19/2018

A cura di: Gerdi Tuli (Torino) e Alberto Casertano (Napoli)

 

Boekhoff S, Bogusz A, Sterkenburg AS, Eveslage M, Müller HL. Long-term effects of growth hormone replacement therapy in childhood-onset craniopharyngioma: results of the German Craniopharyngioma Registry (HIT-Endo). Eur J Endocrinol. 2018 Oct 12;179(5):331-341. doi: 10.1530/EJE-18-0505.

Obiettivo: Il craniofaringioma è un tumore cerebrale a basso grado di malignità e con un elevato tasso di sopravvivenza in età pediatrica. L’elevata frequenza delle comorbidità nei pazienti con esordio di craniofarignioma in età pediatrica influenza in modo importante la qualità di vita, la prognosi e l’outcome a lungo termine. L’identificazione dei fattori di rischio per sequele come ad esempio il deficit di GH è importante per il trattamento più appropriato e la riabilitazione di questi pazienti.

Metodi: in questo studio cross-section sono stati reclutati 79 pazienti e suddivisi in base alla terapia con GH: (a) pazienti non trattati; (b) pazienti trattati solo durante l’età pediatrica; (c) pazienti trattati solo durante l’età adulta; (d) pazienti che hanno iniziato il trattamento in età pediatrica e che hanno proseguito la terapia in età adulta. I parametri analizzati sono stati: la ricaduta della malattia, la sopravvivenza, l’altezza, il BMI e lo status neuro-psico-sociale.

Risultati: i parametri della ricaduta della malattia di base e della sopravvivenza sono risultati simili in tutti i gruppi. I pazienti trattati con GH durante l’età pediatrica avevano un’altezza significativamente superiore rispetto agli altri gruppi sia in caso di trattamento effettuato solo durante questa fascia d’età, sia in caso di proseguimento della cura in età adulta. In tutti i gruppi, fatta eccezione per il gruppo trattato con GH solo in età pediatrica, il BMI è risultato superiore rispetto al BMI alla diagnosi. Non vi sono state delle differenze in merito allo stato psico-sociale tra i gruppi.

Conclusioni: gli autori concludono evidenziando la sicurezza nell’uso del GH in relazione alla progressione del tumore o alla ricaduta della malattia. La crescita in altezza migliora con la terapia con GH, mentre l’obesità non viene influenzata dalla terapia sostitutiva. L’inizio precoce della terapia con GH dopo la diagnosi potrebbe avere effetti positivi sull’obesità e l’outcome neuropsicologico.

Commento:

Lo studio rinforza il dato della sicurezza nell’uso del GH nei pazienti con esordio di craniofaringioma in età pediatrica e riporta l’efficacia di tale terapia sull’altezza rispetto ai soggetti non trattati. Il trattamento con GH non influenza l’andamento rapidamente ingravescente dell’obesità in questi soggetti anche se gli Autori ipotizzano un eventuale effetto positivo in caso di inizio precoce della terapia sostitutiva. Questo dato necessita di conferme con ulteriori studi tenendo presente il meccanismo dell’obesità ipotalamica che si sviluppa in questi pazienti dopo l’intervento neurochirurgico.

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Ravishankar Palaniappan, Arvind Krishnamurthy, Swaminathan Rajaraman, R Krishna Kumar. Management outcomes of pediatric and adolescent papillary thyroid cancers with a brief review of literature. Indian J Cancer. 2018 Jan-Mar;55(1):105-110. doi: 10.4103/ijc.IJC_486_17.

 

Obiettivo: Il carcinoma papillifero della tiroide è un tumore raro in età pediatrica ed adolescenziale e rappresenta circa 1.5-3% di tutti i tumori in età pediatrica. In questo studio viene presentata l’esperienza di un centro di terzo livello nel periodo 1998-2013.

 

Metodi: sono stati analizzati i dati di 67 pazienti di età < a 21 anni tenendo conto dei dati demografici, della presentazione clinica, del trattamento chirurgico e dell’outcome.

 

Risultati:

Il rapporto maschio/femmine nella popolazione studiata è risultato 1:1.6. Nella maggior parte dei casi il segno clinico principale risultava essere il nodo tiroideo nel contesto di struma tiroideo (52 pazienti, 77.6%) mentre la presentazione iniziale con nodo tiroideo isolato era presente in 13 pazienti (19.4%). In 7/67 pazienti è stata effettuata l’emitiroidectomia mentre in tutti gli altri casi è stata effettuata la tiroidectomia totale con eventuale linfoadenectomia. L’ablazione del residuo ghiandolare è stata praticata in 10/67 dei pazienti mentre l’ablazione delle metastasi polmonari in 11/67 soggetti. Tra le varianti istologiche risultavano quella classica, follicolare ed a cellule giganti nel 65.7%, 28.4% e 5.9% dei casi. La durata mediana del follow-up è risultata 104 mesi durante i quali si sono verificate ricadute in 11 soggetti di qui 2 locali, 6 nodali e 2 sistemiche. La sopravvivenza libera da malattia a 5 e 10 anni è risultata essere 85.9% e 81.4%, rispettivamente.

 

Conclusioni:

In questo studio viene confermato il fatto che il tumore papillifero della tiroide è un tumore raro in età pediatrica e con un comportamento differente rispetto all’età adulta anche se la presentazione iniziale è molto simile. Tale tumore è associato con eccellenti outcome di sopravvivenza in età pediatrica. 

 

Commenti:

Questo studio raccoglie una casistica importante nonostante si tratti di un tumore raro in età pediatrica e conferma il comportamento differente di questo tumore in età pediatrica rispetto all’età adulta: dimensioni maggiori, coinvolgimento linfonodale maggiore e maggior rischio di metastasi che quasi sempre si localizzano nei polmoni. Viene rimarcata la necessità della tiroidectomia totale in questi pazienti riportando l’evidenza che 3/7 bambini a cui è stata effettuata l’emitiroidectomia, hanno avuto una ricaduta nel lobo contro laterale, nonché di eseguire la terapia radio-ablativa nei casi di estensione loco regionale linfonodale della malattia o di metastasi distanti.

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Paresh Dandona, Chantal Mathieu, Moshe Phillip, Lars Hansen, Diethelm Tschöpe, Fredrik Thorén, John Xu, Anna Maria Langkilde, on behalf of the DEPICT-1 Investigators. Efficacy and Safety of Dapagliflozin in Patients With Inadequately Controlled Type 1 Diabetes: The DEPICT-1 52-Week Study. Diabetes Care. 2018 Dec;41(12):2552-2559. doi: 10.2337/dc18-1087. Epub 2018 Oct 23.

 

Il DEPICT-1 è il primo studio multicentrico, randomizzato-controllato (fase 3) che si è proposto di valutare a lungo termine efficacia e sicurezza del Dapagliflozin, in aggiunta alla terapia insulinica, in pazienti con diabete tipo 1 in scarso controllo glicometabolico (HbA1c 7,7-11 %). La molecola è un inibitore del co-trasportatore renale sodio-glucosio (SGLT2) già nota nel migliorare controllo glicemico, pressione arteriosa e peso corporeo in pazienti con Diabete tipo 2.

Sono stati confrontati tre bracci di trattamento: Insulina + Dapagliflozin 5mg vs Insulina + Dapagliflozin 10 mg vs placebo. I risultati di una prima fase a 24 settimane hanno mostrato riduzione statisticamente e clinicamente significativa dell’HbA1c, del peso corporeo e della dose insulinica giornaliera senza un significativo aumento di chetoacidosi e ipoglicemia, nei pazienti trattati con Dapagliflozin. Tali risultati si sono confermati estendendo l’analisi a 52 settimane.

1. Riduzione dell’HbA1c media: Dapagliflozin 5mg - 0,27% (0,06) ; Dapagliflozin 10 mg  -0.31 % (0,06); placebo 0,06% (0,06)

2. Riduzione media del peso corporeo: Dapagliflozin 5mg -2.8% (0.33); Dapagliflozin 10 mg  -4,39% (0,31); placebo 0,15% (0.32)

3. Riduzione della dose insulinica giornaliera media: Dapagliflozin: 5mg -8%; Dapagliflozin 10 mg  -10%; placebo -2%. 

Inoltre un maggior numero di pazienti che ricevevano Dapagliflozin rispetto al placebo ottenevano una riduzione dell’HbA1c > 0,5% a 52 settimane, anche in assenza di ipoglicemia severa. I dati si confermavano anche stratificando la popolazione per HbA1c e peso di partenza, tipo di monitoraggio glicemico (capillare o interstiziale), modalità di somministrazione insulinica (multi iniettiva o microinfusore). Come nelle prime 24 settimane, non si è riscontrata differenza significativa nell’incidenza di episodi di ipoglicemia.  Tuttavia, “a lungo termine” (52 settimane) si è riscontrato un numero maggiore di eventi avversi, perlopiù infezioni respiratorie e genitourinarie, reazioni di ipersensibilità (soprattutto cutanee), nonché di chetoacidosi (4%, 3,4% vs 1,9%). Questi ultimi eventi erano principalmente imputabili a guasto dei microinfusori o dose insulinica mancata per dimenticanza.

In conclusione la terapia “adiuvante” con Dapagliflozin in pazienti con DM1 in scarso controllo glicometabolico appare promettente e non aumenta il rischio di ipoglicemia grave bensì quello di chetoacidosi.

 

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Burckhardt MA, Roberts A, Smith GJ, Abraham MB, Davis EA, Jones TW. The Use of Continuous Glucose Monitoring With Remote Monitoring Improves Psychosocial Measures in Parents of Children With Type 1 Diabetes: A Randomized Crossover Trial. Diabetes Care. 2018 Dec;41(12):2641-2643. doi: 10.2337/dc18-0938. Epub 2018 Oct 30.

 

Un buon controllo glicometabolico in un paziente pediatrico con DM1 non dipende solo dalla possibilità di prevenire variazioni glicemiche, ma anche dalla capacità di controllare gli eventi stessi di iper ed ipoglicemia. In particolare la sola paura dell’ipoglicemia può di per sé compromettere il controllo glicometabolico del paziente oltre che la qualità di vita dell’intera famiglia. È stato già dimostrato che sensori glicemici con collegamento in remoto riducano il rischio di ipoglicemie prolungate notturne, tuttavia non è stato ad oggi sufficientemente studiato l’impatto psicosociale sull’intera famiglia di tali sistemi di monitoraggio.

A tal proposito è stato condotto in Australia uno studio sul CGM con collegamento in remoto (Dexcom G5) indirizzato primariamente a valutare le ricadute psicosociali familiari del sistema.

Lo studio prospettico, in aperto, è stato condotto su una popolazione di 49 bambini (31 femmine, età media 9,5  ± 1.9 anni) affetti da DM1 in media da 3.9 ± 2.5 anni e con HbA1c 7,7% ± 0.7 %.

I pazienti con i loro genitori hanno ricevuto specifica formazione per l’uso del sistema prima di ricevere tutti il Dexcom G5 con monitor in remoto (trattamento) per almeno un genitore per un periodo di tre mesi consecutivi precedente o successivo (a seconda della randomizzazione) ad un periodo di altri 3 mesi in monitoraggio tradizionale (controllo).

Al termine di ciascuno dei trimestri ai genitori e ai bambini di età superiore agli otto anni sono stati fatti compilare specifici questionari.

I dati elaborati nel lavoro riguardanti solo i genitori, mettono in luce dopo il trattamento:

1. Significativa riduzione della paura di ipoglicemia (Hypoglicemia Fear Survey)

2. Miglioramento della qualità della vita (PedsQL 2.0 Family Impact Module)

3. Riduzione dello stress (Depression Anxiety Stress Scale)

4. Miglioramento della qualità della vita (Pittsburgh Sleep Quality Index)

5. Riduzione significativa del numero di rilevazioni glicemiche capillari: 3.7 vs. 6.2 (P = 0.001)

Infine mediante un questionario specifico è stato rilevato un significativo livello di soddisfazione dopo l’uso del CGM. Va sottolineato che l’HbA1c media dopo l’intervento era simile a quella dopo il periodo controllo; dunque di per sé tale strumento in assenza di adeguati interventi di formazione sulla patologia non basta a migliorare il controllo glicometabolico.

Concludendo questo studio dimostra che il sistema CGM con controllo in remoto può migliorare la qualità della vita dei genitori dei bambini affetti da DM1 in termini di paura-ansia, stress e qualità del sonno. Tali effetti possono contribuire a rafforzare l’alleanza terapeutica e la sicurezza dei genitori per una ottimale formazione e gestione della patologia dei loro bambini.

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