5/2020

A cura di Elena Galazzi

Phase 3 Trial of a Small-volume Subcutaneous 6-Month Duration Leuprolide Acetate Treatment for Central Precocious Puberty

Karen O. Klein, Anali?a Freire, Mirta Graciela Gryngarten, Gad B. Kletter, Matthew Benson, Bradley S. Miller, Tala S. Dajani, Erica A. Eugster and Nelly Mauras

 J Clin Endocrinol Metab, October 2020, 105(10):1–12

Nel volume di ottobre 2020 della rivista JCEM sono pubblicati i risultati dello studio di fase 3 sull’utilizzo di Leuprolide semestrale (Fensolvi®) per il trattamento della pubertà precoce centrale (CPP). Il farmaco, che dal 1 maggio 2020 è stato approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) per il trattamento di tale condizione, è una nuova formulazione di leuprorelina acetato sospesa in un gel polimerico che ne permette un lento rilascio, ricostituibile e somministrabile come iniezione sottocutanea con sistema ad ago sottile.

Come è noto, la CPP e? una malattia rara che si verifica in 1 bambino su 10.000 con un rapporto femmine/maschi di 10:1 e gli agonisti del GnRH (GnRHa) ne rappresentano lo standard di cura, con lo scopo di inibire l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi, bloccare la progressione puberale, ridurre la velocità di crescita, rallentare la maturazione ossea e quindi favorire il raggiungimento di una statura finale in linea con le potenzialità genetiche dell’individuo.

Nelloo studio multicentrico americano svolto tra l’agosto 2015 e il settembre 2018 sono stati arruolati 62 bambini (60 femmine, 2 maschi) con CPP idiopatica o organica (ad esclusione di neoplasie in fase attiva necessitanti intervento terapeutico). L’età media della popolazione era di 7.5 ± 0.1 anni. Circa i 3/4 della coorte all’ingresso presentava uno stadio di Tanner piuttosto avanzato (stadio 3 o 4) ed un avanzamento dell’età ossea di circa 3 anni rispetto all’età cronologica.  

I bambini erano diagnosticati con CPP se presentavano un picco di LH a 30’ ≥  5 IU/L associato a segni clinici di pubertà precoce. Il protocollo di studio prevedeva un trattamento con Leuprolide (Fensolvi®) sotto forma di 2 iniezioni sottocutanee da 0,375 ml (pari a 45 mg ciascuna) al tempo 0 e a 6 mesi, ed un follow-up complessivo fino a 12 mesi.

Il follow-up prevedeva controlli auxologici e biochimici (con GnRH test breve fino a 30’) almeno trimestrali e controllo semestrale dell’età ossea.

A 6 mesi, l’87% dei pazienti aveva una pubertà controllata (definita come picco di LH dopo GnRH test < 4 IU/L), il 97% delle bambine aveva livelli di E2 < 20 pg/mL e il 100% dei bambini livelli di Testosterone totale < 28.4 ng/dL.

A 12 mesi, l’88% delle bambine e il 50% dei bambini (1 su 2) avevano una pubertà controllata.

A qualsiasi time-point, la pubertà era controllata nell’85% dei pazienti.

Anche nelle altre 8 bambine che non avevano presentato una soppressione biochimica (picco di LH dopo GnRH test > 4 IU/L), eccetto che per una, lo sviluppo puberale rimaneva clinicamente stabile o regrediva a 6 mesi e regrediva in tutte a 12 mesi.

In totale, più del 50% dei bambini otteneva una riduzione della velocità di crescita da puberale (8.9 ± 1.7 cm/anno) a pre-puberale (5.4 ± 0.5 cm/anno) a 6 mesi mantenendo tale riduzione a 12 mesi e, parallelamente, la differenza tra età ossea ed età cronologica si riduceva già dopo 6 mesi (avanzamento di 2.8 ± 0.1 anni) mantenendosi ridotta a 12 mesi. Il BMI, inoltre, risultava  lievemente aumentato a 6 mesi  (0.6 ± 0.4 kg/m2), ma non successivamente.  

Per quanto riguarda la farmacocinetica, dopo l’iniezione sottocutanea i livelli ematici di farmaco aumentavano dopo 4-6 ore, presentavano una riduzione della concentrazione ad un mese ma si mantenevano a livelli di plateau per i 6 mesi successivi, senza effetto di accumulo del farmaco dopo la seconda iniezione.

Per quanto riguarda la safety, le iniezioni sono state ben tollerate. In un solo caso venivano riscontrati rash cutaneo ed asma durante il periodo di osservazione, considerati eventi avversi non relati al farmaco, mentre reazioni comuni correlate alla terapia sono state riportate in percentuali variabili: dolore nel sito di iniezione (31%), nasofaringite (22%), febbre (17%), mal di testa (16%), tosse (13%), instabilità emotiva (2%) e irritabilità (2%).

Lo studio presenta alcuni limiti, tra cui: la valutazione con GnRH test ai soli tempi 0 e 30 minuti, la mancanza di un gruppo di un gruppo di controllo (non è stato ritenuto etico randomizzare bambini con CPP a terapia con placebo), la netta prevalenza femminile nella coorte in studio (che peraltro riflette la prevalenza della condizione nella popolazione generale), la durata del follow-up a soli 12 mesi e la mancata valutazione degli outcomes psico-sociali.

 

Storicamente le forme più utilizzate di GnRHa per la CPP sono le formulazioni mensili, nonostante dal 2018 siano prescrivibili anche in Italia, secondo nota AIFA 51, le formulazioni trimestrali (11.25 mg) o semestrali (22.5 mg) di triptorelina. I risultati di questo studio sono quindi incoraggianti ed individuano la terapia con leuprorelina acetato semestrale come un nuovo e sicuro trattamento per la CPP, efficace nel garantire il blocco dell’asse ipotalamo-ipofisi gonadi nei pazienti trattati, permettendo di ridurre il numero di iniezioni e quindi la medicalizzazione dei bambini affetti da tale condizione.

 

 

Link articolo: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7442270/#s1title

 

 

A cura di Salvatore Guercio Nuzio

Sex Hormone Relations to Histologic Severity of Pediatric Nonalcoholic Fatty Liver Disease. Mueller NT, Liu T, Mitchel EB, et al. [published online ahead of print, 2020 Aug 25]. J Clin Endocrinol Metab. 2020;dgaa574. doi:10.1210/clinem/dgaa574

Lo studio si pone l’obiettivo di correlare i livelli ematici di SHBG, estrogeni e androgeni con le caratteristiche istologiche della NAFLD in una popolazione pediatrica di pazienti obesi con steatosi epatica.

E’ stata eseguita un’analisi trasversale dei dati ottenuti dal database del National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases (NIDDK) con sede nel Maryland negli Stati Uniti ed in particolare dal Nonalcoholic Steatohepatitis Clinical Research Network. Sono stati inclusi nello studio soggetti di età inferiore ai 18 anni con NAFLD confermata attraverso biopsia epatica, senza altra malattia epatica cronica in corso. Sono stati esclusi i soggetti che assumevano alcool e/o contraccettivi orali. Le biopsie epatiche percutanee sono state ottenute campionando il lobo epatico destro e utilizzando un ago da 15 gauge. Le caratteristiche istologiche valutate individualmente includevano il grado di steatosi, infiammazione portale, ballooning epatico e stadi di fibrosi. L'intervallo di tempo tra la biopsia epatica e il prelievo di sangue era compreso tra 1 giorno e 6 mesi con una media di 3 mesi. Sono stati praticati prelievi ematici per SHBG, estrone, estradiolo, DHEAS, androstenedione e testosterone. Hanno partecipato allo studio 573 bambini di etnie diverse (413 maschi e 160 femmine) con età media di 13,1 anni (DS: 2,8). Lo z-score del BMI medio era 2,3 (DS: 0,5).

Dallo studio si evince che i bambini con SHBG più alta hanno meno probabilità di avere steatosi grave (p = 0,001) mentre quelli con livelli di estrone più alto hanno meno probabilità di avere infiammazione portale severa (p = 0,001) e fibrosi (p = 0,04). Inoltre, bambini con estradiolo più alto hanno meno probabilità di avere grave infiammazione portale (p = 0,03), ma maggiore probabilità di avere grave ballooning epatico (p = 0,02). Al contrario i bambini con DHEAS più elevato  hanno meno probabilità di avere grave ballooning epatico (p = 0,04) e NASH (P per trend = 0,01), mentre i bambini con elevati livelli di testosterone hanno meno probabilità di avere grave infiammazione portale (p = 0,04). In generale, i soggetti senza NASH tendono ad avere ormoni sessuali più elevati.

Nei maschi, valori di testosterone più elevati sono significativamente associati a stadi inferiori di fibrosi (p = 0,02). Nelle femmine, invece, il testosterone aumenta con l’aumentare della gravità della steatosi (p = 0,03).

I risultati dello studio dimostrano che, in una popolazione pediatrica di obesi con steatosi epatica, bassi livelli ematici di SHBG, estrogeni ed androgeni sono associati ai casi di NAFLD con un quadro istologico peggiore. Questi riscontri potrebbero dare un importante contributo nell’interpretazione dell'eziopatogenesi delle caratteristiche istologiche tipiche della NAFLD severa in età pediatrica. Sappiamo dalla letteratura (Elbel et al) che il recettore nucleare degli estrogeni risulta up-regolato negli epatociti con maggiore infiammazione lobulare, ballooning epatico, fibrosi e diagnosi di NASH con l’obiettivo di compensare parzialmente i livelli ridotti di estrogeni. Tuttavia, è interessante notare che in questo studio è stata documentata un’atipica associazione positiva fra livelli di estradiolo ed il ballooning epatico e - solo nella popolazione femminile - fra i livelli di testosterone e le caratteristiche istologiche peggiori in corso di NAFLD. Questi dati richiederanno ulteriori valutazioni nella popolazione pediatrica.

Lo studio presenta alcuni limiti. La biopsia epatica, per esempio, è uno strumento utile a fotografare l’istologia epatica ma non permette di valutare l’evoluzione di quadri clinici come la steatoepatite. Ulteriori limiti sono rappresentati dal numero relativamente piccolo della popolazione femminile inserita nello studio, le scarse informazioni sulle caratteristiche del ciclo mestruale al momento del prelievo (fase follicolare o luteale) e sull’eventuale co-esistenza di PCOS. Infine, la natura trasversale di questo studio ha precluso l'analisi delle associazioni longitudinali tra i cambiamenti degli ormoni sessuali in corso di sviluppo puberale e le caratteristiche istologiche della NAFLD.

Link all’articolo: https://academic.oup.com/jcem/advance-article-abstract/doi/10.1210/clinem/dgaa574/5896884

 

A cura di Nicola Improda

Long-term mortality after childhood growth hormone treatment: the SAGhE cohort study. 

L Sävendahl, R Cooke, A Tidblad, D Beckers, G Butler, S Cianfarani, P Clayton, J Coste, A Hokken-Koelega, W Kiess, C Kuehni, K Albertsson-Wikland, A Deodati, E Ecosse, R Gausche, C Giacomozzi, D Konrad, F Landier, R Pfaeffle, G Sommer, M Thomas, S Tollerfield, G Zandwijken, J-C Carel, A Swerdlow. 

Lancet Diabetes Endocrinol . 2020 Aug;8(8):683-692. doi: 10.1016/S2213-8587(20)30163-7.

La mortalità a lungo termine dei soggetti trattati con GH in età pediatrica è argomento di dibattito ancora attuale. Questo studio europeo multicentrico presenta i dati della più ampia coorte finora pubblicata di soggetti trattati con GH in età pediatrica per diverse indicazioni (ed in particolare la più numerosa coorte di pazienti con deficit di GH isolato o bassa statura idiopatica), consentendo di valutare la mortalità totale e per specifiche cause nelle diverse patologie di base.  

Obiettivo dello studio è stato quello di valutare la mortalità a lungo termine totale e per specifiche cause in giovani adulti trattati con GH durante l’età pediatrica.

Hanno partecipato allo studio Centri appartenenti ad 8 paesi europei (Belgio, Francia, Germania, Italia, Paesi bassi, Svezia, Svizzera e UK). Sono stati arruolati 24.232 pazienti trattati con GH ricombinante durante l’età pediatrica (di cui il 42.6% francesi).

I pazienti venivano suddivisi in 3 classi principali di rischio, a seconda del rischio di mortalità a priori per la specifica condizione clinica di base.

Al fine di calcolare lo standardized mortality ratio (SMR) venivano usati gli anni-persona a rischio di mortalità e i tassi di mortalità attesi per la popolazione generale.

 

Lo studio ha documentato che nei pazienti con bassa statura idiopatica o deficit di GH isolato (gruppo 1 - basso rischio a priori) la mortalità per tutte le cause risultava non aumentata (SMR 1.1, CI 0.9–1.3). In bambini nati SGA (gruppo 1b), la mortalità per tutte le cause era significativamente aumentata (SMR 1.5, CI 1.1–1.9) solo se venivano inclusi i dati della coorte francese.

Nei soggetti con rischio aumentato a priori (Gruppo 2 à sindromi, deficit ipofisario multiplo, tumori ipofisari benigni, malformazioni craniofaciali severe, patologie infiammatorie croniche o Cushing’s / Gruppo 3 à tumori, craniofaringioma, insufficienza renale cronica, sindromi a elevato rischio tumorale) la mortalità risultava aumentata (SMR 3.8, 3.3–4.4 e 17.1, 15.6–18.7, rispettivamente). In ciascun gruppo, la mortalità non correlava con la dose di GH media o cumulativa. Infine, la mortalità per patologie circolatorie ed ematologiche era aumentata in tutti i gruppi.

 

I risultati di questo studio rafforzano le evidenze precedenti che non indicano un aumento delle mortalità a lungo termine nei soggetti trattati per deficit di GH isolato o bassa statura idiopatica. L’aumento del tasso di mortalità per le altre indicazioni sembrerebbe essere legato alla patologia sottostante, piuttosto che alla terapia con GH. I limiti principali dello studio sono la giovane età dei soggetti valutati, l’eterogeneità del campione (anche legata ai differenti protocolli di cura nei vari centri di appartenenza) e l’assenza di un gruppo di controllo e di dati riguardanti altre possibili determinanti della mortalità (stato socio-economico, dati relativi alla nascita, aderenza alla terapia con GH, terapia con GH in età adulta). Pertanto, sebbene i risultati dello studio siano rassicuranti, è opportuno mantenere una sorveglianza a lungo termine dei pazienti trattati con GH, al fine di rilevare un eventuale aumento della mortalità anche in età più avanzata.

 

Link all’articolo: https://www.thelancet.com/journals/landia/article/PIIS2213-8587(20)30163-7/fulltext

 

A cura di Pietro Lazzeroni

A Genome-Wide Pharmacogenetic Study of Growth Hormone Responsiveness.

Dauber A, Meng Y, Audi L, Vedantam S, Weaver B, Carrascosa A, Albertsson-Wikland K, Ranke MB, Jorge AAL, Cara J, Wajnrajch MP, Lindberg A, Camacho-Hübner C, Hirschhorn JN.

J Clin Endocrinol Metab. 2020 Oct 1;105(10):dgaa443.

 

E’ nota dalla letteratura una variabilità nella risposta al trattamento con Ormone della Crescita legata alla eterogeneità di condizioni patologiche che costituiscono una indicazione alla terapia. Tuttavia, anche nel contesto di una stessa patologia, esiste una variabilità nella risposta al trattamento che suggerisce che fattori individuali, anche su base genetica, possano contribuire a modulare l’efficacia della terapia.

In passato sono stati proposti strumenti predittivi di risposta al trattamento con GH basati su parametri clinici e biochimici che hanno mostrato una capacità di previsione limitata. Sono stati inoltre pubblicati diversi lavori che hanno studiato il ruolo di varianti geniche in geni candidati collegati alla crescita staturale o all’asse GH-IGF, i cui dati non sono stati tuttavia replicati in indagini successive.

Con lo scopo di implementare la conoscenza di potenziali varianti genetiche collegate alla risposta al trattamento con GH, gli autori di questo lavoro hanno completato il più grande studio di Genome Wide Association (GWA) disponibile al momento in letteratura.

Sono stati arruolati 614 individui di etnia in prevalenza caucasica trattati con rhGH con diagnosi di bassa statura idiopatica (297), deficit isolato di GH (276) e nati piccoli per età gestazionale (65) ed è stata testata l’associazione dei parametri di risposta al trattamento (variazione staturale ad un anno di distanza dall’inizio della terapia) con più di 2 milioni di varianti geniche con frequenza superiore all’1%. Come replication sample sono stati arruolati 113 pazienti di una coorte brasiliana trattati con rhGH ed affetti dalle medesime condizioni patologiche.

E’ stata eseguita un’analisi primaria che ha coinvolto tutti i campioni e diversi set di analisi secondarie, filtrate per diagnosi o etnia e corrette per un'ampia rosa di variabili cliniche (età gestazionale, età di inizio del trattamento, dose di GH, SDS staturale all’inizio del trattamento). Sono state inoltre testate le varianti precedentemente descritte come associate alla risposta al GH (varianti nei geni GHR e IGFBP3 promoter) ed è stato testato un pannello di 697 varianti in geni descritti come coinvolti nel determinismo della statura finale.

Gli autori non hanno riscontrato alcuna associazione significativa tra varianti geniche comuni e risposta al trattamento con GH all'analisi primaria. All'analisi secondaria diversi loci hanno raggiunto una significatività nello studio GWA, dato che richiede comunque validazioni ulteriori. Alcuni di questi loci codificano per proteine coinvolte nei fenomeni di glicosilazione; gli autori del lavoro hanno pertanto sollevato l'ipotesi che variazioni nei processi di glicosilazione possano contribuire alla variabilità interindividuale nella risposta al GH.

Infine, l'analisi sulle varianti precedentemente descritte e su quelle associate al controllo genico della statura finale non ha mostrato associazioni significative nell'analisi GWA con la riposta al trattamento con GH.

Gli autori concludono affermando che non è stato possibile identificare varianti geniche associate in modo chiaro e robusto al trattamento con GH. I dati emersi dalle analisi secondarie sui loci che hanno raggiunto una significatività all'analisi GWA sono promettenti ma meritano una replicazione mediante studi su casistiche più ampie per essere validati.

Nonostante le limitazioni legate alla casistica reclutata, il lavoro presentato è il primo ed il più vasto studio di Genome Wide Association che ha indagato i fattori coinvolti nella variabilità nella risposta al GH.

I risultati dello studio sembrano orientare verso un contributo poligenico, piuttosto che limitato a singole varianti, nel determinismo della risposta al GH.

Gli autori suggeriscono inoltre che la variabilità nella risposta al trattamento dipenda da un network di geni diverso rispetto a quello preposto al determinismo della statura finale. 

Infine, i dati emersi dal lavoro fanno pensare che altri meccanismi, come ad esempio fattori di tipo epigenetico, siano responsabili della variabilità nella risposta al trattamento con GH e che questi meccanismi debbano essere studiati estensivamente con lo scopo di modulare il trattamento con ormone della crescita basandosi quanto più possibile sulle caratteristiche del singolo paziente.

 

Link all’articolo: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32652002/