3/2020

A cura di Silvana Caiulo

 

Gerdi Tuli, Jessica Munarin, Daniele Tessaris, Patrizia Matarazzo, Silvia Einaudi, Luisa de Sanctis. Incidence of primary congenital hypothyroidism and relationship between diagnostic categories and associated malformations. [Published online ahead of print, 2020, Jun 7] Endocrine. 2020;10.1007/s12020-020-02370-w

L’incidenza dell’ipotiroidismo congenito (IC) negli ultimi anni è cresciuta progressivamente. Tra i motivi, vi sono un aumento delle categorie a rischio, e un abbassamento del cut-off del blood-TSH (b-TSH) allo screening. E’ inoltre nota l’associazione tra IC e malformazioni extra-tiroidee. Lo studio di Tuli et al. ha valutato l’incidenza dell’IC in Piemonte alla nascita, e l’incidenza di malformazioni extra-tiroidee nelle differenti categorie diagnostiche (agenesia, ectopia, ipoplasia, disormonogenesi).

Sono stati analizzati i dati biochimici e clinici di 105 pazienti affetti da IC, individuati con lo screening neonatale, nati tra gennaio 2014 e dicembre 2019 in Piemonte. Il programma di screening neonatale in Piemonte prevede l’esecuzione di un primo screening a 48 ore di vita con b-TSH cut-off ≥8 mU/L, e un secondo screening 7-15 giorni dopo, con b-TSH cut-off ≥6,5 mU/L, eseguito in caso di primo screening patologico, terapia steroidea materna o prematurità. I neonati con sindromi o anomalie cromosomiche sono stati esclusi, così come i neonati affetti da ipertireotropinemia isolata che non hanno iniziato la terapia con levo-tiroxina. E’ stata effettuata la conferma su siero del’IC; ed ecografia tiroidea e scintigrafia con Tc99 in tutti i casi di sospetta agenesia.

L’incidenza di  IC diagnosticato alla nascita è stata di 1:1090, con la seguente suddivisione: disgenesia 47,6% (agenesia 14,3%, ectopia 23.8%, ipoplasia 9.5%), ghiandola in sede con disormonogenesi 52.4%. Nel 31,4% dei pazienti sono state osservate malformazioni extra-tiroidee. Le malformazioni più frequenti erano quelle cardiache (17/105 pazienti, 16,1%), seguite da quelle del tratto urogenitale  (7/105, 6,7%), gastrointestinale (5/105, 4,8%), e muscolo-scheletrico (5/105, 4,8%). La più alta incidenza di malformazioni è stata osservata nei pazienti con agenesia (53.3%) e disormonogenesi (36.4%), invece i pazienti con ectopia presentavano malformazioni nel 12% dei casi e i pazienti con ipoplasia nel 20%.

Il primo dato meritevole di attenzione è l’alta incidenza di IC rispetto ad altri studi, pari a 1:1090. L’incidenza dell’IC ha mostrato un progressivo aumento negli anni. Tra i fattori coinvolti vi sono cambiamenti demografici della popolazione e metodiche di screening. Nello studio è riportata l’incidenza di IC diagnosticato alla nascita, sarà interessante valutare la percentuale di forme permanenti nelle ghiandole in sede, alla rivalutazione eziologica. Altro risultato da sottolineare è la distribuzione eziologica: circa la metà dei pazienti presenta un quadro di disormonogenesi. Storicamente, veniva riportata una incidenza di disormonogenesi del 20% circa, con una frequenza di disgenesia dell’80%. Studi più recenti riportano una aumentata incidenza dei casi di ghiandola in sede rispetto alle disgenesie (Corbetta et al. Clin Endocrinol (Oxf). 2009;71(5):739-45). Futuri studi con caratterizzazione genetica mediante NGS per geni associati a IC, potranno  migliorare la definizione eziologica. Sono state osservate malformazioni extra-tiroidee nel 31,4% della casistica; tale incidenza è più alta rispetto a quella riportata in una casistica italiana da Olivieri et al., pari all’8,4%. (Olivieri 2002; J. Clin. Endocrinol. Metab. 87, 557–562). Non sono state trovate malformazioni multiple; dato che può dipendere dall’esclusione di pazienti con anomalie cromosomiche e sindromi, come gli stessi autori sottolineano.

Lo studio di Tuli et al. evidenzia una aumentata incidenza di IC (1:1.090), individuato con un programma di screening che prevede un primo screening con cut-off b-TSH ≥8 mU/L a 48 ore di vita e un secondo screening con cut-off di b-TSH ≥6,5 mU/L, eseguito 7-15 giorni dopo, in categorie a rischio (prematuri, terapia steroidea materna, primo screening patologico). Lo studio evidenzia, inoltre, una distribuzione eziologica caratterizzata per circa il 50% da casi di ghiandole in sede. Infine, descrive un’alta incidenza di malformazioni extra-tiroidee associate, soprattutto nei pazienti con agenesia e disormonogenesi. Nell’interpretazione dei dati bisogna tener conto dei differenti programmi di screening delle regioni d’Italia, dell’esclusione dei bambini con sindromi e anomalie cromosomiche. Ulteriori studi, con caratterizzazione genetica, saranno importanti per definire la correlazione genotipo-fenotipo.

Link all articolo: https://link.springer.com/article/10.1007/s12020-020-02370-w

 

A cura di Alberto Casertano

Mahmud FH, Clarke ABM, Joachim KC, et al. Screening and Treatment Outcomes in Adults and Children With Type 1 Diabetes and Asymptomatic Celiac Disease: The CD-DIET Study. Diabetes Care. 2020;43(7):1553-1556. doi:10.2337/dc19-1944

Lo studio “CD-DIET” ha valutato su una vasta coorte di bambini e adulti con Diabete Mellito di Tipo 1 (DMT1), la compresenza di Malattia Celiaca (MC) in forma asintomatica e gli effetti della dieta senza glutine sul controllo glicometabolico.

Lo studio è stato condotto in 22 centri diabetologici dell’Ontario e del Canada e si è caratterizzato per una fase osservazionale prospettica e una successiva interventistica. La prima è consistita nello screening sierologico per IgA anti-transglutaminasi (TTG) in pazienti con DM1 da almeno un anno, età 8-45 anni, asintomatici per MC (ovvero senza sintomi gastrointestinali, deficit di crescita, anemia, osteoporosi) e che non fossero in gravidanza. I soggetti con anti-TTG ≥30 CU venivano candidati ad accertamento istologico su biopsia duodenale, che veniva effettuato presso laboratorio centralizzato. La diagnosi di MC si poneva in presenza di Marsh score ≥ 2.

Nella fase successiva, i pazienti con MC così identificati, sono stati assegnati in maniera randomizzata a dieta senza glutine (GFD) o libera (GCD) e i due gruppi confrontati a 6 e 12 mesi per il controllo glicometabolico, prendendo in considerazione

  1. Emoglobina glicata (HbA1c)
  2. Escursione glicemica post-prandiale e time in range estrapolati, dall’analisi dei dati dei sensori glicemici (CGM), condotta in cieco, mediante sistema iPro2 (Medtronic).

Sono stati reclutati 2387 pazienti (età 8 - 45 anni, 1298 adulti - 54,4%; 1.089 bambini - 45,6%). Gli adulti, che risultavano essere stati meno indagati per MC rispetto ai bambini prima dell’arruolamento (solo il 6.9% era stato screenato per anti-TTG in precedenza, rispetto al 44.2% dei bambini, P = 0,0001), hanno mostrato un tasso di sieropositività significativamente maggiore (6,8% vs 4,7%; OR=1,48; P=0,035). Dei 139 sieropositivi (bambini e adulti), 104 pazienti hanno effettuato biopsia duodenale; 82 soggetti hanno ricevuto diagnosi di MC, ancora una volta in misura maggiore gli adulti (54 vs 28; OR 5 1.64, P = 0.042). Hanno preso parte alla fase interventistica 51 pazienti: 27 assegnati al gruppo “trattati” (GFD) e 24 a dieta libera (GCD). I pazienti sono stati sottoposti a controlli trimestrali miranti a valutare la compliance alla dieta mediante interviste strutturate per la valutazione delle quantità medie di glutine assunte al giorno (trasgressioni/errori involontari) e in base al livello degli anti-TTG.

L’HbA1c è aumentata progressivamente in entrambi i gruppi tuttavia, a 12 mesi, in maniera significativa solo per i trattati (+0,3%, p = 0,028). Dal confronto dei 2 gruppi non si è osservata differenza per HbA1c e time in range, tuttavia nei trattati (GFD) si sono osservate glicemie postprandiali a 2 e 4 ore significativamente maggiori rispetto al valore pre-prandiale: rispettivamente  + 11.6 mmol/L (95% CI 0.7–2.6, P = 0.0015) e   +11.5 mmol/L (95% CI 0.4–2.7, P = 0.014), a differenza di quanto osservato per i soggetti a dieta libera. Questi ultimi invece, hanno sviluppato un maggiore numero medio di ipoglicemie non gravi. Non si sono osservate differenze tra i gruppi in termini di dose insulinica quotidiana e profilo auxologico.

Punto di forza dello studio è la grandezza della popolazione screenata per MC e il rigore osservato nel selezionare la popolazione di asintomatici; di contro, punto debole è l’esiguo campione di soggetti sottoposti alla fase interventistica, peraltro estremamente eterogeneo per età.

Dalla fase osservazionale si è evinta una maggiore prevalenza di MC asintomatica in pazienti adulti con DM1, in conformità col dato della popolazione generale, in gran parte legato al carattere via via meno tipico e più difficile da diagnosticare della MC con l’avanzare degli anni. Peraltro, nel DM1 è noto un significativo incremento del tasso di comorbidità autoimmuni nel passaggio dall’adolescenza all’età adulta. D’altra parte il tasso di screening per MC prima dell’arruolamento si è rivelato significativamente inferiore per gli adulti rispetto ai bambini.

Dalla fase interventistica si è osservato un controllo glicometabolico sovrapponibile tra trattati e non, nonostante la dieta senza glutine (GFD) determinasse significative escursioni glicemiche post prandiali, attribuite al miglioramento della capacità assorbitiva dopo l’inizio dieta.

Negli ultimi anni è cresciuta l’attenzione all’associazione tra MC e DM1, sia per gli aspetti eziopatogenetici, che per gli outcome clinici. L’identificazione e il trattamento dietetico precoce di soggetti con MC asintomatici mira a limitare le complicanze croniche. Tra queste, il maggiore rischio cardiovascolare è evidente sin dall’età pediatrica per le alterazioni del profilo lipidico, (Salardi et al. Diabetes Care. 2016; Creanza A et al. Diabetes Res Clin Pract. 2018), mentre negli adulti sfocia in una maggiore aterogenesi (Pitocco D et al. Atherosclerosis. 2011).

Lo studio CD-DIET conferma le osservazioni provenienti da alcuni piccoli report e trial su popolazioni ristrette di pazienti con MC e DM1, dell’effetto sfavorevole sul controllo glicemico post prandiale legato a GFD. Se da un lato, come sostengono gli autori, questo è il dazio da pagare per il ripristino delle capacità assorbitive, d’altra parte è noto che la GFD ha un maggiore indice glicemico della GCD (Pham-Short A et al. Sci Rep. 2017). Seppure in questo studio non si osservi significativa differenza di HbA1c e time in range tra soggetti trattati e a dieta libera a breve termine, occorre un follow-up maggiore e che tenga conto di aspetti legati all’attività fisica, all’età, al sesso, al tipo di terapia insulinica e soprattutto della variabilità glicemica e dell’HbA1c nel tempo. La variabilità glicemica legata alla dieta di questi pazienti potrebbe inoltre significativamente trarre giovamento dalle nuove tecnologie (pancreas artificiale) e dalle nuove formulazioni di analoghi ultrarapidi (es. Faster-Insulin-ASPart).

Link all’articolo: https://care.diabetesjournals.org/content/43/7/1553.long

 

A cura di Raffaele Buganza

Ademi Z, Norman R, Pang J, Liew D, Zoungas S, Sijbrands E, Ference BA, Wiegman A, Watts GF.  Health economic evaluation of screening and treating children with familial hypercholesterolemia early in life: Many happy returns on investment? Atherosclerosis. 2020 Jul;304:1-8. doi: 10.1016/j.atherosclerosis.2020.05.007.

L’articolo analizza il rapporto costo-efficacia dello screening a cascata per l’ipercolesterolemia familiare (FH) ai 10 anni di età e del conseguente trattamento con statine dei soggetti affetti. Vengono presentati i risultati di un’analisi statistica volta a simulare l’andamento nel tempo di questi pazienti sottoposti a screening (con profilo lipidico e analisi genetica) e trattati dall’età di 10 anni, rispetto ai casi con ”usual care”, senza screening e con diagnosi ed inizio della terapia in epoca successiva o dopo un evento cardiovascolare. La metodica di screening e trattamento ai 10 anni risulta vantaggiosa sia in termini di costi per il sistema sanitario che di prevenzione di malattia coronarica nei diversi scenari analizzati, con un effetto positivo in termini di guadagno di anni di vita e di anni di vita ponderati per la qualità.

Si tratta del primo studio che valuta gli effetti complessivi nel corso della vita dello screening e del conseguente trattamento dall’età pediatrica dei soggetti con FH, sia in termini di costi che di effetti sulla salute. Precedenti studi sul rapporto costo-efficacia dello screening erano infatti basati su periodi di tempo limitati o non includevano soggetti in età pediatrica. Questo lavoro dà un contributo importante al dibattito sulla necessità di uno screening per FH in età pediatrica, per il quale la valutazione dell’impatto sul sistema sanitario in termini di costi e i vantaggi sulla salute dei pazienti sul lungo periodo sono aspetti fondamentali.

E’ opportuno sottolineare alcuni limiti dello studio. Si tratta di analisi statistiche e non di dati su pazienti reali, visto che non è possibile avere già dati “lifetime” sulla terapia con statine iniziata dopo uno screening in età pediatrica. Lo studio è stato effettuato in Australia, per cui le valutazioni sui costi sono basate sul sistema sanitario di quel paese. Vengono inoltre considerati solo i costi per il sistema sanitario e non per i pazienti o per la società (ad esempio gli effetti sul lavoro degli eventi cardiovascolari) per cui i vantaggi economici sono verosimilmente ancora superiori a quelli calcolati.

L’FH eterozigote ha una prevalenza elevata, di circa 1:300, ma è ancora molto sotto-diagnosticata. La necessità di uno screening in età pediatrica resta un tema dibattuto: esistono infatti indicazioni discordanti in letteratura, anche se in Europa vi è un consenso più ampio sullo screening a cascata (eseguito sui familiari di un soggetto affetto) rispetto a quello universale o a quello selettivo. Le ragioni a favore di uno screening che consenta una diagnosi e una terapia più precoce dell’FH sono legate alle evidenze sull’insorgenza del processo di aterosclerosi già in giovane età e al rischio cardiovascolare che risulta tanto maggiore quanto più è prolungata l’esposizione ad alti livelli di LDL-C. Inoltre, studi con follow-up fino a venti anni hanno dimostrato efficacia e sicurezza del trattamento con statine dall’età pediatrica. Questo studio rinforza le tesi a sostegno della necessità di una diagnosi e di un trattamento precoci e sostiene il favorevole rapporto costo-efficacia dello screening a cascata. Per l’esecuzione di questo tipo di screening è necessaria, da parte dei pediatri, l’attenzione all’anamnesi per indagare la familiarità e, da parte degli specialisti che hanno in cura un adulto con FH, la consapevolezza di dover raccomandare lo screening sui familiari anche in età pediatrica.

Link all’articolo: https://www.atherosclerosis-journal.com/article/S0021-9150(20)30260-4/pdf

 

A cura di Ilaria Brambilla

Özge Yüce, Aysun Bideci, Nurullah Çelik, Orhun Çamurdan, Peyami Cinaz. Diagnostic value of urinary luteinizing hormone levels in the monitoring of precocious puberty treatment. Arch Endocrinol Metab. 2020 Apr;64(2):121-127. doi: 10.20945/2359-3997000000212. Epub 2020 Mar 27.

Lo studio si propone di identificare un affidabile biomarcatore di efficacia del trattamento soppressivo con analoghi dell’ormone ipotalamico di rilascio delle gonadotropine (GnRHa) in pazienti affetti da pubertà precoce centrale/rapidamente progressiva, partendo dal presupposto che alcuni indicatori di adeguata risposta alla terapia risultano essere poco pratici e/o difficilmente riproducibili.

In particolare, il picco di ormone luteinizzante (LH) documentabile dopo somministrazione endovenosa dell’ormone di rilascio dell’LH (LHRH), pur essendo considerato il miglior biomarker di efficacia soppressiva, richiede posizionamento di catetere venoso periferico e prelievi seriati, procedure non soltanto minimamente invasive per il piccolo paziente, ma anche dispendiose dal punto di vista temporale ed economico. Il valore basale di LH, d’altro canto, risulta facilmente ottenibile ma non è stabilito quanto tempo dopo l’iniezione di GnRHa debba essere dosato e quale sia il cut-off che confermi una soppressione ormonale adeguata; gli stadi di Tanner, la velocità di crescita e l’età ossea sono infine indicatori relativamente operatore-diperndenti.

Il presente studio ha testato l’affidabilità dei livelli urinari di LH per il monitoraggio dell’efficacia soppressiva del GNRHa.

68 bambine con pubertà precoce centrale/rapidamente progressiva, già sottoposte a 3-4 iniezioni di GnRHa, sono state suddivise in due gruppi sulla base dei livelli di picco di LH dopo stimolo con LHRH: Gruppo 1, 39 pazienti con picco di LH ≤ 2 come da adeguata soppressione ormonale; Gruppo 2, 29 pazienti, con picco di LH > 2 come da inadeguata soppressione ormonale.

In entrambi i gruppi, all’inizio dello studio, è stato dosato il valore di LH urinario sulla prima minzione del mattino (FV-ULH), con riscontro di livelli significativamente più elevati nel Gruppo 2 e di una correlazione statisticamente significativa (p< 0.001), sia con il picco di LH dopo stimolo con LHRH sia con i livelli basali di LH sierico. Si precisa che a 3 pazienti del gruppo 2 è stata incrementata la posologia a 7.5 mg/mese, in considerazione del riscontro di progressione puberale, determinandone il passaggio, ai controlli successivi, al Gruppo 1.

Alla valutazione condotta a 6-7 mesi dall’inizio dello studio, nessuna differenza statisticamente significativa era evidente nei i livelli sierici di LH, basali o di picco; il valore di FV-ULH si manteneva invece significativamente differente tra i due gruppi (p< 0.05). Si segnala che, durante il follow-up, altre 14 pazienti del Gruppo 2, per documentato miglioramento clinico-biochimico, sono state assegnate al Gruppo 1.

Nella valutazione finale dello studio, ad 1 anno dall’inizio del trattamento, 56 pazienti presentavano una adeguata soppressione puberale, mentre 12 continuavano ad esprimere elevati livelli sierici di LH basale e di picco ed elevati FV-ULH.

L’analisi ROC ha dimostrato che la maggior sensibilità/specificità di FV-ULH si otteneva per valori inziali di 1.01 mIU/ml.

Gli Autori dimostrano come i livelli di FV-ULH possano essere impiegati nel monitoraggio della terapia soppressiva in bambine con pubertà precoce, possedendo sensibilità analoga a quella dei test da stimolo. Inoltre, il dosaggio urinario di LH sulla prima minzione del mattino consentirebbe di predire l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-ovaio più precocemente rispetto al test di stimolo con LHRH, riflettendo la pulsatilità notturna dell’LH.

La ristretta numerosità campionaria relativamente ai pazienti con inadeguata risposta al trattamento soppressivo costituisce uno dei principali limiti dello studio. Inoltre, nel gruppo delle pazienti con elevati livelli di LH urinario dovrebbe essere meglio precisata la differenza tra veri non-responder e soggetti con scarsa compliance alla terapia, al fine di rendere il campione scevro da impurità.

Un'altra potenziale limitazione è rappresentata dalle modalità di conservazione del campione di urina: la conservazione in freezer per lungo periodo potrebbe infatti indurre una parziale degradazione dell’LH.

Link articolo: https://www.scielo.br/scielo.php?script=sci_arttext&pid=S2359-39972020005001207&lng=en&nrm=iso&tlng=en