8/2019

A cura di: Nicola Improda (Napoli), Rita Ortolano (Bologna)


Onyebuchi E Okosieme, Peter N Taylor, Carol Evans, Dan Thayer, Aaron Chai, Ishrat Khan, Mohd S Draman, Brian Tennant, John Geen, Adrian Sayers, Robert French, John H Lazarus, Lakdasa D Premawardhana, Colin M Dayan. Primary therapy of Graves’ disease and cardiovascular morbidity and mortality: a linked-record cohort study. Lancet Endocrinology and Diabetes 18 Febbraio 2019

Importanza: La gestione della malattia di Graves’ sia nell’ adulto che nella popolazione pediatrica è complessa ed esistono differenti tipi di trattamento (medico, radioiodio e chirurgico) tutti potenzialmente efficaci, ma non privi di effetti collaterali. I risultati di questo studio forniscono importanti informazioni circa la strategia ottimale da adottare.

Obiettivo: Valutare la mortalità per tutte le cause, la morbidità cardiovascolare e l’efficacia della terapia primaria in una vasta coorte di pazienti affetti da malattia di Graves’.

Introduzione: La scelta della terapia primaria (terapia medica o radioiodio) è guidata dalle possibilità locali (del centro di cura) e dall’esperienza del team. Tuttavia, non è noto se la scelta della terapia iniziale influenza l’outcome a lungo termine.

Pazienti e metodi: Studio caso-controllo retrospettivo su 4189 pazienti affetti da malattia di Graves’ (TRAb-positivi) (3414 femmine e 775 maschi) e 16756 controlli sani (13656 femmine e 3100 maschi). 51 pazienti ricevevano la diagnosi prima dei 20 anni. Tra i pazienti, 3587 erano trattati con farmaci antitiroidei, 250 ricevevano radioiodio con risoluzione della patologia (gruppo radioiodio A), 182 ricevevano radioiodio senza risoluzione della malattia (gruppo radioiodio B). La durata massima del follow-up è di 15 anni. 

Outcome principali: I pazienti che sono trattati con radioiodio con successo hanno una mortalità inferiore rispetto agli altri tipi di trattamento. Indipendente dal trattamento, il raggiungimento di un buon compenso ormonale entro 1 anno di terapia è essenziale per ridurre la mortalità.

Risultati: I pazienti presentavano un’aumentata mortalità per tutte le cause rispetto ai controlli (hazard ratio [HR] 1,22, 95% CI 1,05–1,42). La mortalità era più bassa nel gruppo radioiodio A (HR 0,50, 95% CI 0,29–0,85) rispetto ai pazienti trattati con farmaci antitiroidei ma non rispetto al gruppo radioiodio B  (HR 1,51, 95% CI 0,96–2,37). Concentrazioni persistentemente basse di TSH dopo la diagnosi erano associati con aumentata mortalità indipendentemente dal tipo di trattamento  (HR 1,55, 95% CI 1,08–2,24). Si osservava una correlazione positiva non-lineare tra concentrazione di FT4 ad 1 anno e mortalità per tutte le cause (vedi figura).

Conclusioni e rilevanza clinica: Sebbene coinvolga prevalentemente adulti, questo studio fornisce messaggi utili anche per la gestione di bambini con malattia di Graves’. In particolare sono rilevanti i dati che indicano l’aumento della morbidità cardiovascolare e della mortalità e l’importanza di tentare, indipendentemente dal tipo di trattamento, di ottenere una normalizzazione del profilo tiroideo entro 1 anno dall’inizio della terapia, al fine di ridurre i rischi a lungo termine. Alla luce di tali risultati, ai pazienti in trattamento farmacologico con frequenti ricadute o malattia severa dovrebbe essere offerto un trattamento precoce con radioiodio (ad un’età in cui è possibile). 

Commento:  Questo lavoro è di grande rilevanza scientifica, per via dell’enorme numerosità campionaria, del lungo follow-up (fino a 15 anni dalla diagnosi) e per l’utilizzo di metodi statistici di alto valore, che consentono di distinguere gli effetti dell’ipertiroidismo stesso da quelli del trattamento. I dati sono presentati in maniera chiara e le conclusioni sono dirette e appropriate.

Il principale limite di questo studio è insito nella natura retrospettiva dello stesso, con possibile presenza di altri fattori di rischio non documentati nei medical records.

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Elif A. Oral, Phillip Gorden, Elaine Cochran, David Araújo-Vilar, David B. Savage, Alison Long, Gregory Fine, Taylor Salinardi, Rebecca J. Brown. Long-term effectiveness and safety of metreleptin in the treatment of patients with partial lipodystrophy. Endocrine Febbraio 2019

Importanza: Le lipodistrofie rappresentano malattie rare ed eterogenee caratterizzate da alterata distribuzione o assenza del grasso corporeo e deficit di leptina. Esse sono spesso non diagnosticate, ma negli ultimi anni se ne parla sempre più spesso per la disponibilità di nuovi approcci terapeutici. A tal riguardo, i risultati di questo studio dimostrano che la terapia con Leptina ricombinante (Metreleptin) è in grado di migliorare in modo significativo il profilo metabolico di questi pazienti.

Obiettivo: Valutare gli effetti del metreleptin in pazienti con lipodistrofia parziale.

Introduzione: In Europa, il metreleptin è stato approvato nel 2018 in associazione alla dieta per trattare le complicanze del deficit di leptina in adulti e bambini con lipodistrofia parziale familiare o lipodistrofia parziale acquisita che non hanno raggiunto un controllo metabolico ottimale con la terapia standard. Tuttavia, gli effetti a lungo termine di tale farmaco sono ancora poco noti.

Pazienti e metodi:  Studio prospettico non randomizzato open-label condotto su 41 soggetti (di cui 40 femmine) con lipodistrofia parziale di età maggiore a 6 mesi con concentrazioni di Leptina < 12.0 ng/mL e diabete, insulino-resistenza o ipertrigliceridemia, trattati con metreleptin con una o 2 dosi giornaliere. 85.4% dei pazienti aveva una lipodistrofia familiare parziale, mentre il 14.6% aveva una lipodistrofia parziale acquisita. Venivano valutati gli eventuali eventi avversi e i cambiamenti nell’arco di 12 mesi in HbA1c, Trigliceridi, glicemia, volume epatico.

Risultati: Si osservava una riduzione significativa dei valori di HbA1c, Trigliceridi, glicemia e volume epatico a 12 mesi dall’inizio del trattamento. In un sottogruppo di pazienti (n= 35) con baseline HbA1c ≥ 6.5% o Trigliceridi  ≥ 5.65 mmol/L, si osservava una riduzione fino a ≥ 2% per l’HbA1c o ≥ 40% per i trigliceridi in circa il 40% dei soggetti, con una significativa riduzione in HbA1c, Trigliceridi e glicemia anche a 36 mesi.

Sebbene non era possibile sospendere il trattamento con insulina nei 19 pazienti trattati con tale farmaco, mentre era possibile interrompere trattamento con ipoglicemizzanti orali o farmaci per la dislipidemia in 2 pazienti, rispettivamente. 

Il metreleptin era generalmente ben tollerato e i più comuni eventi avversi legati al trattamento erano dolore addominale, ipoglicemia e nausea.

Conclusioni e rilevanza clinica: I risultati di questo studio dimostrano che il metreleptin è un farmaco sicuro ed efficace nel mitigare le complicanze metaboliche della lipodistrofia parziale (congenita o acquisita), soprattutto nei pazienti con alterazioni iniziali più severe.

Questo studio sottolinea l’importanza di identificare i pazienti con lipodistrofia parziale tra quelli che affollano i nostri ambulatori per problemi di ordine metabolico, in quanto per questi pazienti esistono possibilità terapeutiche emergenti aggiuntive al classico trattamento dietetico.

Commento:   Sebbene questo studio sia condotto in maniera metodologicamente corretta, è limitato dalla scarsa numerosità campionaria (da tenere conto però che si tratta di una malattia rara e sotto-diagnosticata). Poiché quasi tutti i soggetti erano di sesso femminile, questo studio non consente di valutare le differenze nei 2 generi.

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Licenziati MR, Valerio G, Vetrani I, De Maria G, Liotta F, Radetti G. Altered thyroid function and structure in overweight and obese children and adolescents: reversal after weight loss. J Clin Endocrinol Metab. 2019 Mar 15. pii: jc.2018-02399. doi:10.1210/jc.2018-02399. [Epub ahead of print]

Introduzione

Molto frequentemente i pazienti obesi presentano un’alterazione della funzionalità tiroidea e della struttura ghiandolare in assenza di malattia tiroidea, che potrebbero essere secondarie a uno stato infiammatorio. Infatti l’aumento delle citochine infiammatorie nei pazienti obesi potrebbero alterare la funzione del NIS con conseguente rialzo del TSH. Contestualmente l’aumento delle citochine infiammatorie potrebbe determinare cambiamenti del parenchima tiroideo con caratteristiche ecografiche simili a quelle della tiroidite. L’obiettivo di questo studio è quello di dimostrare che la perdita di peso dovrebbe normalizzare le alterazioni tiroidee suggerendo che le modificazione sovra citate sono funzionali.

Pazienti e metodi

Sono stati arruolati bambini e adolescenti obesi o sovrappeso afferenti a un centro italiano di endocrinologia pediatrica di età compresa tra i 4-18 anni, con alterazioni ecografiche tiroidee in assenza di auto anticorpi circolanti e in benessere. La popolazione studiata includeva 96 pazienti posti in regime dieto-terapeutico e psicologico/comportamentale per la perdita di peso.

Tutti i pz sono stati sottoposti al tempo zero e dopo un anno circa di trattamento dietoterapeutico e comportamentale a:

  • valutazione clinica per peso, statura, BMI, circonferenza vita, puberale, pressione…,
  • laboratoristica per TSH, Ft4, assetto glucidico, lipidico, funzionalità epatica, emocromo con conta dei globuli bianchi e proteina c reattiva (PCR) per valutare lo stato flogistico
  • ecografia tiroidea per valutare struttura e volume ghiandolare

Risultati

L’analisi statistica dei dati mostra che una riduzione in SDS del BMI e del delta PCR si associano a una riduzione significativa del TSH, mentre la riduzione in SDS del BMI è l’unico predittore della riduzione del volume della ghiandola tirodea all’ecografia.  

Discussione

Questo studio dimostra che le alterazioni della funzione tiroidea e della struttura ghiandolare tiroidea nei pazienti obesi sono comuni e reversibili. In particolare, i cambiamenti strutturali, ecografici tiroidei si sono completamente normalizzati nel 50% dei pazienti. Limite dello studio è l’utilizzo della conta dei globuli bianchi e della PCR come soli indicatori flogistici mentre si sarebbero potute utilizzare delle citochine infiammatorie. Un punto di forza dello studio è rappresentato dal fatto che i bambini sono stati seguiti rigorosamente in un singolo centro e motivati da frequenti incontri con un team multidisciplinare. Inoltre l’ecografia tiroidea è stata eseguita da un singolo operatore esperto. Sebbene i risultati non sono in grado di dimostrare che l'infiammazione potrebbe spiegare le alterazioni ecografiche della tiroide riscontrate nell'obesità infantile, sono rilevanti da un punto di vista clinico poiché mostrano chiaramente che le alterazioni parenchimali osservate nei pazienti obesi non sono espressione di una malattia della tiroide, ma una conseguenza dell'eccesso di peso. Perciò, il trattamento con tiroxina non è necessario, mentre un trattamento basato sulla dieta e le modifiche dello stile di vita sono fondamentali. Una diminuzione media di 0.4 dell’SDS BMI SDS sembra essere efficace per ottenere un miglioramento o un'inversione delle alterazioni strutturali della tiroide.

COMMENTO

Questo studio conferma dati già precedentemente pubblicati e riguardanti le alterazioni del TSH nei pazienti obesi che si normalizzano in seguito al calo ponderale. Introduce il concetto inerente la reversibilità delle concomitanti alterazioni ecografiche e dovrebbe essere tenuto bene in mente da tutti gli endocrinologi pediatrici che potrebbero essere tentati ad iniziare un trattamento ormonale in presenza di un rialzo del TSH e/o segni ecografici chiari di tiroidite di un Hashimoto, anche in assenza di anticorpi anti-tiroide circolanti al fine di prevenire un inutile trattamento in  questa categoria di pazienti obesi per i quali l’unico trattamento corretto è la perdita di peso.

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New MI, Ghizzoni L, Meyer-Bahlburg H, Khattab A, Reichman D, Rosenwaks Z. Fertility in patients with nonclassical congenital adrenal hyperplasia. Fertil Steril. 2019 Jan;111(1):13-20. doi: 10.1016/j.fertnstert.2018.11.023.

COMMENTO PERSONALE

Propongo la lettura di questo lavoro che ritengo più scolastico che innovativo scritto da un gruppo di esperti nella materia tra cui spicca la Professoressa New che non necessita di presentazioni in merito agli studi sull’iperplasia surrenalica congenita (CAH). La  lettura di questo lavoro mi ha accattivata per la forma espositiva ma allo stesso tempo mi ha consentito di  approfondire alcuni temi inerenti la difficile gestione della pazienti con forme non classiche di CAH (NC-CAH) per le quali spesso la comune terapia con gluocorticoidi controlla bene la funzionalità surrenalica ma non riesce da sola a indurre l’ovulazione e a ripristinare dunque la regolarità mestruale/fertilità.

IL LAVORO

Il lavoro comincia con il Pedigree di Abramo e Sarah del Vecchio Testamento della Bibbia e con la speculazione che Sarah, moglie di Abramo ma anche sua nipote, potrebbe essere stata inferitile a causa di una forma di NC-CAH che come sappiamo frequentemente si associa a infertilità in nati da genitori consanguinei.

Ed è dovuta proprio alla Professoressa New la scoperta del primo caso di  NC-CAH che mentre analizzava un giovane paziente affetto da CAH virilizzante semplice da deficit di 21-idrossilasi richiedendo il prelievo dei genitori rimase sorpresa nel trovare che il padre del ragazzo presentava alterazioni ormonali compatibili con un paziente affetto e al genotipo infatti presentava un’eterozigosi composta per una mutazione grave e per una mutazione lieve del gene CYP21A2. Fu proprio questo genitore a suggerire che sua sorella potesse presentare anch’essa una NC-CAH in quanto era infertile e con turbe del ciclo mestruale. La donna genotipicamente identica al fratello e “sintomatica”  divenne dunque il primo caso di NC-CAH da deficit di 21-idrossilasi.

Oggi sappiamo bene che la forma NC-CAH è una delle più comuni cause di alterazione della steroidogenesi a trasmissione autosomica recessiva. La sua prevalenza è sottostimata e spesso si presenta nell’infanzia con pubarca anticipato, acne e avanzamento dell’età ossea. La diagnosi viene spesso fatta da specialisti endocrinologi in medicina riproduttiva perché l’infertilità è il sintomo più frequente. Tutte le pazienti con fenotipo PCOS-like dovrebbero essere sottoposte a uno studio della funzionalità surrenalica tramite ACTH Test. Nella figura 7 di questo lavoro viene riportato il nomogramma per la concentrazione sierica di 17OHP di base e dopo stimolo con ACTH  per la diagnosi di forme classiche e non classiche di CAH della professoressa New.

Nel lavoro inoltre vengono esplicati i possibili meccanismi fisiopatologici responsabili dell’inferilità nelle forma NC-CAH che tuttavia rimangono ancora complessi e non del tutto chiari. Inizialmente si presumeva che l’iperandrogenismo determinasse un eccesso di estrogeni per effetto dell’aromatasi periferica, oggi si pensa piuttosto che l’iperandrogenismo determini un blocco del GnRH e il trattamento con steroidi delle pazienti CAH normalizza i livelli di LH e la sua risposta agli impulsi del GnRH. Tuttavia il trattamento diretto delle pazienti con PCOS con androgeni non altera la secrezione basale di LH, pertanto l'esatto meccanismo con cui elevati livelli di androgeni influenzino l'ipotalamo e l'ipofisi rimane alquanto oscuro. Gli elevati livelli di androgeni surrenalici possono agire direttamente sull’ovaio, ispessiscono la capsula ovarica e aumentano il numero dei follicoli preantrali e modulando forse la steroidogenesi ovarica. Sebbene i pazienti affetti da forma classica di CAH abitualmente richiedono un trattamento con steroidi esogeni, molte persone con forma NC-CAH possono concepire in seguito a poca terapia o a nessuna terapia. Per le pazienti che sono poco candidate per il trattamento con glucocorticoidi o per quelle in cui si osservano reazioni avverse, spesso per indurre l’ovulazione si possono utilizzare il  clomifene o gli inibitori dell’aromatasi. Per le  pazienti non responsive si potrebbe tentare il trattamento con  gonadotropine iniettabili insieme a un trattamento con glucocorticoidi a basse dosi, ponendo l’attenzione al rischio di gestazioni multiple.

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