Il diabetologo ideale? Un incrocio tra Brontolo e Biancaneve

 

Con questa brillante similitudine, Fergus Cameron (Melbourne, Australia) ha descritto le qualità del diabetologo ideale, riassumendo così i risultati di un suo recente studio in cui Cameron  indagava in maniera sistematica l'effetto del fattore "umano" sull'outcome (Hb1AC target), discriminando i fattori legati alla personalità da quelli legati al tipo di cura.  

Lo studio, condotto presso il Royal Children's Hospital di Melbourne, ha arruolato tutti i pazienti con DT1 in cura da almeno un anno con uno stesso medico e li ha seguiti in maniera prospettica per 3 mesi. Ai clinici era stato chiesto di compilare 3 questionari, tra cui uno sulle loro linee ed obiettivi di cura  (livelli glicemici target e Hb1AC), il Diabetes Attitude Scale ed il Big Five Personality Inventory (agreeableness, conscientiousness, extraversion emotional stability, openness to new experiences). L'outcome primario era l'Hb1AC media dei pazienti per ciascun clinico, aggiustato per numero di pazienti, età, sesso, data dalla diagnosi, regime insulinico e tasso di ipoglicemia grave.

Nonostante la larga omogeneità tra il metodo di cura e il campione di 700 pazienti pediatrici con caratteristiche simili, i risultati hanno mostrato una differenza statisticamente significativa (F = 2.36; df = 7; p = .022) in termini di medico curante nei valori target di Hb1AC (da 7.7% a 8.3%) raggiunti dai rispettivi pazienti.  La personalità "gradevole/accomodante" che inizialmente sembrava avere un effetto positivo è risultato alle successive analisi ininfluente, mentre i fattori maggiormente influenti erano la risoluzione e la rigidità del medico sui target da raggiungere e la convinzione del medico riguardo l'importanza di educare la famiglia ed il paziente a scelte informate.

Il range di Hb1AC tra i pazienti curati al centro era molto ampio, quasi paragonabile ad una variabilità tra centri, nonostante gli stessi standard di cura dei medici del loro centro e le caratteristiche omogenee dei pazienti. Tuttavia, i medici i cui pazienti ottenevano i risultati migliori risultavano essere (i) i medici che non ponevano limiti inferiori come target Hb1AC e (ii) i clinici meno "accomodanti".

Come interpretare quindi questi risultati? Come diceva Cameron, il luogo comune secondo cui il medico migliore è quello simpatico non è sempre vero. "Purtroppo la malattia è vera, è cruda, e poco simpatica, è inutile quindi girare tanto intorno alla faccenda. Nello scegliere il medico, il paziente più vulnerabile probabilmente deve orientarsi verso quello più simile a "Brontolo", lasciando il ruolo di Biancaneve all'infermiere che fornisce il supporto e la formazione alla famiglia del paziente".

Inoltre, come notava Cameron, uno dei contributi importanti dello studio è quello di fornire dati da un campione uniforme di pazienti e -soprattutto- di standard di cura essendo, infatti, quello del Royal Children's Hospital una struttura (lievemente sottodimensionato in termini di personale) in cui il paziente viene seguito per tutto il suo percorso di cura da uno stesso diabetologo che lo prende in carico dal momento della diagnosi in poi (media di 2.7 visite all'anno).