5/2021

A cura di Antonella Lonero

Diabetes and Prediabetes in Children with Cystic Fibrosis: A Systematic Review of the Literature and Recommendations of the Italian Society for Pediatric Endocrinology and Diabetes (ISPED).

Enza MozzilloRoberto FranceschiClaudia Piona, et al. Endocrinol (Lausanne). 2021 Apr 29;12:673539. doi: 10.3389/fendo.2021.673539

Il diabete correlato alla fibrosi cistica (CFRD) è una comorbidità che impatta negativamente sul suo decorso clinico in termini di funzionalità polmonare, esacerbazioni polmonari, colonizzazione microbica polmonare e parametri auxologici. Il prediabete è un importante predittore sia dello sviluppo di CFRD sia della prognosi sfavorevole della Fibrosi Cistica (FC) nei pazienti pediatrici e adulti. In questa review sistematica della letteratura, tramite l’approccio GRADE, un gruppo di diabetologi pediatri della SIEDP ha formulato le seguenti indicazioni:

- l ‘OGTT è il gold standard per lo screening delle anomalie glicemiche nei periodi di stabilità clinica e andrebbe eseguito una volta all’anno;

- bisognerebbe misurare la glicemia random e a digiuno durante i periodi di esacerbazioni polmonari, la terapia con glucocorticoidi, la nutrizione enterale e in caso di sintomi di diabete;

- non è supportato l’utilizzo del monitoraggio in continuo della glicemia (CGM) come mezzo diagnostico e/o di screening, sebbene sia molto utile nei soggetti con IFG, IGT O INDET e nelle condizioni ad alto rischio;

- nei soggetti con prediabete andrebbe effettuato un OGTT e un monitoraggio tramite CGM di 2 settimane ad intervalli di 6 mesi;

- i pazienti con CFRD e iperglicemia a digiuno dovrebbero iniziare il trattamento con analogo basale (glargine) ad un dosaggio di 0.2 IU/kg/die;

- le iperglicemie post prandiali andrebbero trattate con un analogo rapido ad un dosaggio iniziale di 0.05-0.1 UI/kg e con un rapporto insulina/carboidrati compreso tra 1UI/15 g e 1UI/30 g 

- il rischio di ipoglicemia correlato alla terapia insulinica è basso;

-  il trattamento con insulina porta ad un miglioramento dei livelli di glicemia piuttosto che del valore di HbA1c;

- il trattamento con microinfusore, sebbene usato raramente in questi pazienti, è un’alternativa valida ed efficace;

- nei pazienti con diagnosi di IGT è raccomandato il trattamento con analoghi basali, iniziando con un dosaggio di 0.1-0.2 UI/kg/die;

- nei pazienti con altre condizioni di prediabete, l’inizio precoce della terapia insulinica può dar beneficio e va valutato sulla base dell’OGTT, dei valori glicemici capillari misurati durante le esacerbazioni polmonari e/o in corso di terapia steroidea;

- in tutti i pazienti con diabete e prediabete in trattamento insulinico, l’analisi della glicemia con CGM può essere utile per il monitoraggio del trattamento insulinico.

I limiti di questo studio sono:

1) il numero di RCT disponibili è limitato, in particolare per quanto riguarda l’outcome correlato “all’efficacia del trattamento”;

2) solo pochi studi hanno un numero di pazienti superiore a 100;

3) il CGM è stato usato solo in pochi studi.

Link articolo: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC8130616/


A cura di Annalisa Pedini

Importance of individualizing treatment decisions in girls with central precocious puberty when initiating treatment after age 7 years or continuing beyond a chronological age of 10 years or a bone age of 12 years.

Vargas Trujillo M, et al.

J Pediatr Endocrinol Metab. 2021. PMID: 33856747

Studio retrospettivo che ha analizzato i dati di 48 ragazze precedentemente arruolate in un trial a lungo termine sull’efficacia di Leuprolide. I criteri di inclusione del precedente studio open-label erano stati: comparsa di bottone mammario prima dell’età cronologica (CA) di 8 anni; picco di LH al test GnRH >10U/L; CA <9 anni all’arruolamento; età ossea (BA) avanzata di più di 1 anno rispetto alla CA; assenza di patologia surrenalica o tiroidea associate.

Obiettivo di questo studio era quello di valutare se le ragazze con diagnosi di pubertà precoce centrale (CPP) raggiungevano un beneficio in termini di statura adulta dal trattamento con gonadotropin-realising hormone agonist (GnRHa) quando il trattamento veniva iniziato dopo l’età cronologica (CA) di 7 anni e quando il trattamento era continuato dopo l’età ossea (BA) di 12 anni o la CA di 10 anni.

La previsione staturale adulta (PAH) è continuata ad aumentare per tutta la durata della terapia in quasi tutte le ragazze (45/48) indipendentemente dall’età di inizio del trattamento o dall’età (p<0.001). Due delle tre ragazze che non avevano avuto un incremento della PAH a inizio trattamento, avevano una PAH pre-terapia già molto alta ed entrambe hanno raggiunto la loro altezza target (MPH). Il 91% (30/33) delle ragazze che avevano iniziato il trattamento ad una CA ≥7 anni hanno avuto un miglioramento nella PAH, anche se coloro che avevano iniziato il trattamento prima dei 7 anni mostravano un incremento della PAH e della statura finale più significativo. La PAH media continuava ad aumentare negli anni successivi in 16/19 ragazze che avevavo continuato il trattamento anche dopo il raggiungimento di una BA di 12 anni (range 0.5-4.8 cm). Le tre ragazze che non avevano mostrato un miglioramento della PAH erano già in prossimità della loro MPH o avevano una ridotta velocità di crescita.

Comparando due gruppi in trattamento con BA ≥12 anni e <12 anni: la modifica della PAH durante il trattamento era superiore nel gruppo ≥12 anni (6.5 cm verso 3.9 cm). In 38 ragazze è stata valutata la variazione media della PHA dopo un anno di trattamento e il 76.3% ha mostrato un incremento. Il cambiamento della PAH era simile nelle pazienti con BA ≥12 anni e BA< 12anni e la PAH continuava ad aumentare in 16/22 ragazze che avevano continuato il trattamento oltre i 10 anni di età. Trenta ragazze che hanno proseguito il follow-up fino al completamento della crescita, hanno raggiunto una statura finale di 162.54 ± 7.35 cm (range 146.47-177.11), sovrapponibile al valore della PAH attesa durante il trattamento (162.39 ± 8.38 cm); 16 ragazze hanno però ridotto di circa 2.33 ± 3.4 cm la statura definitiva rispetto alla previsione durante il trattamento. Delle 29 ragazze a cui era stata registrata l’altezza target, 17 hanno raggiunto o superato la loro MPH.

Si tratta di uno degli studi con maggior numero di soggetti, con follow up a lungo termine, in trattamento con leuprolide per CPP, sebbene la numerosità campionaria, rispetto alle variabili esaminate, non consenta di sviluppare un algoritmo decisionale.

In conclusione, il trattamento con leuprolide è in grado di rallentare la maturazione ossea. Le bambine che iniziano il trattamento ad una età compresa tra 7 e 8 anni possono migliorare la loro PAH così come le bambine che intraprendono la terapia prima dei 7 anni. La prosecuzione del trattamento oltre i 10 anni di età e la BA di 12 anni è stato associato ad un ulteriore miglioramento della PAH in quasi tutte le ragazze. La decisione di intraprendere e proseguire la terapia frenante la pubertà va sicuramente individualizzata. BA e CA sono criteri importanti ma non rappresentano gli unici parametri su cui basare le decisioni riguardanti il trattamento.

Link articolo: https://www.degruyter.com/document/doi/10.1515/jpem-2021-0114/html

 

A cura di Gabriella Levantini 

Cost-effectiveness of home versus hospital management of children at onset of type 1 diabetes: the DECIDE randomised controlled trial.

Zoe McCarroll, Julia Townson, Timothy Pickles, et al.

BMJ Open 2021;11:e043523. doi:10.1136/bmjopen-2020-043523.

L’ospedalizzazione alla diagnosi del diabete è un evento stressante per il paziente e per tutta la famiglia. Sono stati condotti diversi studi che dimostrano come sia possibile una gestione iniziale del diabete di tipo 1 (T1DM) a casa piuttosto che in ospedale. Il rapporto costo-efficacia di tale approccio è da valutare. Non possono essere sottovalutati l'importanza di rassicurare il bambino e la sua famiglia e la necessità di fornire loro messaggi chiari, supporto costante ed un’istruzione intensiva ed interattiva, affrontando i problemi che possono verificarsi. Lo studio in esame si propone di stimare il rapporto costo-efficacia della gestione domiciliare rispetto a quella ospedaliera dei bambini alla diagnosi di T1DM

In questo RCT denominato “Delivering Early Care In Diabetes Evaluation (DECIDE)”, svolto tra il 2008 ed il 2013 in otto centri di diabetologia pediatrica del Regno Unito, sono stati arruolati 203 bambini clinicamente stabili di età inferiore a 17 anni con T1DM di nuova diagnosi. I pazienti sono stati randomizzati in un gruppo a gestione domiciliare e uno ospedalizzato. Sono stati valutati sia i costi derivanti dall’utilizzo delle risorse del Servizio Sanitario Nazionale (NHS) del Regno Unito, che i costi indiretti (perdita di produttività) e diretti sostenuti dal paziente e dalla famiglia. Il parametro di efficacia è stato individuato nel livello di HbA1c a 24 mesi. Il rapporto costo-efficacia è stato quindi valutato mediante la differenza del costo totale medio per paziente tra il gruppo di intervento e quello di controllo, diviso per la differenza nella HbA1c media (incremental cost-effectiveness ratio, ICER). Tale rapporto veniva confrontato con i riferimenti del NHS.

Non sono state evidenziate differenze significative nell'HbA1c a 24 mesi tra la gestione domiciliare e quella ospedaliera (72,1 mmol/mol e 72,6 mmol/mol; p = 0,863). Nei 24 mesi in studio, la gestione domiciliare è risultata meno costosa della gestione ospedaliera (- £ 2217; p <0,001). La maggiore differenza nei costi diretti del NHS è stata osservata durante i giorni 0–3 (- £ 2223; p <0,001). In particolare, nei primi 3 giorni, i costi in termini di contatti con il team diabetologico e di viaggi infermieristici sono significativamente più alti per la gestione domestica; tuttavia, questo aumento della spesa è nettamente controbilanciato dal costo della degenza. I costi indiretti del paziente e della famiglia non mostravano differenze. Analizzando il rapporto costo-efficacia, si può concludere che la gestione domestica ha il potenziale per risparmiare sui costi per il NHS, senza modificare l'efficacia clinica (ICER di £ 7434 risparmiati per mmol/mol in meno di HbA1c).

Le linee guida ISPAD raccomandano una gestione ambulatoriale dell’esordio di T1DM, qualora il team di assistenza abbia un’esperienza adeguata. Gli autori di questo RCT sottolineano che questo approccio può essere prezioso, sia in considerazione dell’aumento di incidenza di T1DM, che della domanda di posti letto ospedalieri. Inoltre, sicuramente il risparmio dovuto alle mancate ospedalizzazioni può essere investito nel miglioramento del team multidisciplinare diabetologico pediatrico, nella realizzazione di percorsi terapeutico-assistenziali sul territorio e nella prevenzione della chetoacidosi all’esordio. Potrebbe essere interessante estendere l’analisi oggetto di questo studio nel lungo-termine, utilizzando i QALYs (Quality Adjusted Life Years) e valutando anche altre misure di efficacia, come l’incidenza di ipoglicemia e chetoacidosi.

Link all’articolo: https://bmjopen.bmj.com/content/11/5/e043523

 

A cura di Giorgia Pepe

Is Ovarian Reserve Impacted in Anorexia Nervosa?

Pitts S, Dahlberg SE, Gallagher JS, Gordon CM, DiVasta AD.

Journal of Pediatric and Adolescent Gynecology. 2021 Apr;34(2):196-202. doi: 10.1016/j.jpag.2020.11.021. PMID: 33278562; PMCID: PMC8005478.

Le disfunzioni endocrine conseguenti all’anoressia nervosa (AN) sono molteplici ed includono l’ipogonadismo ipogonadotropo, la resistenza “acquisita” al GH con bassi valori di IGF-1, l’ipercortisolismo ed un’alterata secrezione delle adipochine coinvolte nei meccanismi regolatori del circuito fame/sazietà (adiponectina, leptina, grelina). Ad oggi, nessuno studio ha mai valutato la riserva ovarica follicolare nelle pazienti con AN. L’ormone antimulleriano (AMH) e l’Inibina B rappresentano i principali biomarcatori della riserva ovarica. In particolare, l’AMH, prodotto dalle cellule della granulosa, è un indice di notevole utilità clinica, in quanto i suoi livelli rimangono invariati in qualsiasi fase del ciclo mestruale (a differenza dell’Inibina B). L’AMH raggiunge il picco massimo durante la terza decade, per poi ridursi progressivamente fino alla menopausa, riflettendo il graduale declino della riserva ovarica.

Questo studio clinico randomizzato si propone di valutare in adolescenti e giovani adulte con AN: se la riserva ovarica sia compromessa dalla AN; se i livelli di AMH ed inibina B siano correlabili al decremento ponderale; se anche altri fattori ormonali (estradiolo, leptina, grelina) possano essere predittivi di riserva ovarica.

Sono state reclutate 97 giovani donne (età 11-26 anni), con BMI <20 kg/m2 e diagnosi di AN (posta sulla base dei criteri DSM-V). Sono state escluse dallo studio le pazienti con altre malattie croniche, uso di farmaci (estroprogestinici, corticosteroidi, antiepilettici), consumo regolare di alcool o fumo. Il gruppo di controllo era composto da 19 donne di età simile, sane, normopeso e senza storia di disturbi del comportamento alimentare o di irregolarità mestruali. Casi e controlli venivano sottoposti a valutazione anamnestica (età del menarca, caratteristiche dei cicli mestruali, durata dell’AN, assunzione di farmaci), antropometrica (altezza, peso, BMI) e biochimica (AMH, inibina B, FSH, E2, insulina, cortisolo, adiponectina, leptina).

I livelli di AMH erano più elevati nelle pazienti con AN rispetto ai controlli (p= 0.03), mentre gli estrogeni erano più bassi (p<0.001). Nessuna differenza significativa è stata rilevata per FSH ed inibina B. Il gruppo con amenorrea più duratura presentava livelli più bassi di E2 e più alti di cortisolo, senza differenze significative nelle concentrazioni di AMH. Il 19.6% delle pazienti aveva livelli di AMH superiori al range di normalità (>6.8 ng/ml) e proprio in questo sottogruppo la diagnosi di AN era stata posta da più tempo (in media 9 mesi).

Contrariamente all’ipotesi iniziale degli autori, i livelli di AMH nelle pazienti con AN non sono ridotti, ma sembrano essere normali o addirittura elevati. Tuttavia, il riscontro di un valore di AMH al di sotto della norma dovrebbe far sospettare una ridotta riserva ovarica, sebbene non attribuibile all’AN. Infine, considerati i valori elevati di AMH in circa 1/5 delle pazienti dello studio, gli autori sottolineano un potenziale parallelismo tra AN e PCOS. L’anovulazione presente nella PCOS, infatti, è dovuta ad un eccesso di follicoli antrali secernenti quantità elevate di AMH che interferirebbe con l’FSH. Un modello simile potrebbe spiegare l’amenorrea nelle pazienti con AN ed AMH aumentato.

Lo studio ha il merito di avere indagato per la prima volta la riserva ovarica follicolare in pazienti con AN, sebbene con alcuni limiti tra cui la ridotta numerosità del gruppo di controllo e l’assenza di dati inerenti la morfologia ovarica. In futuro, studi longitudinali su popolazioni più ampie potrebbero essere utili per una migliore definizione dell’ipogonadismo ipogonadotropo nella AN e delle sue implicazioni a medio-lungo termine.

Link articolo: https://www.jpagonline.org/article/S1083-3188(20)30395-8/fulltext