7/2021

A cura di Domenico Corica

Is ghrelin a biomarker of early-onset scoliosis in children with Prader-Willi syndrome?

Dibia Liz Pacoricona Alfar, Gwenaelle Diene, Graziella Pinto, Jean-Pierre Salles, Isabelle Gennero, Sandy Faye, Catherine Molinas, Marion Valette, Catherine Arnaud, Maithé Tauber.

Orphanet J Rare Dis. 2021 Jul 8;16(1):305. doi: 10.1186/s13023-021-01930-1.

Link: https://ojrd.biomedcentral.com/articles/10.1186/s13023-021-01930-1

 

La prevalenza di scoliosi è riscontrabile in circa il 40% dei soggetti con sindrome di Prader Willi (PWS) ed è caratterizzata da un picco di incidenza bimodale: il primo picco nella prima infanzia e il secondo nel periodo pre-puberale.

E’stato dimostrato che la grelina, oltre agli effetti metabolici e regolatori dell’appetito, agisce anche a livello osseo e sulla crescita, indirettamente, stimolando la secrezione di GH, e direttamente, sulle cartilagini di accrescimento delle ossa lunghe promuovendo la proliferazione dei condrociti e la crescita endocondrale. Diversi studi hanno documentato livelli di grelina più elevati nei soggetti con scoliosi idiopatica dell’adolescente (AIS) rispetto a controlli sani, e tra coloro con AIS progressiva rispetto alle forme stabili. Nella PWS i livelli di grelina sono aumentati a tutte le età rispetto a controlli non-PWS, ma in diverse isoforme: nelle prime epoche di vita, quando prevale il deficit nutrizionale, è prevalente l’isoforma non acetilata (UAG), mentre nei bambini e negli adulti con iperfagia l’aumento è principalmente da attribuirsi alla isoforma acetilata (AG).

 

In questo studio trasversale e longitudinale gli autori hanno valutato se i livelli di grelina differissero in maniera significativa tra soggetti PWS con o senza scoliosi ad esordio precoce (EOS) e se i livelli di grelina nel corso del primo anno di vita fossero associati allo sviluppo di EOS nelle età successive.

Lo studio ha coinvolto 20 Centri di riferimento francesi per il follow-up della PWS. Il primo gruppo di pazienti (casi) comprendeva 30 casi PWS, di età compresa tra 2 e 5 anni, con diagnosi confermata di EOS, trattati con GH, nei quali i livelli di grelina erano stati misurati al momento della diagnosi di scoliosi. Il gruppo di controllo includeva 30 bambini con PWS senza EOS, valutati entro ± 1 anno dalla misurazione della grelina, appaiati per età e BMI ai casi. I bambini PWS con EOS presentavano un rapporto AG/UAG al momento della diagnosi di EOS significativamente più basso rispetto ai bambini PWS senza scoliosi, ed una tendenza ad avere livelli di AG inferiori anche se non significativa. L’angolo di Cobb dei pazienti con EOS correlava con i livelli di UAG e di grelina totale.

Nella valutazione longitudinale sono stati valutati 37 bambini con PWS nei quali era stata effettuata una misurazione della grelina nel primo anno di vita, prima dell’inizio del trattamento con GH. All’interno di questo gruppo sono stati comparati i livelli di grelina tra coloro che avevano (8 pazienti) o non avevano (29 pazienti) sviluppato scoliosi nei primi 4 anni di vita. I livelli mediani di grelina totale ed AG erano quasi due volte più elevati tra coloro che avrebbero sviluppavano EOS, ma tali differenze non erano risultate statisticamente significative.

Sulla base dei suddetti risultati, gli autori concludevano ipotizzando un ruolo della grelina come biomarcatore della scoliosi nella PWS, suggerendo che elevati livelli di grelina totale e UAG potessero essere correlati con la severità della scoliosi. Inoltre, sulla base del riscontro di una tendenza, seppur non significativa, dei soggetti che sviluppavano EOS ad avere livelli più elevati di grelina totale ed AG nel primo anno di vita, gli autori avanzavano l’ipotesi che questi due parametri potessero essere correlati allo sviluppo di EOS.

Questo è il primo studio che analizza il possibile ruolo delle isoforme della grelina nella fisiopatologia della scoliosi nella PWS. Considerando l’influenza negativa che la EOS ha sulla qualità della vita dei soggetti con PWS, l’ipotesi di poter disporre di un biomarcatore precoce per l’identificazione dei soggetti a rischio di EOS, è sicuramente una prospettiva molto interessante che merita approfondimenti attraverso casistiche più ampie, valutate a lungo termine ed in relazione ai sottotipi genetici di PWS. La conferma di questi dati potrebbe fornire un’arma in più per migliorare il management assistenziale di bambini ed adolescenti con PWS, nell’ambito di un approccio multidisciplinare integrato.

 

 

A cura di Chiara Mameli

Glycemic Outcome Associated With Insulin Pump and Glucose Sensor Use in Children and Adolescents With Type 1 Diabetes. Data From the International Pediatric Registry SWEET.

Roque Cardona-HernandezAnke SchwandtHessa Alkandari et al.  SWEET Study Group

Diabetes Care. 2021 May; 44(5): 1176-1184.

Link: https://care.diabetesjournals.org/content/44/5/1176.long

 

La tecnologia ha sicuramente modificato la cura del diabete di tipo 1 negli ultimi decenni offrendo migliori possibilità di gestione della malattia ma anche una maggiore flessibilità della vita dei soggetti affetti.

L’obiettivo del presente studio è stato valutare la modalità di somministrazione dell’insulina, la tipologia di monitoraggio glicemico e il loro impatto sul controllo glicometabolico in un’ampia coorte di bambini e adolescenti affetti da diabete tipo 1 (dati del registro SWEET).

Sono stati arruolati pazienti affetti da diabete di tipo 1 con almeno 1 anno di durata di malattia, di età inferiore o uguale a 18 anni, che avevamo utilizzato il microinfusore e/o il sensore nel periodo agosto 2017-luglio 2019. I partecipanti sono stati stratificati in quattro categorie: terapia multiniettiva (MDI)-nessun sensore (riferimento); MDI + sensore; microinfusore (CSII) senza sensore, CSII e sensore. Sono stati analizzati i seguenti parametri: HbA1c, episodi di chetoacidosi diabetica secondaria (DKA) o ipoglicemia severa (SH) utilizzando modelli di regressione lineare e logistica.

Sono stati analizzati i dati di 25.654 partecipanti suddivisi come segue:

  • Pazienti con MDI senza sensore: 37,44% (8,72%; 95% CI 8,68-8,75); 
  • Pazienti con MDI con sensore: 14,98% (8,30%; 95% CI 8,25-8,35);
  • Pazienti con CSII senza sensore 17,22% (8,07%; 95% CI 8,03-8,12);
  • Pazienti con CSII e sensore 30,35% (7,81%; 95% CI 7,77-7,84).

L’emoglobina glicata era significativamente inferiore in coloro che avevano utilizzato CSII con/senza sensore rispetto a MDI senza sensore (P 0.001). La percentuale di DKA era inferiore in coloro che utilizzavo CSII + sensore (P < 0.001) e CSII senza sensore (P < 0.05) quando comparata con il gruppo MDI senza sensore. L’ipoglicemia severa è stata meno frequente nel gruppo CSII senza sensore ma più frequente nel gruppo MDI + sensore quando comparata con il gruppo MDI senza sensore.

I partecipanti che utilizzavano CSII con o senza sensore presentavano una più bassa emoglobina glicata e minori episodi di DKA secondaria. L’uso di CSII si associava ad un tasso inferiore di ipoglicemia grave.

I dati che provengono dai centri SWEET hanno mostrato come più del 60% dei soggetti arruolati utilizzano dispositivi tecnologici nella cura del diabete nel periodo di osservazione 2017-2019.

La percentuale di utilizzatori è in aumento, se comparata ai dati del 2016 provenienti sempre dai centri SWEET (44%). Questo studio offre sicuramente dati interessanti in quanto provenienti da una importante casistica a livello mondiale. Gli autori hanno mostrato come l’utilizzo di CSII si associa ad un miglior controllo metabolico espresso con HbA1C ma anche ad un minor numero di complicanze acute. L’utilizzo concomitante di CSII e sensori è un valore aggiunto alla tera

 

 

A cura di Rita Ortolano

Insulin-like Growth Factor 1, but Not Insulin-Like Growth Factor-Binding Protein 3, Predicts Central Precocious Puberty in Girls 6–8 Years Old: A Retrospective Study

Patricia Diaz Escagedo, Cheri L. Deal, Andrew A. Dwyer, Michael Hauschild

Horm Res Paediatr. 2021 Jun 7;1-8. doi: 10.1159/000516361. Online ahead of print.

Link:  https://www.karger.com/Article/FullText/516361

Notoriamente la pubertà precoce centrale (PPC) è 20 volte più frequente nelle femmine ed ha eziologia idiopatica nell’86% dei casi. L’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi non solo stimola la produzione di estrogeni da parte dell’ovaio, ma stimola anche la secrezione di GH e incrementa la produzione di IGF-1 e IGFBP-3 consentendo lo spurt accrescitivo proprio della pubertà.

Nelle bambine con PPC l’aumento dei livelli di IGF-1 correla con la accelerazione della velocità di crescita e può essere considerato un segno precoce di attivazione puberale, tuttavia al momento il dosaggio dei livelli di IGF-1 non è routinariamente eseguito per la valutazione per PPC.

In questo lavoro monocentrico retrospettivo gli autori hanno valutato l’utilità del dosaggio dei livelli di IGF-1 e IGFBP-3 nelle pazienti con PPC di età compresa tra i 6-8 anni e l’eventuale utilità nella diagnosi differenziale della PPC dal telarca precoce isolato (PT) e dal pubarca anticipato (PA). 

Su 295 bambine afferenti per sospetta PPC presso il centro di endocrinologia pediatrica di Losanna nell’arco di un ventennio (1997-2017), gli autori hanno analizzato i dati di 60 pazienti di età compresa tra i 6-8 anni di cui 44 con PPC idiopatica e 16 con PT o PA. E’stata riscontrata una correlazione positiva tra IGF-1 SDS ed età ossea SDS, così come tra IGFBP-3 SDS ed età ossea SDS sia nel gruppo con PPC che in quello con PA/PT. Inoltre è stata documentata un’associazione statisticamente significativa tra IGF-1 SDS e velocità di crescita, livelli basali di LH, picco di LH, e DHEAS. Al contrario nessuna associazione era dimostrata con l’IGFBP-3 SDS.

Il risultato più interessante è che all’analisi della curva ROC i livelli di IGF-1 consentivano di discriminare tra PPC e PT/PA. In definitiva gli autori hanno dimostrato che l’IGF-1 SDS, ma non l’IGFBP-3 SDS, potrebbe essere utile per discriminare tra PPC e PA/PT e dunque potrebbe essere utilizzato come esame aggiuntivo nelle pazienti con sospetta PPC i cui valori basali di LH non sono dirimenti, evitando di eseguire un test più indaginoso e costoso come l’LHRH Test. 

Il design retrospettivo e il numero limitato di pazienti con PT/PA sono da annoverarsi tra i limiti principali dello studio. Inoltre, non sono stati analizzati i valori di estradiolo, AMH, Inibina-B come gli stessi autori dichiarano e non viene fatta menzione del ruolo diagnostico dell’ecografia pelvica (valutazione del diametro longitudinale e del volume uterino ed eventuali segni di estrogenizzazione) nelle pazienti con quadro dubbio. Tuttavia, l’idea di inserire il dosaggio dell’IGF-1 nell’inquadramento diagnostico delle bambine con sospetta PPC potrebbe essere utile, con costi contenuti, se eseguito contestualmente al prelievo per LH basale.

Ulteriori studi multicentrici sarebbero necessari per ampliare la casistica e valutare anche l’utilità del dosaggio semestrale dei livelli di IGF-1 nel follow-up.  Purtroppo non sono disponibili i valori di IGF1 espressi in SDS per tutti i kit di laboratorio comunemente utilizzati e questo, almeno in Italia, rappresenta un limite per l’utilizzo dell’IGF-I nella valutazione routinaria della PPC.

 

 

A cura di Gianluca Musolino

Metabolic syndrome and insulin resistance in pre-pubertal children with psoriasis

Francesca Caroppo, Alfonso Galderisi, Laura Ventura, Anna Belloni Fortina

Eur J Pediatr 2021 Jun; 180(6):1739-1745

Link: https://link.springer.com/article/10.1007/s00431-020-03924-w

La psoriasi negli adulti è associata ad un aumentato rischio di malattie metaboliche. Varie comorbilità cardio-metaboliche sono state segnalate anche nella psoriasi infantile, ma solo pochi studi hanno analizzato la prevalenza della sindrome metabolica, concentrandosi unicamente sui singoli elementi di tale condizione.

In questo paper è presentato uno studio prospettico monocentrico che analizza la prevalenza della sindrome metabolica e della resistenza insulinica nei bambini con psoriasi.

La prevalenza della sindrome metabolica (MetS) è stata valutata in 60 bambini in età prepuberale con psoriasi (età: 3-10 anni), secondo i criteri recentemente stabiliti per la diagnosi nei bambini di tale condizione. Per ciascun partecipante sono stati raccolti i seguenti dati: età, sesso, altezza, peso corporeo, indice di massa corporea (BMI), pressione sanguigna sistolica e diastolica (BP), circonferenza vita (WC), rapporto vita-altezza (WHtR) e storia familiare (parenti di primo grado affetti) di psoriasi e disturbi metabolici/malattie cardiovascolari (ipertensione, diabete mellito, ipercolesterolemia).

La gravità della psoriasi è stata classificata secondo lo Psoriasis Area Severity Index (PASI) e la superficie corporea (BSA). Quando il PASI era ≥10 o/e la BSA era >10, la psoriasi era considerata da moderata a grave.

La prevalenza di MetS nel gruppo di bambini con psoriasi reclutati per questo studio è stata confrontata con quella di un'ampia popolazione pediatrica europea (2-10 anni) (studio IDEFICS). Tale studio, che analizza i percentili specifici per sesso ed età per ogni componente della sindrome metabolica (eccesso di adiposità, pressione sanguigna alta, bassi livelli di HDL-C, elevati trigliceridi, iperglicemia), identifica due livelli di MetS: “livello monitoraggio” (attento monitoraggio del bambino) e “livello d'azione” (introduzione di adeguate misure di intervento), quando i valori di almeno tre dei cinque componenti risultano alterati. Come criteri di insulino-resistenza son stati considerati: HOMA-IR ≥ 90°percentile specifico per sesso ed età ed HOMA 2-IR > 1,8.

Diciotto (30%) bambini con psoriasi hanno soddisfatto i criteri per diagnosi di MetS. In tale studio è stata documentata quindi una prevalenza di MetS nei bambini con psoriasi significativamente superiore alla prevalenza di MetS riportata dallo studio IDEFICS (30% vs 4,80%; p <0,001).

Nella popolazione studiata, inoltre, 16 (27%) pazienti hanno mostrato resistenza all'insulina (HOMA-IR ≥ 90° percentile per età e sesso e HOMA 2-IR > 1,8).

L'alta prevalenza di MetS e di insulino-resistenza in bambini con psoriasi sottolinea l’importanza di valutare i fattori di rischio della sindrome metabolica in tali soggetti, in quanto questi potrebbero trarre beneficio dalle modifiche dello stile di vita, nel tentativo di prevenire le malattie cardiovascolari in età adulta.