13/2019

A cura di: Annalisa Pedini (Rimini), Chiara Mameli (Milano) e Giorgia Pepe (Messina)

Bonito PD, Licenziati MR, Baroni MG, Maffeis C, Morandi A, Manco M5, Miraglia Del Giudice E, Sessa AD, Campana G, Moio N, Gilardini L, Chiesa C, Pacifico L, Simone G, Valerio G; CARITALY Study on the behalf of the Childhood Obesity Study Group of the Italian Society of Pediatric Endocrinology and Diabetology. The American Academy of Pediatrics hypertension guidelines identify obese youth at high cardiovascular risk among individuals non-hypertensive by the European Society of Hypertension guidelines. Eur J Prev Cardiol. 2019 Aug 6:2047487319868326. doi: 10.1177/2047487319868326. [Epub ahead of print]

Obiettivo dello studio: valutare se i recentissimi criteri dell’American Academy of Pediatrics (AAP) per la diagnosi di ipertensione (cutt-off singolo di 130/80 negli adolescenti >=13 aa), rispetto ai criteri dell’European Society for Hypertention (ESH) (cutt-off fisso di 140/90 negli adolescenti >=16aa), permettano di identificare un maggior numero di bambini e giovani sovrappeso/obesi ad aumentato rischio cardiovascolare.

Popolazione dello studio: bambini ed adolescenti sovrappeso/obesi afferiti c/o centri di secondo o terzo livello per la diagnosi e la cura dell’obesita?, non-ipertesi secondo i criteri dell’ESH, che hanno costituito la coorte dello studio CARITALY sui fattori di rischio cardiometabolici. In totale 2929 soggetti di eta? compresa tra i 6-16 anni osservati nell’arco temporale: 2003-2016. Di questa popolazione 327 ragazzi (11%) sono stati riclassificati come ipertesi applicando i criteri dell’AAP.

Risultati: il gruppo dei 327 soggetti ESH-/AAP+ e? risultato di eta? piu? grande, con livelli di BMI-SDS, HOMA-IR, Trigliceridi, rapporto TC/HDL-C (colesterolo totale/colesterolo HDL) piu? elevati e valori di HDL-C piu? bassi. Nel sottogruppo di 438 bambini/giovani che hanno effettuato anche la valutazione cardiologica il 9% (39 soggetti) e? risultato ESH-/AAP+ con valori piu? alti di Indice di Massa Ventricolare Sinistra (LVMi) rispetto ai giovani EHS-/AAP- (399 soggetti; p=0.016).

Per valutare l’associazione tra Ipertensione e aumento del rischio cardiovascolare sono stati comparati i livelli di insulino resistenza, TC/HDL-C e di Ipertrofia Ventricolare Sinistra (LVH) tra i gruppi con i risultati riassunti nella figura.

Discussione e commento: Forza dello studio sicuramente la numerosita? del campione analizzato. Limiti dello studio: essere uno trasversale e non aver incluso controlli normopeso. I dati dello studio si basano inoltre su una popolazione di etnia prevalente caucasica (Italiani) e non multietnica.

Seppur con questi bias, lo studio dimostra che l’adozione dei criteri AAP 2017 permette una piu? precoce identificazione e gestione dei giovani obesi ad alto rischio aterogeno al fine di prevenire la progressione del danno cardiovascolare e suggerisce la necessita? di rivisitare gli attuali criteri per lo screening e la diagnosi di ipertensione dell’European Society for Hypertension nei bambini sovrappeso/obesi.

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Fuusager GB, Christesen HT, Milandt N, Schou AJ. Glycemic control and bone mineral density in children and adolescents with type 1 diabetes. Pediatr Diabetes. 2019 Aug;20(5):629-636. doi: 10.1111/pedi.12861. Epub 2019 May 7.

Obiettivo dello studio: Obiettivo primario: aumentare le conoscenze sulla densita? minerale ossea (BMD) dei bambini ed adolescenti con Diabete Mellito Tipo 1 (DMT1) investigando il BMD Z-score mediante DEXA (DXA). Obiettivo secondario: identificare fattori di rischio associati ad una bassa BMD.

Popolazione dello studio: 85 bambini ed adolescenti (39 femmine e 46 maschi; 6-17 anni) con DMT1 (durata del diabete 0.4-15.9 anni). Esclusi: soggetti con patologie ossee, patologie croniche e/o trattati con farmaci in grado di modificare il metabolismo osseo.

Risultati: I risultati di BMD Z-score sono stati aggiustati per statura e Body Mass Index (BMI) dal momento che queste due variabili risultavano superiori nel campione studio rispetto alla popolazione generale. Stratificando per sesso i maschi avevano BMD z-score significativamente maggiore (0.38 - 95% Intervallo di confidenza (CI) 0.13-.0.62) rispetto alle femmine (-0.27 (95% CI -0.53-0.00). Uno scarso controllo glicemico (HbAic>58 mmol/mol (7.5%)) nell’ultimo anno era negativamente correlato al BMD Z-score (-0.35 I aggiustato - 95% CI -0.69; -0.014; p=0.04). Nessuna associazione e? stata riscontrata tra BMD Z-score ed eta? alla diagnosi o durata del diabete. Discussione e commento: Gli adulti con DMT1 hanno un rischio aumentato di sei volte di fratture rispetto alla popolazione generale. Nelle recentissime linee guida ISPAD 2018 la valutazione ossea e? diventata prioritaria e viene sostenuta la necessita? di eseguire lo studio DXA negli adolescenti con lunga storia di DMT1. Il meccanismo alla base dell’osteopatia e della fragilità? ossea nei pazienti con Diabete Mellito tipo 1 non e? completamente chiaro. Precedenti studi indicano che i bambini e gli adolescenti con DMT1 hanno un alterato metabolismo osseo caratterizzato da una ridotta attivazione osteoblastica e aumenta attivita? osteoclastica, ma poco si conosce sull’osso dei bambini ed adolescenti con DMT1. Questo studio, seppur trasversale, e? stato condotto su un campione numericamente discreto di soggetti e rispettando i criteri 2014 dell’International Society for Clinical Densitometry per lo studio della densitometria ossea nei bambini ed negli adolescenti.

I risultati di questo studio suggeriscono che elevati livelli glicemici impattano negativamente l’osso ancor prima dell’eta? adulta. Il fatto che non siano stati identificati segni di osteoporosi con l’analisi DXA non permette di avanzare ipotesi sulla patogenesi dell’aumento del rischio di fratture in età adulta che potrebbe essere legata a cambiamenti nella struttura dell’osso ad insorgenza in età giovanile oltre ad avere un’eziologia plurifattoriale.

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Musolino G et al.  Reduced burden of diabetes and improved quality of life: experiences from unrestricted day?and?night hybrid closed?loop use in very young children with type 1 diabetes. Pediatric Diabetes. First published 29th May 2019

Importanza: I sistemi di somministrazione dell’insulina “closed-loop” rappresentano uno dei più importanti avanzamenti tecnologici degli ultimi anni nella cura dei pazienti affetti da diabete. Oltre ai benefici in termini di controllo glicometabolico, è fondamentale studiare l’impatto sulla qualità di vita delle famiglie che vivono quotidianamente con un bambino affetto da diabete tipo 1.

I benefici psicosociali dell’utilizzo di questa tecnologia non sono ancora stati valutati nei bambini in età scolare e prescolare. 

Obiettivo e Metodi: Valutare tramite un questionario ad hoc le esperienze delle famiglie di bambini affetti da diabete tipo 1, di età compresa tra 1 e 7 anni, che hanno utilizzato il dispositivo day?and?night hybrid closed?loop (sistema Cambridge FlorenceM) per 2 periodi di 3 settimane/ciascuno al proprio domicilio. 

Risultati: Le famiglie intervistate hanno riportato:

•             una riduzione del carico (burden) di gestione del diabete

•             meno tempo dedicato alla gestione del diabete

•             una migliore qualità del sonno

Il 90% degli intervistati si è sentito meno preoccupato nei confronti del controllo glicemico del proprio figlio. Le dimensioni dei dispositivi, le prestazioni della batteria e i problemi di connettività sono stati identificati come aree di miglioramento.  

Conclusioni e Rilevanza clinica. I risultati di questo studio hanno mostrato un buon grado di soddisfazione delle famiglie i cui figli utilizzano questa tecnologia e hanno fornito importanti feedback riguardo potenziali aree di miglioramento.

Commento di Chiara Mameli: La gestione quotidiana del diabete di tipo 1 ha un impatto importante nella vita dei genitori, soprattutto se il bambino è molto piccolo in virtù delle caratteristiche della patologia e del basso grado di autonomia di gestione tipico di queste età. I sistemi closed-loop hanno permesso di automatizzare la somministrazione di insulina tramite l’utilizzo di algoritmi. Il processo di avanzamento tecnologico nella cura di malattia è di notevole importanza. Tuttavia, non possiamo dimenticare che l’impatto di una tecnologia non deve essere valutato solo mediante indicatori di controllo glicemico ma anche tramite indicatori altrettanto importanti di qualità di vita. Questo studio mette in luce proprio questi aspetti che sono cruciali per il benessere psicofisico delle famiglie dei nostri piccoli pazienti.

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Thomas Danne International Consensus on Risk Management of Diabetic Ketoacidosis in Patients With Type 1 Diabetes Treated With Sodium–Glucose Cotransporter (SGLT) Inhibitors. Diabetes Care 2019 Jun; 42 (6): 1147-1154. https://doi.org/10.2337/dc18-2316

Importanza e Commento.

Gli inibitori SGLT (cotrasportatore sodio-glucosio) sono nuovi farmaci orali che hanno dimostrato di ridurre efficacemente l'emoglobina glicata, la variabilità glicemica, la pressione sanguigna e il peso corporeo nei pazienti affetti da diabete tipo 1. Tuttavia, studi recenti hanno dimostrato un aumento del rischio assoluto di chetoacidosi diabetica. In alcuni casi l’esordio di chetoacidosi si presentava in maniera atipica con valori glicemici nella norma o lieve iperglicemia complicando il riconoscimento e la diagnosi tempestiva di questa complicanza. Diversi farmaci che appartengono a questa categoria sono attualmente in fase di revisione da parte della Food and Drug Administration e delle agenzie di regolazione europee per l’utilizzo come terapia aggiuntiva all’insulina nei soggetti con diabete di tipo 1. Questa consensus revisiona le evidenze disponibili riguardanti l'uso degli inibitori SGLT e fornisce raccomandazioni per migliorarne la sicurezza nelle persone con diabete di tipo 1.

Gli autori sottolineano, per ridurre il rischio di chetoacidosi, di

•             selezionare accuratamente il paziente a cui somministrare questi farmaci (tra i criteri ricordiamo l’età > 18 anni e la aderenza stretta all’automonitoraggio)

•             prestare molta attenzione alla riduzione della dose insulinica, che deve essere sempre individualizzata

•             iniziare la terapia al più basso dosaggio possibile

•             misurare la chetonemia (o la chetonuria se non è possibile avere accesso alle strisce reattive capillari) quotidianamente come parte dell’automonitoraggio

•             sospendere la terapia in caso di comparsa di nausea, vomito e dolore addominale e misurare la chetonemia/chetonuria

•             sospendere il farmaco 3 giorni prima di effettuare procedure mediche, in caso di impossibilità di bere e mangiare, in corso di malattia acuta e ospedalizzazione

Commento di Chiara Mameli: La consensus è stata redatta da esperti ed opinion-leader internazionali e merita una lettera attenta per l’argomento di grande attualità e di dibattito scientifico. Segnalo anche il commento del Prof. Joseph I. Wolfsdorf1 (SGLT Inhibitors for Type 1 Diabetes: Proceed With Extreme Caution. Diabetes Care 2019 Jun; 42(6): 991-993) pubblicato nello stesso numero della rivista.

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Kalra R, Cameron M, Stern C. Female fertility preservation in DSD. Best Pract Res Clin Endocrinol Metab. 2019 Jul 9:101289. doi: 10.1016/j.beem.2019.

 

Questa interessante revisione australiana si propone di fornire al clinico lo stato dell’arte sulla preservazione della fertilità nelle pazienti affette da disordini della differenziazione sessuale (DSD).

 

I DSD costituiscono un ampio ed eterogeneo gruppo di condizioni cliniche, di cui l’articolo propone un’attenta disamina, con particolare riguardo all’impatto altamente variabile sul potenziale riproduttivo: dalla sindrome adrenogenitale classica con perdita sali (con tassi di fertilità compresi tra 0 e 10%), alle disgenesie gonadiche, come la sindrome di Turner, in cui le tecniche di preservazione della fertilità hanno ampliato notevolmente l’outcome riproduttivo, specie nei mosaicismi 45 X0/46 XX, più spesso correlati ad una funzione ovarica residua.  

Ampio spazio è dedicato alle pazienti oncologiche: chemio e radioterapia, specie con agenti alchilanti, nonché il trapianto di cellule staminali ematopoietiche, inducono una deplezione prematura del patrimonio follicolare ovocitario, motivo per cui è auspicabile che alle pazienti venga offerta la possibilità di preservare la fertilità futura, intervenendo preferibilmente prima del trattamento gonadotossico. 

Tra le opzioni disponibili, la criopreservazione ovocitaria è ormai consolidata in età postpuberale e adulta; la criopreservazione di tessuto ovarico è, invece, una tecnica ancora sperimentale, che rimane l’unica strategia disponibile nelle pazienti prebuberali sottoposte a terapie gonadotossiche.

Numerose le implicazioni etiche in discussione: le criticità insite nell’ottenere il consenso in caso di minori, l’alto tasso di complicanze materno-fetali in molte pazienti con DSD (vedi s. di Turner),  il rischio di recidiva del tumore che la gravidanza potrebbe slatentizzare nelle pazienti oncologiche, l’utilizzo postumo dei gameti prelevati. 

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Krysiak R, Kowalcze K, Bednarska-Czerwi?ska A, Okopie? B. The effect of atorvastatin on cardiometabolic risk factors in women with non-classic congenital adrenal hyperplasia: A pilot study. Pharmacol Rep. 2019 Jun;71(3):417-421. doi: 10.1016/j.pharep.2019.01.014.

 

Background: la sindrome adrenogenitale non classica (NC-CAH) è dovuta ad una carenza parziale dell’enzima 21-idrossilasi, con conseguente accumulo dei precursori a monte della tappa enzimatica bloccata, ma con livelli di cortisolemia in molti casi sufficienti. Il fenotipo clinico e biochimico è spesso caratterizzato da iperandrogenismo, pubarca prematuro, accelerazione della velocità di crescita e bassa statura finale, irsutismo, acne, alopecia, irregolarità mestruali e subfertilità. La terapia con statine riduce i livelli di androgeni, sebbene il loro effetto cardiometabolico non sia mai stato descritto in questa categoria di pazienti.

Obiettivi: valutare l’impatto dell’atorvastatina sui markers sierici ed urinari di rischio cardiometabolico in donne con NC-CAH.

Disegno: studio prospettico.

Metodi: sono state reclutate 12 donne di età compresa tra 20 e 40 anni, con diagnosi biochimica di NC-CAH e segni clinici di iperandrogenismo. Sono state escluse dallo studio le pazienti affette da comorbilità (diabete mellito, POI, tireopatie, malattie cardiovascolari, alterata funzionalità epatica o renale), in terapia con steroidi o con farmaci in grado di influenzare il profilo lipidico. La popolazione è stata sottoposta ad un follow-up della durata di 12 settimane. All’inizio del follow-up e a 12 settimane sono stati valutati: livelli sierici di lipidi circolanti, markers dell’omeostasi glucidica, 17-idrossiprogesterone, DHEA-S, androstenedione, SHBG, testosterone, proteina C reattiva, uricemia, fibrinogeno, omocisteina, vitamina D, rapporto albuminuria/creatinuria, HOMA2-IR e FAI (free androgen index). Sei pazienti con elevati livelli di colesterolo LDL (> 130 mg/dl) sono state trattate con atorvastatina (20-40 mg/die). Il gruppo di controllo, composto dalle restanti 6 pazienti, non ha ricevuto alcun trattamento per l’intera durata dello studio.

Risultati: dopo 12 settimane di terapia con atorvastatina, è stata osservata una riduzione significativa non soltanto dei livelli di colesterolo totale ed LDL, ma anche di 17-idrossiprogesterone, DHEA-S, androstenedione, testosterone. E’ stato inoltre riscontrato un decremento del FAI, dei valori di proteina C reattiva, uricemia, omocisteina e del rapporto albuminuria/creatinuria. La riduzione farmaco-indotta dei livelli di lipidi circolanti correlava positivamente con la riduzione dei livelli di androgeni surrenalici e del FAI. Nessun effetto, invece, è stato registrato sui valori di colesterolo HDL, trigliceridi, markers dell’omeostasi glucidica, SHBG, fibrinogeno. Nel gruppo di controllo, tutti gli indici studiati sono rimasti invariati fino alla fine del follow-up.

Conclusioni: in pazienti con NC-CAH, la terapia con statine sembra essere efficace nel ridurre i fattori di  rischio cardiometabolico; tale decremento correla positivamente con la riduzione dei livelli di 17-idrossiprogesterone e degli androgeni surrenalici.

Commento:  lo studio ha il merito di valutare, per la prima volta in letteratura, l’efficacia delle statine sugli indicatori sierici ed urinari di rischio cardiometabolico in una popolazione di pazienti con NC-CAH, non in trattamento steroideo. Data la dimensione campionaria ridotta ed il breve periodo di trattamento, sarebbero necessari ulteriori studi per confermare i risultati ottenuti.

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