6/2021

A cura di Carmelo Pistone

Leena Mamilly, Lucy D Mastrandrea, Claudia Mosquera Vasquez, Brett Klamer, Mahmoud Kallash, Ahmad Aldughiem

Evidence of Early Diabetic Nephropathy in Pediatric Type 1 Diabetes

Frontiers in Endocrinology, 2021 Apr 28;12:669954

La nefropatia diabetica (ND) rappresenta una tra le più frequenti complicanze microvascolari del diabete mellito, in particolare del tipo 1 (DMT1). È stato dimostrato che, ben prima dell’evidenza di un rialzo della microalbuminuria, si possono rilevare, talora sin dall’esordio del DMT1, alterazioni anatomo-patologiche (nefromegalia, ispessimento della membrana basale glomerulare) che riflettono la presenza di un danno renale precoce. Sono stati, pertanto, ricercati e analizzati diversi indici clinici e di laboratorio che possano aiutare nello screening precoce di questa complicanza.

Lo studio qui presentato, in particolare, ha valutato l’utilizzo della lipocalina urinaria associata alla gelatinasi neutrofila (uNGAL) e della pentosidina urinaria come marcatori della ND nei bambini con DMT1 e la loro relazione con specifici pattern di pressione arteriosa e, al contempo, con gli indicatori di controllo glicemico.

Il disegno dello studio ha previsto l’arruolamento di pazienti di età compresa tra 10 e 21 anni affetti da DMT1 da almeno 1 anno. Sono stati esclusi soggetti affetti da altri tipi di diabete mellito, obesità, ipertensione arteriosa non correlata al diabete, nefropatia da altra causa, malattie infiammatorie croniche, infezioni acute o storia di neoplasie maligne.

Sono stati arruolati in totale 21 soggetti, la maggior parte in terapia con microinfusore di insulina, con un valore mediano di HbA1c pari a 8,4%. I controlli erano soggetti sani di pari età, sesso e BMI e non presentavano patologie renali significative. Dopo valutazione clinica, i partecipanti sono stati sottoposti a monitoraggio continuo della pressione arteriosa per 24 ore, monitoraggio continuo della glicemia con sensore (CGM) da 3 a 7 giorni e dosaggio di uNGAL e pentosidina urinaria. Quando disponibile, è stato ottenuto il valore più recente di emoglobina glicosilata (HbA1c).

L’analisi del profilo pressorio ha mostrato, nella metà dei soggetti, un dipping notturno anomalo (< 10%), malgrado nessuno di loro soddisfacesse i criteri per ipertensione arteriosa. Sono state, inoltre, riscontrate una correlazione negativa tra dipping notturno e livelli di uNGAL e una correlazione diretta tra livelli di pentosidina urinaria e pressione arteriosa media.

Il dosaggio dei marcatori urinari ha mostrato livelli di uNGAL e pentosidina urinaria significativamente più elevati rispetto ai controlli. I valori di microalbuminuria, inoltre, correlavano positivamente con quelli di uNGAL e di pentosidina urinaria.

Attraverso i dati ottenuti con CGM sono stati valutati il coefficiente di variabilità (CV) e l’HBGI (High Blood Glucose Index). È stata, quasi inaspettatamente, riscontrata una correlazione inversa tra CV e HBGI e tra CV e HbA1c; inoltre, mentre HbA1c e HBGI correlavano negativamente con uNGAL, i valori più alti di uNGAL e pentosidina urinaria sono stati osservati nei soggetti con CV maggiore.

I risultati dello studio forniscono degli stimolanti spunti di osservazione e approfondimento.

È, infatti, apparso chiaro che uNGAL e pentosidina urinaria possano rappresentare dei buoni marcatori di danno renale precoce, correlando con i livelli di microalbuminuria nei soggetti con DMT1 e mostrandosi più elevate rispetto ai soggetti sani anche nei casi con microalbuminuria negativa. Tale riscontro è stato, inoltre, supportato dalla correlazione positiva tra pentosidina urinaria e pressione arteriosa media e, soprattutto, tra uNGAL e anomalo dipping pressorio notturno, che rappresenta un importante indice clinico precoce di progressione della ND.

Altro dato molto interessante è stato il riscontro di una correlazione diretta tra i livelli di uNGAL e pentosidina urinaria e il CV, a dispetto, per contro, di una correlazione inversa con HbA1c e HBGI. Seppure apparentemente insolito, tale risultato supporta le recenti evidenze secondo cui un’elevata variabilità glicemica possa impattare in maniera più significativa rispetto a un’iperglicemia stabile nella patogenesi delle complicanze microvascolari da DMT1.

Il presente studio è certamente limitato dalla ridotta numerosità del campione e dalla breve durata.  L’applicazione su una popolazione più ampia ed eterogenea, che includa soggetti con controllo glicemico anche migliore, e un’analisi più dettagliata degli indicatori glicemici potrebbe supportare ulteriormente l’introduzione nella pratica clinica di marcatori urinari alternativi nella definizione del rischio precoce di ND.

LINK: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33995287/



A cura di Gaia Vincenzi

Natural History of Thyroid Disease in Children with PTEN Hamartoma Tumor Syndrome

Jessica R. Smith,  Enju Liu,  Alanna J. Church,  Elizabeth Asch,  Christine E. Cherella, Siddharth Srivastava, Junne Kamihara,  and Ari J. Wassner

J Clin Endocrinol Metab. 2021 Mar 8;106(3):e1121-e1130.

La sindrome tumorale amartomatosa legata a PTEN (PHTS) comprende un gruppo eterogeneo di patologie a trasmissione autosomica dominante dovute a mutazioni germinali inattivanti l’oncosoppresore PTEN. Tali patologie, tra cui le sindromi di Cowden, Bannayan-Riley-Ruvalcaba e Proteus-like, presentano alcune caratteristiche cliniche peculiari quali macrocefalia, lipomi, poliposi gastrica, malformazioni venose, tumori amartomatosi e manifestazioni neurologiche (es. ritardo neuromotorio ed epilessia). Il gene PTEN ha un ruolo fondamentale nella regolazione della proliferazione cellulare, pertanto i pazienti affetti da PHTS presentano un rischio superiore di sviluppare tumori benigni e maligni della mammella, dell’utero, del fegato, dell’intestino, della cute e della tiroide.  I carcinomi della tiroide si possono sviluppare già in età infantile (descritto un caso di carcinoma papillare diagnosticato all’età di 7 anni). Pertanto lo screening ecografico riveste un ruolo fondamentale nella diagnosi precoce delle neoplasie tiroidee. Tuttavia, in letteratura non vi sono dati univoci in merito alla tempistica ottimale: alcune linee guida raccomandano di effettuare annualmente/ogni due anni l’ecografia della tiroide a partire dai 7 anni, altri autori suggeriscono un controllo ecografico annuale a partire dalla diagnosi di PHTS, indipendentemente dall’età.

Il presente studio si propone di determinare la prevalenza e analizzare la storia naturale del coinvolgimento tiroideo in bambini affetti da PHTS. Sono stati valutati retrospettivamente i dati clinici, biochimici e ecografici di pazienti di età <19 anni con diagnosi di PHTS confermata geneticamente in follow-up negli anni 1998-2019 al Boston Children’s Hospital. Come obiettivo primario è stato valutato il riscontro nel follow-up di noduli tiroidei ≥10 mm e quindi secondariamente di noduli richiedenti approfondimento mediante agoaspirato, della prevalenza di quadri di tiroidite e di linfonodi con aspetto patologico.

  Nel periodo in studio, la diagnosi di PHTS è stata posta in 64 pazienti a un’età mediana di 6.2 (0.5-16.5) anni. Quasi tutti i soggetti presentavano macrocefalia (98.4%); tumori extratiroidei/amartomi sono stati riscontrati nel 53.1% dei pazienti, malformazioni vascolari nel 26.6% e interessamento neurologico nel 75%. Cinquanta pazienti (78.1%) sono stati sottoposti a ecografia tiroidea a un’età mediana di 8.3 (3.0-21.4) anni. Un nodulo tiroideo ≥10 mm è stato riscontrato nel 44% (22/50) dei pazienti a un’età mediana di 13.3 (7.0-22.9) anni. Tuttavia, nel sesso femminile i noduli sono stati diagnosticati più precocemente rispetto al sesso maschile (10.8 [7.0-17.9] anni versus 14.2 [9.9-22.9] anni, P= .009). In analisi multivariata il rischio di sviluppare un nodulo tiroideo è risultato significativamente associato al sesso femminile (HR 2.9, 95% CI 1.16-7.27, P= .02) e inversamente correlato alla presenza di interessamento neurologico (HR 0.27, 95% CI 0.10-0.69, P= .007). L’agoaspirato è stato effettuato nel 42% (21/50) dei pazienti a un’età mediana di 13.3 (7.0-22.9) anni. In 2 soggetti è stato diagnosticato un carcinoma papillare a 11.2 e 13.7 anni. Linfonodi con aspetto anomalo sono stati riscontrati nel 20% dei casi, senza però associazione con un quadro di malignità. Infine nel 30.3% dei pazienti in cui è stato effettuato il dosaggio anticorpale è stato riscontrato un quadro di tiroidite autoimmune.

In conclusione, lo screening mediante ecografia tiroidea è fondamentale in tutti i bambini affetti da PHTS in considerazione dell’aumentato rischio di sviluppare una neoplasia tiroidea. Circa metà dei pazienti della coorte analizzata hanno sviluppato un nodulo tiroideo all’età mediana di 13 anni e non prima dei 7 anni con un aumento di prevalenza durante la pubertà e un riscontro più tardivo nel sesso maschile. Gli autori concordano nel raccomandare lo screening ecografico a partire dai 7 anni di età, sebbene noduli tiroidei possano essere riscontrati, seppur raramente, in bambini di età inferiore.  Viene inoltre consigliata la ripetizione dell’ecografia tiroidea a distanza di un anno in caso di noduli ≥ 5 mm e a distanza di due anni in caso di assenza di noduli ≥ 5mm. Lo studio fornisce dati importanti in merito alla storia naturale del coinvolgimento tiroideo in soggetti in età pediatrica affetti da PHTS. L’ampia casistica e il lungo periodo di follow-up rappresentano i punti di forza. Tuttavia, sono presenti alcune limitazioni correlate alla natura retrospettiva dello studio.

LINK: https://academic.oup.com/jcem/article-abstract/106/3/e1121/6042940?redirectedFrom=fulltext

 

A cura di Gianluca Piccolo

Use of glucagon-like peptide-1 receptor agonists for pediatric patients with obesity and diabetes: The providers' perspectives.

Gourgari E, Huerta-Saenz L, Tonyushkina KN, Rosolowsky ET, Guttmann-Bauman I.

Pediatr Diabetes. 2021 May 21.

Gli agonisti del recettore di GLP-1 (GLP-1RA), o incretine, sono molecole utilizzate nel paziente adulto con diabete mellito tipo 2 (DM2) e recentemente autorizzate da FDA in pazienti pediatrici con DM2 di età superiore a 10 anni. Le incretine agiscono sul recettore del GLP-1 (Glucagone-Like Peptide 1), una molecola rilasciata dalle cellule L dell'intestino sotto stimolo dei nutrienti. Fisiologicamente il GLP-1 riduce i livelli di glicemia stimolando la secrezione insulinica da parte delle beta-cellule pancreatiche ed inibendo la secrezione di glucagone; inoltre riduce l'appetito e rallenta la motilità gastrointestinale.

Negli adulti i GLP-1RA hanno dimostrato molteplici effetti terapeutici: riduzione dei livelli di emoglobina glicata (HbA1c) nel DM2, migliorato controllo glicemico, riduzione del peso corporeo in pazienti obesi o sovrappeso senza DM2. Questi farmaci preservano inoltre la funzionalità renale e  riducono l’insorgenza di patologie cardiovascolari e la mortalità a lungo termine.

Pochi sono gli studi condotti sulla popolazione pediatrica, che hanno però mostrato una forte evidenza di efficacia nei bambini con DM2 e con obesità.

Un trial randomizzato controllato (RCT) effettuato somministrando per 26 settimane liraglutide (fino al dosaggio di 1,8 mg al giorno) versus placebo in soggetti dai 10 ai 17 anni affetti da DM2, ha dimostrato una significativa riduzione della HbA1c pari allo 0,64% nel gruppo trattato versus un incremento dello 0,42% nel gruppo placebo. In un successivo RCT è stato somministrato per 56 settimane liraglutide al dosaggio di 3 mg al giorno in adolescenti obesi tra i 12 ed i 17 anni ed è stata dimostrata una riduzione dell'indice di massa corporea (BMI) di almeno il 5% nel 43,3% dei trattati contro solo il 18,7% del gruppo placebo. In questo RCT è stato però evidenziato un rapido incremento del BMI dopo la sospensione del farmaco, indicando che gli effetti della liraglutide non sono duraturi.

Per quanto riguarda un altro GLP-1RA, l’exenatide, in pazienti obesi esso determina una maggiore riduzione del BMI rispetto al placebo; di contro, in un trial su 42 pazienti (età 10-25 anni) con obesità ipotalamica conseguente a neurochirurgia per tumore endocranico, l'effetto sul BMI non è risultato significativo, pur determinando una riduzione della massa grassa totale ed un decremento della circonferenza addominale.

Pertanto, a giugno 2019 la Food and Drug Administration (FDA) ha approvato l'utilizzo di liraglutide in pazienti di età maggiore di 10 anni con DM2; successivamente, a dicembre 2020 la FDA ha approvato l’utilizzo del farmaco anche in adolescenti di almeno 12 anni con obesità.

Per valutare l'utilizzo di liraglutide nella pratica clinica in ambito pediatrico, è stato inviato a mezzo e-mail a tutti i membri della Pediatric Endocrine Society un questionario anonimo composto da 22 domande. Su 1573 questionari inviati sono state raccolte 102 risposte, fornite soprattutto da specialisti in endocrinologia pediatrica operanti per lo più in centri accademici/universitari (84%).

Il 75% degli intervistati ha dichiarato di utilizzare liraglutide, prevalentemente per trattare pazienti pediatrici con DM2 (96%); il 43% ha inoltre risposto di prescriverlo anche nel trattamento dell’obesità. Da sottolineare come al momento della compilazione del questionario (settembre-ottobre 2020) l’FDA non avesse ancora fornito indicazione all’utilizzo di liraglutide in adolescenti di almeno 12 anni con obesità.

Gli effetti collaterali più frequenti sono prevalentemente gastrointestinali, in particolare nausea (82%), dolore addominale (49%) e perdita di appetito (39%); a seguire sono riportate reazioni nel sito locale di iniezione (9,8%) ed incremento degli enzimi pancreatici (9,8%). Tra i GLP-1RA, la liraglutide è il farmaco maggiormente utilizzato (dal 93% degli specialisti), soprattutto perché al momento è l'unico approvato dalla FDA in età pediatrica.

È emerso che la durata del trattamento dipende principalmente dalla tolleranza del paziente al farmaco e che la sintomatologia gastrointestinale costituisce la prima causa di sospensione. Il principale limite alla prescrizione è costituito dalla mancanza di esperienza nell'utilizzo di questa classe di farmaci. Nella maggior parte dei casi la liraglutide è stata utilizzata in pazienti tra i 12 e i 15 anni (60%), con un 19% degli specialisti che ha dichiarato di prescriverla anche ad età inferiori. La maggior parte ha dichiarato di averla utilizzata come seconda linea terapeutica dopo il fallimento della monoterapia con metformina (70%), mentre in circa un caso su tre è stata utilizzata da subito in associazione con la metformina.

Per quanto concerne i controlli durante l'assunzione del farmaco, non sono ancora disponibili indicazioni univoche: da un lato, i GLP-1RA sono stati associati con un rischio maggiore di pancreatite, tumore del pancreas e tumore della tiroide a cellule C (Butler PC et al. Diabetes Care 2013; Flashoff M et al. Gastroenterology 2011); una recente metanalisi su 113 trial non ha invece trovato alcun incremento dell'incidenza di tumore pancreatico o pancreatite nei pazienti trattati (Monami M et al. Diabetes Obes Metab 2017). In ogni caso, secondo l'opinione degli Autori è sempre indicato monitorare gli enzimi pancreatici in tutti quei soggetti che in corso di terapia presentino dolore addominale.

In conclusione, questo studio ha il pregio di dimostrare come la maggior parte degli endocrinologi pediatri che ha risposto alla survey utilizzi la liraglutide nei pazienti pediatrici con DM2 e/o obesità e che la sintomatologia gastrointestinale sia la prima causa di sospensione della terapia. Questo studio è l'unico ad aver investigato i pattern di prescrizione della liraglutide in una coorte pediatrica.

La principale limitazione è dovuta al campione ridotto di specialisti che ha risposto, ed al fatto che la maggior parte di questi lavori in un ambiente accademico. È stato osservato che i medici più giovani prescrivono più frequentemente il farmaco, probabilmente per una maggiore conoscenza della molecola e per aver osservato una più ampia casistica di obesi.

A giudizio degli Autori, maggiori sforzi dovrebbero essere compiuti dalle società scientifiche per istruire pediatri ed endocrinologi sulla opportuna prescrizione di GLP-1RA e sul monitoraggio degli eventi avversi.

LINK: https://doi.org/10.1111/pedi.13234

 

A cura di Giulia Rodari

Cranial MRI Abnormalities and Long-term Follow-up of the Lesions in 770 Girls with Central Precocious Puberty

Didem Helvac?o?lu, Serap Demircio?lu Turan, Tülay Güran, Zeynep Atay, Adnan Da?ç?nar, Di?dem Bezen, Esin Karak?l?ç Özturan, Feyza Darendeliler, Ay?egül Yüksel, Fatma Dursun, Suna K?l?nç, Serap Semiz, Sayg?n Abal?, Metin Y?ld?z, A?an Önder, Abdullah Bereket

J Clin Endocrinol Metab. 2021 Jun 16;106(7): e2557-e2566.

Il presente studio si è posto l’obiettivo di indagare la frequenza, l’outcome a lungo termine e i potenziali fattori predittivi di pubertà precoce centrale (CCP) di natura organica in un’ampia coorte di pazienti, alla luce del recente aumento dell'incidenza di CPP, soprattutto nelle bambine di età compresa tra 6 e 8 anni. Tra queste, infatti, la necessità di includere la risonanza magnetica (MRI) tra gli esami da effettuare a scopo diagnostico è ancora argomento fortemente dibattuto.

Sono state indagate 770 pazienti con CPP, che si sono sottoposte a RMN cerebrale tra il 2005 ed il 2017. L’età all’insorgenza era <6 anni in 116 bambine e compresa tra 6 e 8 anni nelle restanti 654. Le lesioni del SNC sono state successivamente seguite nel tempo per un periodo di 6.2 ± 3.1 anni. Dai risultati sono emerse alterazioni alla RMN in 104/770 (13.5%) ragazze. Tra queste, 2.8% erano lesioni del SNC già note, 3.8% di nuova diagnosi e causalmente correlate, 3.1 % probabilmente correlate e 3.8% incidentali. Tra le lesioni riscontrate, 2 (0.25%) sono risultate neoplastiche (un glioma a basso grado e un meningioma), tuttavia nessuna di queste ha richiesto un intervento terapeutico nei successivi 6 e 3.5 anni di follow-up, rispettivamente. L’età alla comparsa del telarca < 6 anni (odds ratio [OR] 2.38; 95% CI 1.08-5.21) ed il rapporto LH/FSH al picco >0.6 (OR 3.13; 95% CI 1.02-9.68) sono risultati significativamente associati al riscontro di lesioni del SNC. Inaspettatamente, tuttavia, tutte le pazienti con lesioni del SNC di natura neoplastica avevano più di 6 anni alla diagnosi.

Recentemente è stato suggerito come la precoce identificazione di forme familiari o genetiche monogeniche, le quali raramente si associano a lesioni organiche del SNC, possa ovviare in parte allo screening di routine mediante RMN (Canton APM, Latronico AC. Brain MRI in Girls With Central Precocious Puberty: A Time for New Approaches. JCEM July 2021. Vol 106, Issue 7, Pages e2806–e2808). Infatti, considerato che circa il 27% delle pazienti con CPP presenta una predisposizione familiare (definita dalla presenza di almeno un parente di primo o secondo grado affetto) o una CPP monogenica, l’indagine imaging potrebbe essere rinviata o addirittura evitata nelle pazienti con un concomitante forte sospetto di predisposizione genetica.

Questo studio mostra che, nonostante il rapporto LH/FSH al picco e l’età di comparsa del telarca < 6 anni siano significativamente correlati alla presenza di lesioni organiche, il loro potere predittivo è apparso debole. Inoltre, tutte le pazienti dello studio con patologie neoplastiche associate a CPP presentavano un’età superiore a sei anni alla diagnosi. Pertanto, l’esecuzione dell’indagine RMN in tutte le CPP di nuovo riscontro sembrerebbe l’approccio migliore per identificare delle possibili sottostanti lesioni del SNC, seppure queste presentino un basso grado di evolutività.Le conoscenze acquisite nell’ambito della genetica potrebbero invece fornire un ausilio nella scelta delle pazienti con CPP familiare in cui evitare o procrastinare l’indagine imaging.

LINK: https://doi.org/10.1210/clinem/dgab190