6/2020

A cura di Levantini Gabriella

Effect of 6 Months of Flash Glucose Monitoring in Youth with Type 1 Diabetes and High-Risk Control: A Randomized Controlled Trial.

Sara E. Boucher, Andrew R. Gray, Esko J. Wiltshire, Martin I. de Bock, Barbara C. Galland, Paul A. Tomlinson, Jenny A. Rayns, Karen E. MacKenzie, Huan Chan, Shelley Rose, and Benjamin J. Wheeler.

Diabetes Care 2020 Oct; 43(10): 2388-2395. DOI: 10.2337/dc20-0613.

In letteratura ci sono diverse evidenze che supportano l’uso del monitoraggio continuo del glucosio interstiziale (CGM) al fine di migliorare il compenso metabolico e di ridurre la frequenza di ipoglicemie. Uno dei problemi che caratterizzano l’età adolescenziale è proprio la scarsa aderenza all’autocontrollo glicemico, oltre che alla terapia insulinica.

Questo studio si propone di valutare se il monitoraggio della glicemia interstiziale intermittente (isCGM) migliori il controllo glicemico di adolescenti con emoglobina glicosilata (HbA1c) uguale o superiore a 9%.

Si tratta di un RCT multicentrico, svolto tra aprile 2018 e maggio 2019 in Nuova Zelanda, nel quale sono stati arruolati 64 pazienti con diabete di tipo 1 di età compresa tra i 13 e i 20 anni e con durata di malattia di almeno un anno. Tutti i pazienti presentavano una HbA1c ≥ 9% nei 6 mesi antecedenti l’arruolamento. Sono stati randomizzati in un gruppo di intervento (isCGM, 33 pazienti) ed uno di controllo (glicemia capillare – SMBG, 31 pazienti). Il gruppo di intervento riceveva un’istruzione adeguata riguardo il isCGM. Nei 6 mesi di follow-up è stata valutata la HbA1c. Sono stati studiati inoltre aspetti psicosociali, mediante la somministrazione di questionari sulla qualità della vita (PedsQL generic core scale, PedsQL diabetes module), sulla paura dell’ipoglicemia (Hypoglycemia Fear Survey-II, Hypoglycemia Fear Survey for Children) e sul livello di soddisfazione per il trattamento (Diabetes Treatment Satisfaction Questionnaire status - DTSQs). Infine è stato sottoposto un questionario non validato per la valutazione della tollerabilità del isCGM.

La HbA1c media all’inizio dello studio era pari a 10,8±1,7% nel gruppo isCGM e 11,2±1,6% nel gruppo SMBG. Durante i 6 mesi di follow-up diminuiva a 10,0±1,5% e 10,7±1,5%, rispettivamente nei due gruppi. La riduzione della HbA1c era significativa in entrambi i gruppi (>0,5%), ma non si evidenziava una differenza a favore dei pazienti con isCGM, nonostante l’aumento della frequenza di rilevazioni glicemiche in questo gruppo. Riguardo i questionari somministrati, non sono state riscontrate differenze tra i due gruppi, fatta eccezione per un miglioramento del DTSQs nel gruppo di intervento e di una sottoscala del PedsQL nel gruppo di controllo. Tutti pazienti hanno ben accettato il isCGM.

Nonostante l’aumentata frequenza dei controlli glicemici e la migliore soddisfazione per il trattamento del diabete, non si rileva un miglioramento del controllo glicemico associato all’utilizzo del isCGM nei pazienti in studio. Da notare però che tutti i pazienti, indipendentemente dalla tipologia di tecnologia usata per l’autocontrollo, hanno mostrato un miglioramento della HbA1c, legato probabilmente a cambiamenti comportamentali ampiamente descritti in pazienti inclusi in un protocollo di studio. Gli stessi autori sottolineano come alcuni pazienti siano stati richiamati più volte per eseguire le visite di controllo, attenzione che nella routine non sempre è possibile.

Punti di forza sono sicuramente la natura dello studio, multicentrico randomizzato controllato, l’inclusione di pazienti adolescenti in cattivo controllo glicemico e la volontà di studiare l’impatto del solo isCGM (senza ulteriori fattori come il supporto clinico). La HbA1c è utilizzata da decenni come parametro per indagare il grado di compenso glicemico ed il rischio di sviluppare complicanze, ma attualmente ha assunto importanza la valutazione della variabilità glicemica attraverso indici derivati da sistemi di monitoraggio continuo della glicemia. Sono necessari ulteriori studi, possibilmente randomizzati controllati e su un numero maggiore di pazienti della stessa tipologia, che valutino l’impatto delle tecnologie per l’autocontrollo glicemico sui diversi indici di variabilità glicemica, primo tra tutti il time in range.

Link all’articolo: https://care.diabetesjournals.org/content/43/10/2388

 

A cura di Antonella Lonero

 

Impact of Preconception Treatment Initiation for Hypothyroidism on Neurocognitive Function in Children

Qiongjie Zhou, Chunfang Wang , Huan Xu , Xiaotian Li

https://doi.org/10.1210/clinem/dgaa565 

 

E’ ben noto che la funzione neurocognitiva del nascituro può essere influenzata dall’ipotiroidismo materno e che la disfunzione tiroidea della madre è associata ad outcome gravidici sfavorevoli e ritardo neuroevolutivo nell’infanzia. Da ciò deriva l’importanza del trattamento con levotiroxina (LT4) in gravidanza, in particolare l’inizio del trattamento nel preconcepimento sembrerebbe migliorare lo sviluppo neurocognitivo del nascituro.

Questo studio prospettico di coorte è stato il primo a focalizzarsi sul trattamento con LT4 preconcepimento (prime 8 settimane di gestazione). Gli autori, considerando che l’ormone tiroideo materno è l’unica fonte fino a 18 settimane di età gestazionale, hanno valutato la funzione cognitiva dei bambini per stabilire l’impatto del trattamento preconcepimento dell’ipotiroidismo materno sullo sviluppo neurologico del feto.

Le donne sono state divise in due gruppi: preconcepimento (before conception: BC) e post concepimento (after conception: AC: tra le 8 e le 14 settimane di età gestazionale) in base alla data della diagnosi di ipotiroidismo e all’inizio del trattamento. Le pazienti con ipotiroidismo franco sono state trattate con LT4, così come quelle con ipotiroidismo subclinico e titolo anticorpale (anti-TPO) positivo, modulando mensilmente il dosaggio in base agli esami di funzionalità tiroidea. Le donne con ipotiroidismo subclinico ma con anticorpi negativi non sono state trattate. Sono state escluse dallo studio: le gestanti minorenni, le donne di età superiore a 55 anni, quelle con gravidanze multiple, patologie cardiache, renali, o epatiche. Per valutare lo sviluppo neurocognitivo del bambino è stata utilizzata la scala di Gesell (nella sua versione cinese) a 6, 12, e 24 mesi dall’inizio del trattamento. Tale scala comprende quattro item: motorio, di adattabilità, linguistico e di risposta sociale/emozionale.

Nei bambini è stato scelto come outcome primario lo score totale, come secondari i quattro item. Come outcome secondari gravidici e neonatali sono stati scelti nascita pretermine, complicanze gravidiche, asfissia neonatale, morbilità e mortalità neonatali. 

Delle 466 partecipanti, 187 e 279 appartenevano rispettivamente ai gruppi BC e AC. Entrambi i gruppi erano completamente sovrapponibili all’inizio dello studio, tranne che per una più alta proporzione di partecipanti con anti TPO positivi nel gruppo BC (P<0.001). Non è stata riscontrata alcuna differenza significativa tra i gruppi per quanto riguarda lo sviluppo neurocognitivo a 6, 12 e 24 mesi (P>0.05), tranne valori leggermente inferiori nel gruppo BC dei punteggi di abilità motoria (P=0.009), dei punteggi totali a 12 mesi e dei punteggi di adattabilità a 24 mesi (P=0.037).

Nel sottogruppo dell’ipotiroidismo subclinico persistevano differenze nello score relativo all’abilità motoria (P<0.001) e nello score totale (P=0.026), mentre non vi erano differenze negli outcome gravidici e neonatali correlati alla severità dell’ipotiroidismo e al titolo anticorpale (P>0.05).

In conclusione, questo studio non supporta l’ipotesi che il trattamento precoce con LT4 migliori gli outcome neurocognitivi nei bambini fino ai 2 anni, rispetto ad un trattamento iniziato a 8-14 settimane di gestazione. Vi è, tuttavia, un’inaspettata diminuzione nelle funzioni di mobilità e adattabilità nei figli di donne con ipotiroidismo subclinico. Secondo gli autori questa discrepanza suggerisce la possibilità di un differente tipo di ipotiroidismo in gravidanza chiamato “ipotiroidismo gestazionale” che probabilmente ha una diversa eziopatologia rispetto a quello preconcepimento. Esso sarebbe legato a fluttuazioni dei livelli di TSH nel gruppo AC, parzialmente attribuibili a elevati livelli di beta-hCG che è omologa al TSH e che presenta debole attività tiroido-stimolante nelle fasi precoci della gravidanza. 

I limiti di questo studio sono principalmente rappresentati dal design prospettico (per motivi etici non è stato possibile strutturarlo come studio randomizzato controllato), dall’elevato rate di drop-out per scarsa compliance delle partecipanti ed infine dalla mancanza di un follow-up a 3 e 5 anni.

Link all’articolo: https://academic.oup.com/jcem/article-abstract/105/11/dgaa565/5897077?redirectedFrom=fulltext

 

 

A cura di Annalisa Pedini

 

Parrisone F, Di Paola R, Balter R et al.

Francesca Parissone, Rossana Di Paola, Rita Balter, Simone Garzon, Stefano Zaffagnini, Maria Neri, Virginia Vitale, Gloria Tridello and Simone Cesaro

Female adolescents and young women previously treated for pediatric malignancies: assessment of ovarian reserve and gonadotoxicity risk stratification for early identification of patients at increased infertility risk.

J Pediatr Endocrinol Metab 2020 Oct 19; DOI: 10.1515/jpem-2020-0272.

In questo studio osservazionale retrospettivo sono state valutate 55 ragazze “childhood-adolescent cancer survivors” (CASCs) che hanno partecipato ad un programma multidisciplinare di follow-up a lungo termine c/o l’Ospedale Universitario di Verona. I criteri di inclusione sono stati: età post-menarcale (o età  ³15 anni in caso di assenza di menarca spontaneo), fine-terapia da almeno un anno e remissione completa da malattia; mentre i criteri di esclusione sono stati: gravidanza, allattamento, storia di patologia ovarica (es. endometriosi, cisti ovariche, pregressa chirurgia ovarica).

Sono stati analizzati i valori di follicle-stimulating hormone (FSH), anti-mullerian hormone (AMH) e la conta dei follicoli antrali (AFC) (eseguita mediante ecografia trans-addominale o trans-vaginale) ad inizio-fase follicolare. Sono stati dunque identificati tre gruppi differenti di “riserva ovarica”: 1) premature ovarian insufficiency (POI) definita dalla contemporanea presenza di amenorrea e FSH>30 UI/L; 2) diminished ovarian reserve (DOR) identificata da valori di AMH <5° centile di riferimento per l’età); 3) normal ovarian reserve (NOR) definita dall’AMH > 5° centile. Nei gruppi 2 e 3 i valori di FSH e AFC sono stati comparati ai valori di riferimento considerati predittivi di scarsa riserva ovarica per età nella popolazione italiana e considerati indicativi di DOR ovvero: FSH >10 UI/L o > 95° centile e AFC < 8° o < 5° centile.

Il rischio di gonadotossicità (GR) è stato classificato in alto rischio (HR), medio rischio (MR), basso rischio (LR) utilizzando la classificazione “cancer-treatment” che considera il tipo di tumore ed il trattamento effettuato. La radioterapia ovarica è stata considerata da sola come HR, in base ai dati di letteratura.

Livelli significativamente più bassi di AMH e AFC venivano riscontrati nel gruppo HR, mentre non c’erano differenze significative dei valori di FSH. L’AMH era indosabile in n tutte le pazienti con POI e venivano riscontrati follicoli in fase di sviluppo all’ecografia. Tutte le pazienti con POI rientravano nella classificazione HR. L’analisi univariata (NOR vs. DOR) ha individuato una significativa associazione di DOR con assegnazione al gruppo HR, radioterapia (HR), dose alchilante intesa come cyclophosphamide equivalent dose (CED) ?4000 mg/m2, AMH e AFC come valore assoluto, FSH > 95° e AFC < 8°. AMH < 5° era concordante con FSH >95° e con AFC <8° nella diagnosi di POI, ma non con FSH >10 UI/L o AFC<5° centile. AMH e AFC hanno mostrato una forte correlazione lineare (r=0.76; p<0.0001) anche dopo aggiustamento per età e anche dopo aver escluso le pazienti con POI (r=0.7; p<0.00001).

I dati confermano un alto rischio di problemi di fertilità a lungo termine nelle CACSs (16,4% di POI e 25.5% di DOR - lievemente maggiore rispetto ai dati di letteratura di coorti più numerose).  In queste pazienti, il rischio di gonadotossicità correla con i valori di AMH e AFC post-trattamento. I valori di FSH, oltre ad essere fluttuanti intra e inter-ciclo, sono di difficile interpretazione, specie in caso di terapia sostitutiva o nelle donne con ipogonadismo centrale per irradiazione del sistema nervoso centrale.

I limiti principali dello studio sono rappresentati dalla bassa numerosità campionaria, non stratificabile per patologia, reclutata presso un singolo centro, il che potrebbe aver determinato bias di selezione della popolazione inclusa nel follow-up.

Sebbene servano studi con campioni più numerosi per validare appropriati cut-off età correlati, questi dati confermano che l’AMH e l’AFC sono utili nella valutazione della riserva ovarica e nella precoce individuazione delle adolescenti che necessitano di un appropriato counseling riproduttivo con eventuale preservazione della fertilità.

Link articolo: https://www.degruyter.com/view/journals/jpem/ahead-of-print/article-10.1515-jpem-2020-0272/article-10.1515-jpem-2020-0272.xml

 

 

A cura di Giorgia Pepe

 

Ultrasound Characterization of Disordered Antral Follicle Development in Women with Polycystic Ovary Syndrome

Brittany Y Jarrett, Heidi Vanden Brink, Alexis L Oldfield, Marla E Lujan

The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, Volume 105, Issue 11, November 2020, dgaa515, https://doi.org/10.1210/clinem/dgaa515

 

La sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) è la più comune causa di infertilità femminile causata da disfunzione ovulatoria. Tuttavia, i meccanismi fisiopatologici alla base dell’oligo-anovulazione tipica della PCOS non sono ancora del tutto chiariti. Studi istopatologici hanno evidenziato una disregolazione in diverse fasi della follicologenesi. In particolare, sono stati finora descritti: 1) un “eccesso” di follicoli allo stadio primario o secondario (<5 mm), sostenuto da elevati livelli di LH; 2) un prematuro “arresto” della crescita follicolare, probabilmente dovuto alle basse concentrazioni di FSH; 3) la “persistenza” nel tempo dei follicoli antrali che, su stimolo androgenico, non vanno incontro a regressione ed atresia. Sono ancora piuttosto scarsi i dati relativi agli stadi avanzati della follicologenesi.

Questo studio prospettico, caso-controllo, si propone di analizzare le caratteristiche follicolari ed il profilo ormonale dei cicli anovulatori in una popolazione di donne affette da PCOS. La stessa valutazione è stata condotta anche durante una serie di cicli ovulatori “sporadici” osservati in queste pazienti.

Sono state reclutate 26 donne in età fertile (18-38 anni), con diagnosi di PCOS posta sulla base delle raccomandazioni proposte dall’International PCOS Network (2018). Il gruppo di controllo era composto da 12 donne normopeso (BMI 18.5-30), con cicli ovulatori regolari e normali livelli circolanti di androgeni. Criteri di esclusione erano: gravidanza e allattamento nei 6 mesi precedenti, uso di farmaci interferenti con la funzione ovarica, iperprolattinemia, insufficienza ovarica precoce, disfunzioni tiroidee e/o altre alterazioni ormonali documentate.

Al reclutamento, è stata eseguita una valutazione antropometrica (altezza, BMI, rapporto circonferenza vita/fianchi) e biochimica (glicemia, insulina, SHBG, testosterone, HOMA-IR). La popolazione dello studio è stata poi sottoposta a monitoraggio ecografico transvaginale (con quantificazione del numero e del diametro dei follicoli) ed a prelievo ematico per FSH, LH, 17 beta estradiolo (E2) e progesterone (PG). La valutazione ecografica e biochimica è stata ripetuta a giorni alterni, per 4-6 settimane nelle donne con PCOS, e per la durata di un intervallo inter-ovulatorio nei controlli. L’avvenuta ovulazione era definita dal riscontro ecografico del corpo luteo, seguito da un picco sierico di PG.

Sulla base dell’esame ecografico, 12 pazienti sono state classificate come PCOS con cicli anovulatori (PCOS-Anov) e 14 come PCOS con ovulazioni sporadiche (PCOS-Ov). Dai risultati è emerso che l’eccesso di follicoli era un reperto costante nelle pazienti PCOS-Anov e PCOS-Ov rispetto ai controlli. Durante i cicli anovulatori, il reclutamento follicolare era ciclico nella metà dei casi (6/12) e continuo nella restante metà; è stata documentata una crescita follicolare fino ad un diametro medio di 7.2 mm, con successivo arresto ed involuzione nell’arco di 4.7 giorni. I cicli ovulatori sporadici erano caratterizzati da un reclutamento follicolare ciclico, con tasso di crescita del follicolo simile ai controlli; tuttavia, i livelli sierici di PG erano significativamente più bassi in questo gruppo rispetto ai controlli. I livelli di testosterone erano più elevati nelle pazienti PCOS-Anov rispetto al gruppo PCOS-Ov, confermando il ruolo dell’iperandrogenismo nelle alterazioni della maturazione follicolare. Non è stata osservata la persistenza di follicoli antrali nelle pazienti PCOS, quindi l’eccesso dei follicoli non sembrerebbe dipendere da un ridotto fenomeno di atresia.

Lo studio ha il merito aver documentato l’arresto della crescita follicolare in vivo nella PCOS. Ha inoltre messo in evidenza per la prima volta le caratteristiche ecografiche ed ormonali dei cicli ovulatori sporadici in pazienti con PCOS, delineando uno scenario di possibili implicazioni cliniche e risvolti terapeutici nell’ambito delle disfunzioni ovulatorie.

Link articolo: https://academic.oup.com/jcem/article-abstract/105/11/dgaa515/5891761?redirectedFrom=fulltext