8/2021

A cura di Valentina Assirelli

Rationale of a lower dexamethasone dose in prenatal congenital adrenal hyperplasia therapy based on pharmacokinetic modelling

Viktoria Stachanow 1 2Uta Neumann 3Oliver Blankenstein 3Uwe Fuhr 4Wilhelm Huisinga 5Robin Michelet 1Nicole Reisch 6Charlotte Kloft 1

Eur J Endocrinol. 2021 Aug 3;185(3):365-374.

DOI: 10.1530/EJE-21-0395

La terapia prenatale con Desametasone (Dex) può essere utilizzata nelle gravidanze a rischio di iperplasia surrenale congenita (ISC) con lo scopo di sopprimere l'eccesso di androgeni e prevenire quindi la virilizzazione dei genitali esterni nei feti di sesso femminile. Il razionale prevede di intraprendere la terapia nella finestra temporale di differenziazione sessuale, (7-12 settimane post-concepimento), con dosaggi di 20 μg/kg/giorno. Viene utilizzato il Dex in quanto capace di attraversare integro la barriera emato-placentare, se somministrato a dosaggi molto elevati alla madre. Questo porta a un elevato rischio di eventi avversi nella gestante (sindrome di Cushing, ipertensione e diabete gestazionale), ma anche nel feto (anomalie strutturali alla RM, disturbi del comportamento e neuropsicologici). Inoltre, è possibile che vengano trattati soggetti non affetti (circa 7 su 8), visto che la finestra temporale durante cui viene proposto il trattamento con Dex è antecedente alla possibilità di praticare manovre diagnostiche invasive quali villocentesi ed amniocentesi. Poiché gli effetti avversi del Dex sono dose-correlati, lo scopo di questo studio è rilevare la minima dose efficace che possa ridurre gli eventi avversi e mantenere l’efficacia nel prevenire la virilizzazione dei genitali esterni.

A tale scopo, è stato sviluppato un modello di simulazione farmacocinetica (PK) attraverso un approccio statistico non lineare di effetto misto (NMLE). E’stato quindi selezionato, come modello base, uno studio di biodisponibilità su 24 volontari sani (di cui 15 donne, nessuna in stato di gravidanza) che ricevevano una dose di 2 mg di Dex per via orale, come compressa a rilascio immediato. Dopo la somministrazione, venivano eseguiti prelievi seriati per il dosaggio plasmatico del farmaco nelle 24 ore successive, ottenendo un totale di 432 campioni di plasma (18 campioni per individuo), con limite inferiore di quantificazione di 0,7 ng/ml. I grafici concentrazione-tempo hanno rivelato un declino bifasico del farmaco, cioè una fase iniziale con un forte declino della concentrazione, seguita da una fase con una pendenza meno ripida.  

È stata quindi generata una popolazione virtuale che è stata poi suddivisa in due bracci di trattamento: metà che riceveva la dose tradizionale di 20 ug/kg/giorno e l'altra metà che riceveva dosi ridotte di 5, 6, 7.5, 9 o 10 ug/kg/giorno.

La soglia minima di Dex materno necessaria è stata identificata come la concentrazione target per sopprimere l'asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) fetale sulla base delle conoscenze ottenute dallo studio di Goto et al. (Journal of Clinical Investigation 2006 116: 953–960) che ha misurato una concentrazione di cortisolo fetale di circa 4 pmol/mg nel tessuto surrenale a 8 settimane dal concepimento. Supponendo una densità tissutale di 1 g/cm3, la concentrazione di cortisolo target fetale calcolata era di 4 pmol/ml o 4 nmol/l. Poiché è stato riportato che il Dex è tra 50 e 80 volte più potente del cortisolo, la concentrazione fetale equivalente di Dex target è stata derivata 0,05-0,08 nmol/l.

Tutte le dosi ridotte di 5, 6, 7,5, 9 e 10 ug/kg/giorno hanno soddisfatto il criterio prestabilito di stare al di sopra della concentrazione soglia target di 0,05-0,08 nmol/l per sopprimere con successo l'asse HPA fetale, ma soltanto con il dosaggio di 7.5 ug/kg/die, nel 90% dei pazienti, veniva sempre mantenuta la soglia target anche alla concentrazione minima.

E’ uno studio molto interessante, in particolare perché tratta di un argomento ancora controverso, ma presenta diverse criticità.

Anzitutto, si tratta di uno studio scientifico che utilizza come modello base uno studio di biodisponibilità con un campione poco numeroso e scarsamente rappresentativo (solo 15/24 sono donne e nessuna in stato di gravidanza). La dose somministrata nel dataset (2 mg di Dex) è circa quattro volte superiore alla dose tradizionale nella terapia prenatale per ISC e questo potrebbe influenzare la farmacocinetica e la biodisponibilità, prendendo soprattutto in considerazione il legame non lineare di Dex con l’albumina, come descritto in letteratura.

L’assenza di donne in gravidanza nel campione non permette di valutare le variazioni del volume plasmatico e del legame proteico che normalmente si verificano negli ultimi mesi della gestazione, sebbene la finestra temporale più importante sia nel primo e secondo trimestre.

In conclusione, questo studio per la prima volta rivaluta la dose di Dex utilizzata nelle gravidanze a rischio di ISC, suggerendo la possibilità di utilizzare una dose inferiore e ugualmente efficace al fine di ridurre il rischio di effetti avversi e ipoteticamente mantenere l’efficacia nella prevenzione della virilizzazione fetale. Nonostante le criticità evidenziate, probabilmente questo studio potrebbe essere un ottimo punto di partenza per avviare un protocollo di ricerca per valutare la possibilità di una efficace terapia prenatale delle ISC.

Link: https://eje-bioscientifica-com.opbg.idm.oclc.org/view/journals/eje/185/3/EJE-21-0395.xml

 

A cura di Marta Bassi

Continuous Glucose Monitoring in the Management of Neonates with Persistent Hypoglycaemia and Congenital Hyperinsulinism.

Win M, Beckett R, Thomson L, Thankamony A, Beardsall K.

J Clin Endocrinol Metab. 2021 Aug 18:dgab601. doi: 10.1210/clinem/dgab601. Epub ahead of print. PMID: 34407200.

L’ipoglicemia neonatale persistente costituisce un problema comune nei neonati pretermine, con ritardo di crescita intrauterino o affetti da iperinsulinismo congenito (CHI) ed è correlata a possibili deficit del neurosviluppo. Le attuali raccomandazioni per la gestione dell’ipoglicemia neonatale prevedono misurazioni glicemiche frequenti (una ogni ora), spesso necessarie per molti giorni. L’uso del CGM in epoca neonatale   è ancora ridotto e, nonostante i continui progressi tecnologici, i sistemi CGM al momento disponibili e correntemente utilizzati nei pazienti con Diabete di tipo 1 non sono approvati per l’utilizzo nel neonato, poiché ci sono ancora dubbi sull’accuratezza degli strumenti in tale fascia di età. Ad oggi sono stati effettuati alcuni studi sull’utilizzo del CGM nei neonati con ipoglicemia transitoria per valutare la correlazione tra tali eventi e gli outcome in termini di sviluppo neuromotorio, nei neonati pretermine al fine di valutare la riduzione del rischio ipo e iperglicemia e nei neonati affetti da CHI per valutare il monitoraggio glicemico domiciliare in corso di terapia.

Questo studio ha l’obiettivo di valutare le potenzialità dell’utilizzo in ambito ospedaliero del CGM nei neonati con ipoglicemia persistente (definita come ipoglicemia ricorrente per più di 48h) in termini di migliore interpretazione dei pattern disglicemici e riduzione degli episodi di ipoglicemia e del numero di misurazioni glicemiche capillari o venose.

Lo studio è stato condotto per una durata totale di 4 anni e sono stati utilizzati i seguenti strumenti: Medtronic Paradigm (Northridge, CA, USA) e Dexcom G4 (San Diego, California, USA). Non sono stati utilizzati gli allarmi e sono stati registrati i dati rilevati dal sensore una volta ogni ora. I dati completi del CGM sono stati scaricati al termine di ogni periodo di monitoraggio.

Sono stati confrontati i pattern disglicemici dei pazienti pretermine e dei pazienti con CHI. 

Per valutare l’attendibilità dei dati del CGM è stata calcolata la MARD come la differenza media percentuale tra tali valori e i valori di glicemia su sangue capillare o venoso (BG) effettuati entro 5 minuti dalla rilevazione del dato CGM. Per valutare l’efficacia del CGM in termini di prevenzione e riconoscimento degli episodi di ipoglicemia sono state valutate la sensibilità e la specificità del CGM nel riconoscere episodi di ipoglicemia (BG < 2.6 mmol/l). Sono stati inoltre monitorati eventuali eventi avversi (reazioni cutanee e infezioni locali).

Il CGM è stato utilizzato in 14 neonati con ipoglicemia persistente (7 neonati a termine con CHI, 6 pretermine di cui 2 con CHI e un neonato a termine con ipoglicemia persistente di più breve durata. I sensori (7 Medtronic e 7 DexcomG4) sono stati posizionati ad un’età media di 14 giorni e per un periodo medio totale di 13.7 giorni. Sono stati raccolti dati relativi a 224 giorni di monitoraggio. Le fluttuazioni glicemiche si sono rilevate più marcate nei neonati affetti da CHI rispetto ai neonati pretermine (SD 1.52±0.79 mmol/l vs 0.77±0.22mmol/l, p=0.07), nonostante valori di glicemia media simili (p=0.21). Sono state effettuate 1254 misurazioni capillari o venose (corrispondenti a circa 6 misurazioni al giorno), poste a confronto con i dati CGM, con riscontro di una MARD di 11.0%. Sono stati riscontrati 22 episodi di ipoglicemia (BG) senza sintomi, in 13 dei quali anche il CGM mostrava valori < 2.6 mmol/l e in 3 dei quali il CGM mostrava valori < 2.6 mmol/l nei minuti precedenti (sensibilità 0.73, specificità 0.94). Lo scarico completo dei dati del CGM ha mostrato un’alta frequenza di episodi transitori di ipoglicemia, che sono rimasti inosservati alla rilevazione oraria dei dati poiché gli allarmi erano stati spenti per scelta del team neonatologico per la persistenza degli stessi anche dopo la risoluzione dell’ipoglicemia. Gli episodi di ipoglicemia > 60 minuti (N=13) sono stati analizzati meglio: 2 erano vere ipoglicemie, in 11 casi BG > 2.6 mmol/l (7/11 nelle prime 24h di inserzione). Non si sono osservate reazioni cutanee o infezioni.

Questo primo report sull’utilizzo del CGM nei neonati con ipoglicemia persistente mostra la grande variabilità glicemica che caratterizza tali pazienti. Tale variabilità rende complicata la gestione clinica delle ipoglicemie con il monitoraggio capillare e apre una grande sfida in termini di accuratezza e validazione degli strumenti CGM in questo gruppo di pazienti. Tali fluttuazioni portano infatti alla rilevazione di false ipoglicemie dal CGM e rendono sempre necessaria la correlazione con i valori BG. D’altra parte, i dati real-time sul trend glicemico forniti dal CGM permettono di anticipare l’ipoglicemia e di allertare il personale per la misurazione BG quando occorre e non solo ogni ora come da raccomandazioni. Lo scarico dati CGM ha mostrato molte ipoglicemie transitorie che erano già risolte al momento della misurazione oraria del BG e ciò non ha permesso di avere un numero maggiore di valori da confrontare per la validazione dello strumento. Inoltre, tali episodi transitori, che rivestono grande importanza per la loro correlazione con gli outcome in termini di neurosviluppo, non sarebbero mai stati registrati.

Il CGM potrebbe quindi avere un ruolo importante negli studi sulla correlazione delle ipoglicemie e degli esiti a lungo termine. I limiti di questo studio sono costituiti dalla scarsa numerosità del campione, dalla mancanza del gruppo di controllo, dalla scelta di non utilizzare gli allarmi e di non sfruttare quindi a pieno lo strumento. Se l’utilizzo del CGM nei neonati costituisce ancora una sfida in termini di attendibilità e validazione, tale strumento rappresenta anche un grande potenziale nella gestione e prevenzione delle ipoglicemie nel neonato a rischio.

Link:https://academic.oup.com/jcem/advance-article abstract/doi/10.1210/clinem/dgab601/6354421?redirectedFrom=fulltext

 

A cura di Marianna Rita Stancampiano

Genetic Analysis of Pediatric Primary Adrenal Insufficiency of Unknown Etiology: 25 Years’ Experience in the UK

Buonocore F, Maharaj A, Qamar Y, Koehler K, et al

Journal of the Endocrine Society, 2021, Vol.5, No.8,1-15. Doi: 10.1210/jendso/bvab086

 

L’insufficienza surrenalica primaria può essere determinata da differenti cause, come l’iperplasia surrenalica congenita da deficit di 21 OHD (80-85% dei casi), altre tipologie di iperplasia surrenalica congenita (tipo deficit di 11β-hydroxylase deficiency), cause autoimmuni o rari disordini metabolici. Tuttavia, ancora oggi, in tante situazioni, una specifica diagnosi non viene ancora raggiunta. Stabilire una specifica eziologia avere dei risvolti clinici importanti sulla personalizzazione della terapia (necessità o meno di mineralcorticoidi associati ai glucocorticoidi), sul monitoraggio di condizioni associate, sul counseling familiare e quindi l’eventuale individuazione di soggetti familiari ancora in fase pre-sintomatica.

Tradizionalmente, l’approccio genetico classico alla diagnosi di questi pazienti era costituito da un Sanger sequencing utilizzando l’approccio di singolo gene candidato.

Più recentemente, l’utilizzo dell’NGS ha permesso di analizzare parallelamente più geni, riducendo significativamente il costo delle analisi effettuate.

Questo studio, multicentrico retrospettivo, è stato strutturato con lo scopo di eseguire una revisione delle diagnosi genetiche effettuate in pazienti con insufficienza surrenalica primaria di eziologia non nota, valutati negli anni 1993-2018.

Sono stati analizzati complessivamente 155 pazienti: 102 maschi, 48 femmine e 5 femmine 46XY. Tra questi, una diagnosi genetica è stata raggiunta in 103/155 pazienti (66.5% dei pazienti):

-30/155 (19.4%) affetti da Familial glucocorticoid deficiency (FGD) tipo 1, con varianti a carico del gene MC2R;

-12/155 (7.7%) affetti da ipoplasia surrenalica congenita X-linked, con variante a carico del gene NR0B1. Tutti i soggetti  in età puberale hanno mostrato un associato ipogonadismo ipogonadotropo;

-12/155 (7.7%) affetti da l’iperplasia surrenalica congenita da variante a carico del gene CYP11A1. La maggior parte di questi pazienti mostravano un deficit parziale a carico del gene, con segni clinici lievi di insufficienza surrenalica in età infantile, come ipoglicemie chetotiche;

-11/155 (7.1%) affetti da sindrome della tripla A (Allgrove Syndrome), metà dei casi in trattamento con glucocorticoidi e mineralcorticoidi, il restante in trattamento soltanto con glucocorticoidi;

-10/155 (6.5%) con varianti a carico del gene NNT (nicotinamide nucleotide transydrogenase); 3 dei quali con associata diagnosi di pubertà precoce;

-7/155 (4.5%) affetti da FGD tipo 2, con varianti a carico del gene MRAP;

-7/155 (4.5%) con varianti a carico del gene TXNRD2;

-6/155 affetti da Congenital Lipoid Hyperplasia, con varianti a carico del gene STAR: 1 femmina 46XY con un’insorgenza precoce di insufficienza surrenalica; i restanti 5 casi affetti da non-classic congenital lipoid adrenal hyperplasia (NCCLAH) con segni e sintomi di insufficienza surrenalica insorti tra i 9 mesi ed i 4 anni di vita;

-5/155 (3.2%) con varianti a carico del gene SAMD9, tutti con associati caratteristiche cliniche tipe della MIRAGE syndrome (IUGR, enteropatia, anomalie genitali, ipoplasia surrenalica, infezioni ricorrenti, rischio severo di mielodisplasia);

-1/155 con variante a carico del gene NR5A1 (femmina 46,XY con insufficienza surrenalica associata a perdita di sali).

Nessuna diagnosi è stata invece raggiunta in 47/155 pazienti (30.3%), di cui 29 sottoposti ad NGS e 18 a single Sanger sequencing.

In 5/155 pazienti si è assistito ad una risoluzione spontanea dell’insufficienza surrenalica, ma in nessuno di questi casi è stata trovata una causa genetica eziopatogenetica.

Questo studio retrospettivo sottolinea l’importanza dell’introduzione dell’NGS per la diagnosi dei casi di insufficienza surrenalica definiti ad eziologia sconosciuta, al fine di consentire una migliore gestione clinica, terapeutica e gestionale delle patologie associate di questi pazienti, oltre che un counseling familiare ormai sempre più richiesto.

Link: https://academic.oup.com/jes/article/5/8/bvab086/6274514

 

A cura di Giuseppina Umano

Loss-of-function mutations in the melanocortin 4 receptor in a UK birth cohort

Wade KH, Lam BYH, Melvin A, Pan W, Corbin LJ, Hughes DA, Rainbow K, Chen JH, Duckett K, Liu X, Mokrosi?ski J, Mörseburg A, Neaves S, Williamson A, Zhang C, Farooqi IS, Yeo GSH, Timpson NJ, O'Rahilly S.

Nat Med. 2021 Jun;27(6):1088-1096. doi: 10.1038/s41591-021-01349-y.

Il ruolo centrale svolto dal sistema melanocortinergico nella regolazione di sazietà e spesa energetica è ormai noto. Dall’individuazione delle mutazioni a carico del gene codificante per la leptina, sono stati svolti numerosi passi avanti nella caratterizzazione delle forme di obesità monogenica. Si tratta per lo più di difetti recessivi ad eccezione della mutazione a carico del gene MC4R che presenta una trasmissione semi-dominante. La variabilità fenotipica dei portatori di tale difetto è molto ampia. Nel tempo sono state proposte diverse caratterizzazioni fenotipiche con dati contrastanti.

In questo studio è stata esaminata la sequenza codificante del gene MC4R in 5724 soggetti inclusi nella coorte inglese Avon Longitudinal Study of Parents and Children (ALSPAC) di cui fossero disponibili valutazioni antropometriche dalla nascita all’età adulta. L’obiettivo principale del lavoro è quello di individuare la prevalenza delle mutazioni a carico del MC4R e di meglio definire il pattern di crescita dei pazienti portatori della mutazione.

Dallo studio è emerso che la prevalenza di mutazioni causanti una perdita di funzione della proteina (LoF) è dello 0.3%, superiore a quanto stimato in precedenza. Dall’analisi funzionale sono state identificate 29 diverse mutazioni non-sinonime, di cui 2 codoni di stop/frameshift e 27 mutazioni missenso. Per quanto riguarda il fenotipo, i portatori della mutazione presentavano un peso di 17.76 kg superiore ed un BMI di 4.84 kg/m2 superiore rispetto ai non-carriers all’età di 18 anni. Tale differenza comincia a rendersi particolarmente evidente all’età di 4-5 anni circa. Inoltre, i portatori di mutazioni LoF presentano un aumento del BMI più rapido rispetto alla popolazione generale, tale incremento inizia dal diciottesimo mese di vita, ma si rende particolarmente evidente all’età di 18 anni. Questo andamento suggerisce come la penetranza della mutazione sul fenotipo clinico aumenti con l’età. Altro aspetto che è stato valutato è quello della crescita staturale. Infatti, è noto che i portatori di mutazione a carico del MC4R presentino una statura superiore alla media. In questo studio si conferma un’altezza media superiore nei portatori della mutazione in età pediatrica, ma l’altezza definitiva in età adulta risulta sovrapponibile a quella dei non-carriers.

Tali dati fanno supporre che al momento il deficit di MC4R sia una condizione ancora sotto-diagnosticata, a causa dell’ampia variabilità del fenotipo ed in particolare dell’epoca di comparsa dell’obesità. In considerazione del probabile ampio numero di soggetti affetti da mutazione eterozigote e del notevole eccesso ponderale, è importante individuare tali pazienti per intensificare le strategie del controllo del peso.

Link: https://www.nature.com/articles/s41591-021-01349-y