2/2020

A cura di: Marta Bassi

Glycemic Control in Type 1 Diabetes Mellitus During COVID-19 Quarantine and the Role of In-Home Physical Activity. Tornese G, Ceconi V, Monasta L, Carletti C, Faleschini E, Barbi E.. Diabetes Technol Ther. 2020;22(6):462-467. doi:10.1089/dia.2020.0169

Questo studio valuta le variazioni del controllo glicemico nel periodo di lockdown in Italia in un gruppo di adolescenti affetti da diabete di tipo 1 in terapia con Hybrid Loop Closed (HCL) system, con particolare attenzione al ruolo dell’esercizio fisico nell’ottenere un buon controllo glicemico.

Sono stati valutati retrospettivamente tutti i pazienti con diabete di tipo 1 seguiti presso l’Ospedale Burlo Garofolo di Trieste, utilizzatori di Sistema Medtronic 670G in modalità automatica e che hanno effettuato una visita in modalità telemedicina dal 22 marzo 2020. Sono stati quindi analizzati i seguenti dati: età di esordio, durata di terapia con HCL, percentuale di tempo in modalità automatica, esercizio fisico regolare (> 3h/settimana) prima e dopo le restrizioni da decreto ministeriale. I dati glicemici sono stati raccolti relativamente a tre periodi di due settimane: 14 giorni prima delle misure di emergenza (sospensione di scuole, attività sportive e meeting) del 23 febbraio (Time 1), 14 giorni prima del lockdown del 9 marzo (Time 2) e primi 14 giorni del lockdown (Time 3).

Lo studio ha valutato tredici pazienti con età media di 14 anni, durata media di terapia con HCL di un anno. Il controllo glicemico era già buono al Time 1 (Time in Range-TIR 68%). Tutti i pazienti hanno continuato ad avere un buon controllo glicemico nel periodo di studio: TIR al Time 2 66%, TIR al Time 3 72%. Anche il Time Below Range (TBR) si è significativamente ridotto dal Time 1 al Time 3 (-1%). Inoltre è stata riscontata una differenza significativa tra il TIR al Time 3 di chi ha praticato attività fisica regolare durante il lockdown e chi non l’ha praticata. Il TIR è aumentato significativamente tra il Time 2 e il Time 3 in coloro che praticavano attività fisica regolare sia prima che durante il lockdown.

I risultati mostrano che i pazienti inclusi nello studio hanno migliorato il loro controllo glicemico nel periodo del lockdown, che non sembra quindi avere avuto gli effetti peggiorativi temuti sul controllo glicemico. Le ragioni del miglioramento potrebbero essere il maggior controllo dei genitori, le giornate con orari più regolari, la migliore gestione della conta dei carboidrati con i pasti consumati a casa, l’assenza di stress scolastici e sportivi, il continuo supporto del team diabetologico tramite la telemedicina. Il controllo glicemico è migliorato anche in coloro che hanno continuato a svolgere esercizio fisico regolare a casa, dimostrando che è fondamentale incoraggiare i pazienti a praticare regolare attività fisica anche a domicilio quando non è possibile uscire.

Questo studio ha alcuni limiti, come la scarsa numerosità dei pazienti, la mancanza di confronto con pazienti che non hanno effettuato visite in modalità telemedicina e la scelta di un campione con modalità di terapia (HCL) uniforme e molto avanzata dal punto di vista tecnologico, quindi poco rappresentativo dell’intera popolazione dei pazienti. I risultati sono però davvero importanti e rassicuranti e ci invitano a dare importanza all’attività fisica anche in ambito domiciliare; inoltre lo studio ci fa riflettere ancora una volta sul ruolo del team diabetologico e sull’importanza di saper cercare il rapporto di cura con il paziente mantenendosi sempre al passo con la tecnologia e con eventuali difficoltà di percorso. 

Link: https://www.liebertpub.com/doi/full/10.1089/dia.2020.0169url_ver=Z39.882003&rfr_id=ori:rid:crossref.org&rfr_dat=cr_pub%20%200pubmed

 

 

A cura di: Valentina Assirelli

Using Kisspeptin to Predict Pubertal Outcomes for Youth With Pubertal Delay

Yee-Ming Chan,  Margaret F Lippincott,  Priscila Sales Barroso,  Cielo Alleyn,  Jill Brodsky, Hector Granados,  Stephanie A Roberts,  Courtney Sandler,  Abhinash Srivatsa, Stephanie B Seminara. The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, Volume 105, Issue 8, August 2020, dgaa162, https://doi.org/10.1210/clinem/dgaa162

La pubertà ritardata colpisce circa il 2% della popolazione e le cause più comuni comprendono il ritardo puberale costituzionale e l’ipogonadismo ipogonadotropo idiopatico. La diagnosi differenziale tra queste due condizioni è difficile, ma importante, in quanto consentirebbe di prevedere quali pazienti presentano un deficit patologico e quindi beneficerebbero di un trattamento di induzione puberale, e quali invece potrebbero permettersi un atteggiamento wait-and-see.

Lo scopo del lavoro qui riportato è quello di descrivere il potenziale utilizzo del test da stimolo con il neuropeptide Kisspeptina come gold-standard nella previsione dell’outcome puberale dei pazienti con pubertà ritardata, confrontandolo con i test diagnostici già in uso. 

È stato condotto uno studio di coorte prospettico longitudinale, svolto presso il Massachusetts General Hospital Translational and Clinical Research Center (MGH - TCRC), che include 16 pazienti (13 maschi e 3 femmine). I criteri di inclusione sono stati l’assenza o il mancato sviluppo dei caratteri sessuali secondari (B2 nelle femmine o volume testicolare > 4 ml nei maschi) a un’età ≥ 12 anni nelle femmine e ≥ 13 anni nei maschi, in assenza di una nota causa di ritardo puberale.

I pazienti sono afferiti due volte nella Struttura in regime di ricovero, per essere sottoposti ai seguenti test diagnostici: misurazione delle gonadotropine di base, inibina B, picco notturno di LH (con prelievo ematico ogni 10 minuti), gonadotropine dopo test di stimolo con GnRH 75 ng/kg per via endovenosa e delle gonadotropine dopo stimolo con Kisspeptina 0.313 mcg/kg per via endovenosa. Per migliorare la risposta ipofisaria allo stimolo con GnRH e Kisspeptina, è stato eseguito priming con GnRH sottocutaneo pulsatile alla dose di 75 ng/kg ogni 2 ore per 6 giorni e quindi i test diagnostici sono stati effettuati sia prima, sia dopo il priming.

Nella valutazione del test da stimolo con Kisspeptina sono stati distinti tre gruppi di pazienti:

  • Non-responder pattern – risposta di LH < 0.4 mIU/L (7)
  • Intermediate-pattern – LH tra 0.4 e 0.8 mIU/L (1)
  • Responder-pattern – risposta di LH ≥ 0.8 mIU/L (8)

Al termine del follow up, gli 8 pazienti con pattern “responder” (Gruppo A) hanno raggiunto la completa maturazione dell’asse puberale, mentre i 7 pazienti con pattern non responder e il paziente con pattern intermedio (Gruppo B) non hanno mostrato segni di pubertà entro i 18 anni.

Questo mostrerebbe una sensibilità del 100% nel predire l’outcome puberale a lungo termine, sebbene non fornisca indicazioni riguardo al tempo in cui si raggiunge la pubertà. 

Confrontando con gli altri test diagnostici emergono i seguenti risultati:

  • LH base: 2/16 pazienti hanno mostrato valori puberali di LH base, 1 di questi ha avuto progressione puberale (Gruppo A). Dei restanti 14/16, 6 appartengono al Gruppo A e i restanti 8 al Gruppo B;
  • Picco notturno di LH: 6/16 pazienti hanno mostrato valori puberali di picco di LH e tutti hanno mostrato progressione puberale (Gruppo A). Tra i restanti 10/16, 2 appartengono al Gruppo A e 8 appartengono al Gruppo B. I 2 pazienti del Gruppo A che non hanno risposto al picco notturno erano in trattamento con steroidi sessuali, per cui questo potrebbe avere interferito con la secrezione di LH;
  • Test da stimolo con GnRH: il Gruppo A ha presentato valori di LH compresi tra 1.2-15.4 mIU/ml, mentre il Gruppo B tra 0.2-7.5 mIU/ml. Nonostante nel primo gruppo i valori medi siano evidentemente più alti, si rileva un importante overlap.
  • Inibina B – nei maschi del Gruppo A i valori erano compresi tra 39-209 pg/ml, mentre nel Gruppo B tra 17-48 pg/ml.

La forza di questo studio risiede nell’inclusione di maschi e femmine, nella caratterizzazione neuroendocrina dei pazienti e nel follow-up prospettico a lungo termine.

Tra i limiti dello studio segnaliamo la scarsità del campione e la diseguaglianza di sesso, l’eccessiva medicalizzazione dei pazienti e il bias che si rileva nella tabella di analisi dei dati, dove si confrontano i test diagnostici come il picco notturno di LH, il test da stimolo con GnRH e l’inibina B eseguiti prima del priming, con il test da stimolo con Kisspeptina eseguito dopo il priming. Sarebbe interessante confrontare i dati in maniera equiparata.

Un altro limite dello studio risiede nella mancata segnalazione con commento di alcuni dati riguardanti questo test, in particolare il costo, la disponibilità del farmaco e la eventuale comparsa di eventi avversi, importanti per definire il ruolo che può avere questo test nell’iter diagnostico-terapeutico dei pazienti con pubertà ritardata.

Saranno necessari ulteriori studi su un campione ampio di pazienti per valutare la reale efficacia e sicurezza di questo test, e la risposta al test da stimolo senza l’utilizzo di una preparazione invasiva come il priming, prima che possa essere considerato nell’ambito del percorso diagnostico-terapeutico della pubertà ritardata.

Link articolo: https://academic.oup.com/jcem/article-abstract/105/8/dgaa162/5813981?redirectedFrom=fulltext

 

 

A cura di: Giusy Umano

Exome Sequencing Identifies Genes and Gene Sets Contributing to Severe Childhood Obesity, Linking PHIP Variants to Repressed POMC Transcription.

Marenne G, Hendricks AE, Perdikari A, et al. Cell Metab. 2020;31(6):1107-1119.e12. doi:10.1016/j.cmet.2020.05.007

Questo studio indaga la presenza di nuove varianti geniche associate all’obesità grave ad esordio precoce con un effetto significativo sul fenotipo. Si tratta di uno studio caso-controllo che ha incluso soggetti con obesità grave ad esordio in età pediatrica e controlli sani.

La coorte dei casi includeva bambini di origine Europea (coorte SCOOP), con un BMI SDS >3 per età e sesso ed un esordio dell’obesità prima dei 10 anni di età, mentre sono stati esclusi i soggetti affetti da forme note di obesità monogenica (mutazioni di LEP, LEPR; MC4R, ecc…).

Nella prima fase dello studio sono stati inclusi 927 casi e 4057 controlli sani provenienti dalla coorte inglese INTERVAL, tali campioni sono stati sottoposti a Whole Exome Sequencing (WES) per individuare varianti con effetto negativo sulla funzione (loss-of-function o missense) che avessero una distribuzione significativamente diversa tra casi e controlli.

Dal primo step sono emersi 9 geni con le suddette caratteristiche che sono stati oggetto di ulteriore studio in un secondo step di sequenziamento genico, per il quale il campione è stato ampliato per un totale di 2737 casi e 6704 controlli. Dalla combinazione dei risultati ottenuti dal WES e dal sequenziamento genico, sono stati individuati tre geni che mostravano una forte associazione con il fenotipo: PHIP (pleckstrin homology domain interacting protein), DGKI (diacylglycerol [DAG] kinase iota) e ZMYM4 (zinc-finger-MYM-type-containing 4).

Il gene PHIP, che codifica per una proteina coinvolta nella regolazione della replicazione e trascrizione del DNA, è stato associato in precedenza con ritardo mentale, disabilità intellettiva e dismorfismi facciali. In questo studio, il fenotipo dei pazienti portatori di mutazioni a carico del gene era estremamente variabile e non sempre caratterizzato da disabilità intellettiva e il ritardo mentale. Altre manifestazioni descritte erano: rapido accrescimento nei primi anni di vita, iperfagia, insulino-resistenza e sviluppo precoce di diabete mellito tipo 2. Gli autori dimostrano che la proteina non mutata attiva la trascrizione della pro-opiomelanocortina (POMC), e quindi la perdita di funzione è associata ad iperfagia. L’attività di regolazione della proteina suggerisce l’ipotesi che PHIP influenzi l’espressione di numerosi altri geni, spiegando dunque l’ampia variabilità del fenotipo clinico.

Il gene DGKI è espresso in diverse aree cerebrali (ippocampo, ipotalamo, nucleo caudale e corteccia) e nella tiroide. Pertanto, gli autori ipotizzano che possa essere coinvolto nel bilancio energetico e nel metabolismo. Il fenotipo dei pazienti individuati è caratterizzato soltanto dalla presenza di eccesso ponderale. Solo in un caso, portatore di una di mutazione nonsenso (Q265X), era presente anche un ritardo del linguaggio.

Il prodotto del gene ZMYM4 è stato per la prima volta associato con l’obesità. Tuttavia, le funzioni della proteina ZMYM4, appartenente alla famiglia delle zinc-finger protein non sono state ancora caratterizzate. I pazienti portatori di varianti geniche a carico di ZMYM4 presentano obesità associata a lieve disturbo dell’apprendimento.

I risultati di questo studio aiutano a colmare il gap diagnostico di tutti quei casi di obesità ad esordio precoce per cui non è stato ancora individuato il meccanismo patogenetico. Inoltre, il riscontro di mutazioni del gene PHIP potrebbe avere un risvolto terapeutico, poiché i pazienti portatori di tali varianti potrebbero potenzialmente beneficiare della terapia con agonisti del recettore del MC4R. Inoltre, la scarsa conoscenza delle funzioni di DGKI e ZMYM4 apre la strada a nuovi studi volti ad individuare i pathways coinvolti nella regolazione del metabolismo.

Lo studio delle basi genetiche dell’obesità, risulta ancora un rilevante campo di ricerca, soprattutto per i suoi potenziali risvolti terapeutici con l’individuazione di nuovi target di trattamento. Il costante progresso nelle tecniche di biologia molecolare consente di ampliare la conoscenza in questo campo e di individuare altri attori coinvolti soprattutto nei fenotipi clinici complessi.

 LINK

https://www.cell.com/cell-metabolism/pdf/S1550-4131(20)302461.pdf_returnURL=https%3A%2F%2Flinkinghub.elsevier.com%2Fretrieve%2Fpii%2FS1550413120302461%3Fshowall%3Dtrue 

 

 

A cura di: Marianna Rita Stancampiano

Serum Anti-Mu?llerian Hormone in the Prediction of Response to hCG Stimulation in Children With DSD

Angela K. Lucas-Herald, Andreas Kyriakou, Malika Alimussina, Guilherme Guaragna-Filho, Louise A. Diver, Ruth McGowan, Karen Smith, Jane D. McNeilly and S. Faisal Ahmed

J Clin Endocrinol Metab. 2020 May 1;105(5):1608-1616. doi: 10.1210/clinem/dgaa052

 

Nella valutazione di pazienti affetti da Differenze dello sviluppo sessuale (DSD), la determinazione del valore di AMH è frequentemente utilizzata, al fine di caratterizzare morfologicamente e quindi “potenzialmente” la funzionalità gonadica. Parallelamente, un altro utile strumento diagnostico di caratterizzazione della funzionalità gonadica risulta essere il test da stimolo con HCG.

Lo scopo di questo studio, condotto presso il Royal Hospital for Children di Glasgow, è stato quello di determinare la relazione tra il valore di AMH e la risposta del Testosterone (T) al test da stimolo con HCG, finora non validata in letteratura, analizzando retrospettivamente i test eseguiti dal 2001 al 2018.

Sono stati inclusi nello studio 138 pazienti (età mediana 1.2 anni, range 0.003-16.5) affetti da anomalie genitali complesse combinate (39%), criptorchidismo bilaterale (34%), ipospadia prossimale isolata (21%), micropene isolato (4%), ipospadia distale isolata (0.5%), ipospadia media (0.5%), criptorchidismo unilaterale (1%). Nel 19.5% dei pazienti (n=27) è stata identificata una patologia genetica nota, le più frequenti erano il deficit di 5a-reduttasi, 3 varianti a carico del gene NR5A1, 2 insensibilità parziali agli androgeni, 2 deficit di 3 b-idrossisteroido deidrogenasi.

I pazienti sono stati sottoposti a test da stimolo con HCG in versione standard [HCG 1500 U IM per 3 giorni consecutivi (D1-3) con esami ematici eseguiti in D1, prima dell’iniezione, e il giorno al’ultima iniezione (D4)]; o in versione prolungata [HCG 1500 U IM in D1, D2, D3. Ulteriori 2 iniezioni/settimana, per due settimane consecutive; esami ematici eseguiti in D1, prima dell’iniezione, D4 e D22].

Al test standard con HCG, un valore normale di AMH è risultato predittivo di un normale valore di T post HCG test con una sensibilità del 97%, ma una bassa specificità del 43%; un valore predittivo positivo dell’82%, un valore predittivo negativo del 86%.

Al test prolungato con HCG (eseguito in 61/138 pazienti), un valore normale di AMH è risultato predittivo di un normale valore di T post HCG test con una sensibilità del 93%, ma una bassa specificità del 48%; un valore predittivo positivo dell’84%, un valore predittivo negativo del 71%.

Il valore normale di AMH risulta senz’altro essere predittivo di una normale risposta del T post HCG test, con un valore predittivo di più dell’80%. Tuttavia, un basso valore di AMH non necessariamente predice una risposta subottimale del T post HCG test. In questa casistica, fino al 30% dei pazienti con AMH basso hanno presentato infatti un’adeguata risposta del T.

Nonostante i pazienti della casistica fossero tutti prepuberi, l’età di esecuzione del test potrebbe avere un impatto sulla risposta. Inoltre, l’esiguità del campione analizzato non ha permesso di raggruppare i pazienti per diagnosi specifica; la relazione tra AMH e risposta del T potrebbe variare in base alla condizione clinica di base e questo potrà sicuramente essere oggetto di studi futuri.

Nei pazienti DSD, il test con HCG risulta essere un utile strumento diagnostico al fine di caratterizzare la funzionalità delle cellule di Leydig. Alcuni limiti del test dipendono ancora dal tipo di protocollo utilizzato, dalla correttezza dell’esecuzione e dell’interpretazione dei risultati. Studi su ampie casistiche multicentriche potranno permettere di definire meglio questi aspetti.

Link articolo: https://academic.oup.com/jcem/article/105/5/1608/5722325