-358.

 

Si tratta di un trial randomizzato, controllato di fase 1, multicentrico ed open-label, nel quale gli autori si proponevano di valutare, in una popolazione di bambini pre-puberi, la sicurezza e la tollerabilità di Somapacitan (una formulazione di ormone della crescita long-acting caratterizzata dal legame reversibile con l’albumina), a confronto con la terapia con ormone della crescita (GH) a somministrazione giornaliera per una settimana.

Inoltre, sono state analizzate farmacocinetica (PK) e farmacodinamica (PD) del Somapacitan ai diversi dosaggi. Infatti, i pazienti, randomizzati per ricevere Somapacitan (24 soggetti), sono stati suddivisi in 4 sottogruppi sulla base della dose di farmaco somministrata per via sottocutanea (0.02, 0.04, 0.08, 0,16 mg/kg); nell’altro gruppo (8 soggetti) il GH è stato somministrato alla dose di 0.030 mg/kg/die.

La sicurezza del Somapacitan è stata valutata sulla base degli eventi avversi riportati dai pazienti, tra cui le reazioni nel sito di iniezione, e su dati laboratoristici (compresi gli anticorpi anti-somapacitan e anti-hGH). Il Somapacitan è risultato sostanzialmente ben tollerato a tutti i dosaggi a cui è stato somministrato, senza determinare reazioni avverse locali o sistemiche significative, né produzione di anticorpi anti-Somapacitan o anti-hGH.

Il profilo PK è stato caratterizzato da un picco di concentrazione plasmatica di Somapacitan al secondo giorno, con valori progressivamente decrescenti nei successivi cinque giorni. La PD, valutata mediante analisi dei valori di IGF-1 ed IGFBP-3, sia tra i sottogruppi riceventi Somapacitan, che rispetto al gruppo di controllo, ha documentato valori persistentemente compresi nei limiti di norma.

Nonostante questo trial supporti risultati incoraggianti riguardo l’uso di questa formulazione di GH long-acting, sono tuttavia da evidenziare alcuni limiti: la breve durata del trial, che grava sicuramente sull’interpretazione dei risultati riguardanti sicurezza, PK e PD, e il limitato numero di pazienti, elemento quest’ultimo che, tra l’altro, non ha reso possibile l’analisi dei dati relativamente al genere dei pazienti.

 

 

Cui X, You L, Zhu L, et al. Change in circulating microRNA profile of obese children

indicates future risk of adult diabetes. Metabolism. 2017 Sep 28. doi: 10.1016/j.metabol.2017.09.006. [Epub ahead of print]

 

Gli autori del presente studio si ponevano come obiettivo principale quello di identificare dei micro-RNA circolanti che potessero essere considerati biomarkers dell’aumento del rischio di sviluppare diabete mellito di tipo 2 (DMT2) in una popolazione di bambini obesi.

Dopo aver identificato  tre micro-RNA (miR-486, miR-146b, miR-15b, su 177 microRNA identificati) maggiormente rappresentati sia nel siero di bambini obesi (n=100), rispetto a bambini sovrappeso (n=106) e normo-peso (n=146), che nel siero di adulti (n=101) con DMT2 (confrontati con 82 soggetti euglicemici), è stato indagato il loro possibile contributo nello sviluppo di DMT2 valutandone l’impatto sulla proliferazione dei pre-adipociti, sulla secrezione insulinica ad opera delle β-cellule, e sull’uptake di glucosio da parte del muscolo scheletrico.

L’miR-486 risultava quello maggiormente implicato nella proliferazione di pre-adipociti umani e nell’insulino-resistenza a livello delle cellule muscolari, mentre miR-146b e miR-15b, studiati su cellule pancreatiche murine, risultavano over-espressi nelle cellule in cui il rilascio di insulina risultava alterato.

Gli autori prospettano che questi tre micro-RNA possano diventare in futuro biomarkers utili per lo screening di bambini obesi, al fine di identificare quelli a maggior rischio di DMT2 in età adulta.

Tra i limiti dello studio si segnala che non sono stati ricercati altri micro-RNA (miR-95, miR-200c-3p and miR-190a) già precedentemente correlati con l’insulino-resistenza in bambini obesi di età pre-scolare.

I risultati di questo studio necessiteranno di conferme mediante studi longitudinali prospettici, ed ulteriori indagini dovranno essere condotte per rivelare la funzione biologica ed i geni target di questi micro-RNA.

 

 

Karges B, Schwandt A, Heidtmann B, et al. Association of Insulin Pump Therapy vs Insulin Injection Therapy With Severe Hypoglycemia, Ketoacidosis, and Glycemic Control Among Children, Adolescents, and Young Adults With Type 1 Diabetes.

JAMA. 2017 Oct 10;318(14):1358-1366. doi: 10.1001/jama.2017.13994


L’utilizzo della terapia insulinica con microinfusore è aumentato notevolmente nel corso delle ultime decadi. L’obiettivo di questo studio è stato valutare se la frequenza di episodi di ipoglicemia grave e di chetoacidosi fosse ridotta nei pazienti che utilizzano microinfusore rispetto ai pazienti in terapia insulinica iniettiva. Si tratta di un ampio studio di coorte in cui la popolazione è stata individuata nell’ambito del database del Diabetes Prospective Follow-up Initiative, che include 446 centri in Germania, Austria, Lussemburgo e Svizzera. Il periodo di studio è stato tra Gennaio 2011 e Dicembre 2015.

Lo studio è stato basato su una casistica di 30.579 giovani pazienti (età minore di 20 anni, età media: 14 anni) con diabete di tipo 1, di cui 14.119 (46%) facevano uso di microinfusore e 16.460 di terapia iniettiva multipla. Utilizzando la metodica del ‘propensity score matching’, 9814 pazienti in terapia con microinfusore sono stati confrontati con 9814 pazienti in terapia iniettiva.

I principali risultati dello studio sono stati: 1) una minore frequenza di episodi di ipoglicemia grave e di chetoacidosi e 2) migliori valori di emoglobina glicosilata e minore dose insulinica giornaliera associati all’uso del microinfusore.

Questi risultati sono importanti date le incertezze finora esistenti in termini di rischio di complicanze a breve termine, quali la chetoacidosi, che in alcuni studi era risultato aumentato, e necessità di confermare dati relativi alla riduzione degli episodi di ipoglicemia, associati alla terapia con microinfusore.

Il principale punto di forza dello studio è l’ampia casistica. Tuttavia, lo studio presenta alcuni limiti da tener presenti nella interpretazione dei dati e soprattutto per la loro potenziale ‘traslazione’ nella practica clinica. Lo studio non è di tipo randomizzato controllato, con possibilità di bias, nonostante la metodica di matching utilizzata. Inoltre nell’analisi dei dati non sono stati considerati aspetti importanti relativi all’educazione fornita ai pazienti in terapia con microinfusore, durata della terapia con microinfusore e anche sulla frequenza della sospensione di tale terapia. Mancano inoltre dati sull’uso del monitoraggio continuo della glicemia, che potrebbe essere più frequente nel gruppo con microinfusore ed incidere sul miglior controllo glicemico.

 

 

Grunnet LG, Hansen S, Hjort L et al. Adiposity, Dysmetabolic Traits and Earlier Onset of Female Puberty in Adolescent Offspring of Women With Gestational Diabetes Mellitus: A Clinical Study Within the Danish National Birth Cohort. Diabetes Care. 2017 Oct 16. pii: dc170514. doi: 10.2337/dc17-0514. [Epub ahead of print]

 

È ben noto che il diabete gestazionale (GDM) si associa ad un rischio aumentato di obesità, insulino-resistenza e diabete di tipo 2 nella prole. Ciò che non è ancora ben definito è quanto tali anomalie metaboliche siano determinate dall’adiposità materna e/o della prole stessa, e se l’iperglicemia materna abbia un effetto indipendente dall’adiposità su tali outcomes.

Questo studio si basa su un’ampia coorte danese di 561 nati da madri con GDM e 597 soggetti di controllo, valutati da un punto di vista clinico, laboratoristico (profilo cardiometabolico) e strumentale (DEXA) all’età di 9-16 anni.

La prole di madri con GDM hanno mostrato: maggiore adiposità (BMI, rapporto vita-fianchi (WHR), percentuale di massa grassa totale e addominale), maggiore pressione arteriosa e un aumento della glicemia, dell'insulina, del C peptide, dell’HOMA-IR e dei trigliceridi, e ridotti livelli di colesterolo HDL. Nelle ragazze, figlie di madri con GDM, si è riscontrato anche un inizio precoce della pubertà.

L’associazione con percentuale di massa grassa, pressione arteriosa, C-peptide, lipidi e pubertà anticipata sono emersi essere influenzati principalmente dal BMI della prole, mentre la persistenza dell’associazione con WHR, glicemia e HOMA-IR anche dopo aggiustamente per BMI materno e della prole, suggerisce un ruolo indipendente della iperglicemia in gravidanza nel programming della composizione corporea e della insulino-resistenza nella prole durante l’adolescenza. 

 

 

Braslavsky D, Méndez MV, Prieto L, et al. Pilot Neonatal Screening Program for Central Congenital Hypothyroidism: Evidence of Significant Detection. Horm Res Paediatr. 2017 Sep 12. doi: 10.1159/000480293. [Epub ahead of print]

 

In questo interessante lavoro viene condotto uno studio pilota per lo screening neonatale delle forme di ipotiroidismo congenito centrale (CCH) attraverso il dosaggio di T4 su spot oltre al TSH.  

Sappiamo infatti che lo screening neonatale dell’ipotiroidismo congenito (CH) in molti paesi come in Italia si basa sul dosaggio del TSH su guthrie card e che tale metodica non consente dunque di identificare neonati a rischio di forme centrali di ipotiroidismo.

Le forme di CCH sono chiaramente rare ma spesso gravi, infatti si associano frequentemente ad altri difetti ipofisari come il GH e l’ACTH che possono mettere a repentaglio la vita del neonato.

Pertanto utilizzare uno screening neonatale che oltre al dosaggio del TSH su spot consenta anche il dosaggio di T4 consentirebbe di identificare pazienti a rischio di CCH (previa conferma diagnostica su siero) con possibili deficit ipofisari multipli.

Nella loro esperienza 67719 neonati sono stati sottoposti in 2 anni a screening mediante dosaggio su spot di TSH e T4. I neonati con T4<=4.5 μg/dL e TSH<10 mUI/L (in totale 44) sono stati richiamati e in 3 casi è stato confermato CCH. Tutti e 3 i pazienti con CCH presentavano deficit ipofisari multipli e infatti al momento del richiamo si trovavano ricoverati per sintomi aspecifici come ipoglicemia e iponatriemia.

Gli autori concludono dunque che anche se non ci sono studi che dimostrino che lo screening neonatale del CCH sia più efficace nel rilevare casi di CCH rispetto alla diagnosi clinica, tale tipologia di screening potrebbe essere utilizzato come possibile strumento per ridurre morbidità e mortalità di neonati con sintomi aspecifici di ipopituitarismo senza diagnosi.

 

 

David H, Aupiais C, Louveau B, et al. Growth Outcomes after GH Therapy of Patients Given Lng-Term Corticosteroids for Juvenile Idiopathic Arthritis. J Clin Endocrinol Metab. 2017 Oct 5. doi: 10.1210/jc.2017-01455. [Epub ahead of print]

 

In questo lavoro francese gli autori disegnano uno studio per valutare effetti della terapia con ormone della crescita (GH) nei pazienti con artrite idiopatica giovanile (JIA).

I pazienti con JIA e in particolare quelli con forma sistemica infatti presentano bassa statura e il ritardo di crescita è prevalentemente dovuto all’effetto delle citochine infiammatorie e alle alte dosi di glucocorticoidi terapeutiche sull’osso. Nell’ultima decade l’impiego di farmaci biologici ha modificato la storia naturale di questa condizione riducendo il danno infiammatorio e quello da alte dosi di glucocorticoidi, ma recenti dati della letteratura dimostrano che circa il 20% di questi comunque presentano una velocità di crescita patologica.

Gli autori hanno eseguito 3 studi prospettici (2 non controllati e uno controllato) per valutare gli effetti della terapia con GH in pazienti con JIA sistemica o poliarticolare. Nei primi due studi non controllati sono stati arruolati 58 pazienti con JIA e con età >3 anni, in terapia con glucocorticoidi da più di 1 anno, con statura <-2 SDS o riduzione della statura di 1 SDS nei due anni antecedenti o velocità di crescita <-1 SDS. Nel terzo studio sono stati inclusi 30 pazienti con JIA e con età >18 mesi ma <9 anni nelle femmine e <11 anni nei maschi, prepuberi, in terapia con corticosteroidi negli ultimi 12-15 mesi e con e velocità di crescita <-1 SDS nell’ultimo anno. Esclusi i pazienti con diabete o altre malattie con insufficienza renale cronica. Nel primo e nel secondo studio i pazienti presentavano normale produzione di GH ai test farmacologici, nel terzo studio non erano richiesti i tests. Sono state somministrate alte dosi di GH (0.065 mg/Kg/die) sia nei primi due studi che nel gruppo dei casi del terzo studio caso/controllo per una durata media di circa 6.5 anni e nel 60% dei casi fino al raggiungimento della statura definitiva. Dai risultati si evince che nel 52% dei casi i pazienti presentano una normale statura definitiva (>-2 SDS) ma significativamente inferiore rispetto alla loro target staturale.

Questo lavoro ha pertanto catturato la mia attenzione perché evidenzia una popolazione di pazienti responsivi (anche se parzialmente) alla terapia con ormone della crescita ad alte dosi in pazienti con JIA, non trattabili in Italia secondo la nota AIFA.

Gli autori stessi presentano, in discussione, i limiti dello studio: non è, infatti, nota quale sarebbe stata la loro crescita di recupero senza terapia con GH, dato comunque non presente in letteratura; inoltre sono necessari lunghi follow-up per escludere potenziali eventi avversi quali il rischio di sviluppare ridotta tolleranza glucidica e neoplasie maligne, anche se la letteratura precedente è rassicurante.