9/2019

A cura di: Davide Tinti (Torino) e Violetta Di Pietrantonio (Palermo)

Bruce W. Bode, Violeta Iotova, Margarita Kovarenko, Lori M. Laffel, Paturi V. Rao, Srikanth Deenadayalan, Magnus Ekelund, Steffen Falgreen Larsen, and Thomas Danne. Efficacy and Safety of Fast-Acting Insulin Aspart Compared With Insulin Aspart, Both in Combination With Insulin Degludec, in Children and Adolescents With Type 1 Diabetes: The onset 7 Trial. Diabetes Care. 2019 May 10. pii: dc190009. doi: 10.2337/dc19-0009.

Importanza: I pazienti affetti da diabete mellito di tipo 1 necessitano di somministrare la terapia insulinica con analogo rapido prima dei pasti (10-30 minuti) per via della cinetica di assorbimento del farmaco, ma spesso i pazienti non rispettano tali indicazioni. Nuove formulazioni di insulina, come la Faster Aspart (FiAsp) promettono maggiore velocità di assorbimento e minor tempo di attesa, ma mancano studi di validazione in età pediatrica.

Obiettivo: Confermare l’efficacia e la sicurezza della insulina faster aspart somministrata prima e dopo il pasto rispetto l’insulina aspart (IAsp) in pazienti in età pediatrica affetti da diabete mellito di tipo 1 già in trattamento con analogo lento Degludec.

Metodi: Sono stati arruolati pazienti affetti da diabete tipo 1 di età 1-18 anni, in terapia basal-bolo, con HbA1c < 9.6%. Un piccolo sottogruppo di pazienti (età > 7 anni, capaci nella conta dei CHO) ha inoltre indossato un CGM ed è stato sottoposto ad un pasto liquido standardizzato. Pazienti con ipersensibilità all’aspart, che assumevano farmaci in grado di influire sulle glicemie e/o sul peso corporeo (es. eutirox, steroidi), con pregressi episodi di chetoacidosi, sono stati esclusi dallo studio. Dopo uno screening di 2 settimane, i partecipanti hanno variato la loro insulina lenta in Degludec e la loro rapida in Aspart in un periodo pari a 12 settimane, adattandone la dose a giudizio dei ricercatori. A seguire, i pazienti sono stati randomizzati con rapporto 1:1:1 ad utilizzare faster aspart o IAsp 0-2 minuti prima del pasto (in doppio-cieco) oppure faster aspart 20 minuti dopo l’inizio dei tre pasti principali. Durante le 26 settimane dello studio, gli sperimentatori hanno variato 1 volta alla settimana la dose di insulina rapida con schemi e target stabiliti dal protocollo dello studio, sulla base di 4-8 misurazioni glicemiche capillari giornaliere. Il sottogruppo CGM ha indossato un Dexcom G4 in cieco per 11-13 gg prima della randomizzazione e alla fine delle 26 settimane di studio, durante le quali i pazienti hanno eseguito dei pasti standard (1.5 g di CHO/kg di peso, max 80 gr, forma liquida), misurando la glicemia capillare 2 minuti prima e 30, 60 e 120 minuti dopo il pasto.

Outcome primario: cambiamento dell’HbA1c 26 settimane dopo l’inizio dello studio. Outcome secondari: cambiamento di glicemia a digiuno e post-prandiale, glicemia media, numero di eventi avversi, ipoglicemie severe, peso corporeo e dose di insulina.

Risultati: sono stati arruolati 777 pazienti, randomizzati nel braccio faster aspart pre-prandiale (n=260) o post-prandiale (n=259) oppure IAsp (n=260) pre-prandiale. 756 partecipanti (pari al 97.3%) hanno completato le 26 settimane di studio. Le caratteristiche demografiche e di malattia erano simili nei tre bracci di trattamento.

Faster aspart somministrata prima e dopo il pasto si è dimostrata non inferiore a IAsp rispetto alla variazione di HbA1c (-0.17% e 0.13%, p < 0.001), mentre l’outcome primario è stato raggiunto per la sola faster aspart somministrata prima del pasto rispetto a IAsp (p=0.007). Nessuna differenza è stata osservata nei 3 gruppi sulla base dell’età. Il cambiamento di HbA1c durante lo studio è mostrato in Figura 1.

Nessuna differenza significativa è stata osservata nei profili glicemici capillari nei 3 bracci di trattamento al baseline, mentre è stata osservata una differenza significativa nella glicemia ad 1 ora dall’ inizio pasto nei pazienti trattati con Faster Aspart prima del pasto rispetto a IAsp, così come tra i pazienti trattati con IAsp prima del pasto rispetto alla Faster Aspart dopo il pasto. Osservazioni simili sono stati osservate nel sottogruppo con CGM (Figura 2).

Non sono state osservate differenze significative in termini di ipoglicemia (eccetto una differenza a favore della faster aspart pre-prandiale rispetto alla post-prandiale in termini di ipoglicemie notturne), né per l’incremento ponderale o altri parametri antropometrici, clinici e laboratoristici (BMI, altezza, stadio puberale, dati di laboratorio, profilo lipidico, esame urine). Gli incrementi della dose sono risultati sovrapponibili nelle 26 settimane di trattamento nei 3 bracci di trattamento.

Conclusioni e Rilevanza clinica: questo studio randomizzato controllato in doppio cieco mostra che l’insulina faster aspart risulta non inferiore ma anzi superiore rispetto alla attuale insulina aspart in termini di variazioni di HbA1c in 26 settimane in bambini e adolescenti con diabete di tipo 1, mentre la faster aspart somministrata dopo il pasto si è dimostrata solo non inferiore rispetto alla semplice aspart. I dati di glucometro e CGM hanno evidenziato un miglioramento della glicemia ad 1 ora dopo l’inizio del pasto (in tutti i pasti) nei pazienti che utilizzavano faster aspart rispetto a aspart o faster aspart somministrata dopo il pasto. Non si sono infine osservate differenze in termini di ipoglicemia e variazioni di dosaggio tra le insuline.


Commento di Davide Tinti: la faster aspart, già approvata per i pazienti adulti, si è dimostrata più efficace nel contenere l’HbA1c rispetto all’insulina Aspart anche nella popolazione pediatrica, a patto che venga somministrata prima del pasto. Il motivo di tale differenza (che peraltro non è significativa tra il baseline e la fine dello studio) può essere ricercato nella minor glicemia post-prandiale, che sembra essere ottenuto solo se la faster aspart viene somministrata a ridosso dell’inizio del pasto. Pertanto, l’indicazione a somministrare l’insulina prima del pasto pubblicata dalle principali società scientifiche (in primis SIEDP ed ISPAD) rimane valida anche per i nuovi analoghi ultra-rapidi nella fascia di età pediatrica, che pertanto non appaiono modificare il modo con cui educhiamo i pazienti ad una corretta somministrazione della terapia insulinica.

Figura 1. Cambiamento di HbA1c durante le 26 settimane di studio per i pazienti nei 3 bracci di trattamento

 

Figura 2. Glucosio interstiziale osservato con CGM in occasione del test di tolleranza nei 3 pasti principali nei 3 bracci di trattamento (in azzurro faster aspart dopo il pasto, in grigio IAsp, in blu faster aspart prima del pasto).

 

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Jeffrey P. Krischer, Xiang Liu, Kendra Vehik, Beena Akolkar, William A. Hagopian, Marian J. Rewers, Jin-Xiong She, Jorma Toppari, Anette G. Ziegler, Ake Lernmark, and the TEDDY Study Group. Predicting islet cell autoimmunuty and type 1 diabetes: an 8-year Teddy study progress report. Diabetes Care. 2019 Jun; 42 (6), 1051-1060

Background: lo studio TEDDY è uno lavoro multicentrico prospettico di coorte, iniziato nel 2004,  e rivolto all’identificazione dei fattori (sesso, storia familiare di DMT1, genotipo HLA DR-DQ, tipo di formula, polimorfismi SNPs in regioni associate al DMT1 non-HLA-dipendenti, assunzione di fibre solubili, assunzione di probiotici e accrescimento nei primi mesi di vita) che possono influenzare lo sviluppo dell’autoimmunità per la beta-cellula (IA), nonché la comparsa del diabete mellito di tipo 1 (DMT1) in età evolutiva.

Obiettivo: valutare la capacità predittiva sullo sviluppo di IA e la progressione verso il DMT1 dei fattori di rischio genetici e ambientali dello studio TEDDY. 

Materiali e metodi: sono stati arruolati pazienti di età compresa tra i 3 mesi e i 15 anni. Le visite di follow up sono state eseguite ogni 3 mesi fino ai 4 anni di età, e successivamente ogni 3 o 6 mesi in relazione alla positività degli autoanticorpi per beta-cellula o alla comparsa di DMT1. Gli autoanticorpi testati, in 2 differenti laboratori, sono stati gli IAA, i GADA, gli IA2. La IA è stata definita come positività di uno degli autoanticorpi in almeno 2 campioni consecutivi. A seconda del tipo di autoanticorpi comparso per primo, i pazienti IA sono stati stratificati in vari sottogruppi, IAA-first e GADA-first. La diagnosi di DMT1 è stata, invece, posta secondo i criteri dell’ADA. Per ciascun outcome (IA, IAA-first, GADA-first, progressione verso il DMT1) è stata valutata la capacità predittiva a 6 anni di età dei noti fattori di rischio già individuati dallo studio TEDDY, sia singolarmente che in associazione, mediante il calcolo della sensibilità e della specificità, delle relative curve ROC e dell’indice di Youden.

Risultati: dei 7777 pazienti arruolati per lo studio TEDDY, 736 (9,5%) hanno sviluppato IA; tra questi bambini, 281 (38%) hanno sviluppato per primi gli IAA (IAA-first), 316 (43%) hanno sviluppato per primi i GADA (GADA-first), 17 (2%) hanno sviluppato per primi gli IA-2A (IA-2A-first), 104 (14%) hanno sviluppato 2 autoanticorpi, e 18 pazienti (2%), infine, hanno presentato positività per 3 autoanticorpi simultaneamente. Nel gruppo dei pazienti con autoimmunità per beta-cellula (IA) 434 hanno sviluppato durante l’intero periodo di follow up 2 o più autoanticorpi, e tra questi, 219 (50,5%) sono progrediti verso il DMT1. All’età di 6 anni, tra tutti i fattori di rischio considerati, il genotipo HLA DR3/4 si è rivelato essere il miglior predittore per lo sviluppo di IA (J=0,117), mentre il polimorfismo rs2476601 (PTPN22) per lo sviluppo primitivo di  IAA (IAA-first) (J=0,123). Lo sviluppo precoce di GADA (GADA-first) è risultato, invece, meglio predetto dal peso a 1 anno di vita (J=0,114), seguito dal genotipo HLA e dal polimorfismo rs2292239 (ERBB3). Nel modello di regressione multivariata, l’area sotto la curva ROC (AUC) al 95% dell’intervallo di confidenza per il gruppo IA è risultata 0,678, per il gruppo IAA-first 0,707, e per il gruppo GADA-first 0,686. Tra i fattori di rischio considerati, il miglior predittore per lo sviluppo di DMT1 a 3 anni dall’insorgenza di positività per più autoanticorpi sembra essere l’età di insorgenza dell’autoimmunità (J= 0,228).

Conclusioni e rilevanza clinica: nonostante lo studio TEDDY abbia identificato i fattori di rischio genetici ed ambientali per lo sviluppo di IA e DMT1, questo lavoro ? che analizza il potere predittivo, a 6 anni di età, di tali fattori di rischio ? mostra che, singolarmente, tale associazione risulta piuttosto debole, mentre, in combinazione, il potere predittivo aumenta considerevolmente seppur raggiungendo livelli modesti. E’ interessante notare che il potere predittivo di tali fattori si modifica con il progredire del follow up.

Commento: E’ indiscutibile la grande rilevanza scientifica dello studio TEDDY, sia per l’enorme numerosità del campione che per il lungo periodo di follow up e la metodologia di studio dei vari fattori di rischio. Tra i limiti dello studio è bene annoverare, però, sia la giovane età della coorte (i risultati, infatti, potrebbero essere diversi dopo un periodo di monitoraggio clinico più prolungato) sia l’omogeneità genotipica della popolazione, selezionata in specifiche aree geografiche e con un HLA ad alto rischio. I risultati modesti (indici di Youden <0,4 e AUC <0,8 per tutti i fattori di rischio, considerati sia singolarmente che in associazione) di questo lavoro derivano, probabilmente, dal fatto che un fattore di rischio statisticamente significativo non è detto che risulti automaticamente un buon predittore di malattia, soprattutto nei casi in cui esso è solo uno dei componenti patogenetici. Il DMT1 è, infatti, una patologia multifattoriale su base autoimmunitaria, la cui patogenesi non è, a tutt’oggi, completamente acclarata. Pertanto, dal momento che attualmente non è possibile realizzare la prevenzione primaria della malattia, risulta di fondamentale importanza, nella pratica clinica, individuare i pazienti ad alto rischio di progressione verso il DMT1, al fine di attuare la prevenzione secondaria della patologia, scongiurando in tal modo, le più pericolose complicanze della DKA e preservando il più a lungo possibile la funzionalità del patrimonio beta-cellulare. 

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