1/2020

A cura di Chiara Mameli (Milano)

McQueen RB, Rasmussen CG, Waugh K, et al. Cost and Cost-Effectiveness of Large-Scale Screening for Type 1 Diabetes in Colorado. Diabetes Care. 2020 Apr 23. pii: dc192003. doi: 10.2337/dc19-2003. [Epub ahead of print].

Questo studio valuta i costi e il potenziale rapporto costo-efficacia del programma ASK “Autoimmunity Screening for Kids”, ovvero un programma su larga scala di screening del diabete di tipo 1 in bambini e adolescenti asintomatici condotto nell’area metropolitana di Denver (USA).

ASK è in grado di diagnosticare soggetti presintomatici nello stadio 1 (normale metabolismo del glucosio con almeno 2 anticorpi specifici positivi) e stadio 2 (alterata tolleranza glucidica con almeno 2 anticorpi specifici positivi) del diabete tipo 1 e soggetti con celiachia. Il programma ASK, iniziato nel 2017, è un progetto di ricerca finalizzato a 1) prevenire le complicanze derivanti dalla diagnosi tardiva del diabete di tipo 1 e celiachia, 2) aumentare la consapevolezza e l'educazione riguardo queste due patologie tramite programmi educativi ad hoc, 3) valutare la fattibilità di uno screening universale.  

E’ stato effettuato il dosaggio degli anticorpi specifici per il diabete tipo 1 (anti insulina, GAD, ZnT8, IA2) e la celiachia (anti translutaminasi) in > 50.000 bambini dai 2 ai 17 anni.

Nel report vengono presentati i dati relativi al diabete tipo 1.

Sono stati definiti “casi” i bambini/adolescenti con multipla positività agli anticorpi specifici per il diabete tipo 1 oppure con presenza di un unico anticorpo ad alta affinità rilevato tramite radiobinding e saggio di elettrochemiluminescenza con conferma. Il costo del programma è stato rilevato identificando, misurando e quantificando tutte le risorse utilizzate (incluso il tempo) comparandolo allo scenario di “routine care” senza screening.

Da luglio 2018 sono stati arruolati 10.029 bambini (50.3% femmine, età media 9.3 anni +/- 4.4 DS, 51.4% ispanici). Il 5% dei partecipanti aveva un parente di I grado con diabete di tipo 1. Sono stato individuati 101 bambini-caso (1%). Il programma ASK riduce l’esordio della DKA a < 10% vs 30-58% in assenza di screening. I costi sostenuti possono essere compensati da risparmi derivanti dalla riduzione del 40% delle DKA alla diagnosi associati ad un miglioramento dello 0,3% (3.3 mmol/mol) dell’emoglobina glicata nell'arco di una vita rispetto all'assenza di screening.

Le prove emergenti suggeriscono che lo screening dei bambini asintomatici e l'educazione alla malattia può ridurre la DKA al momento della diagnosi e contribuire al miglioramento persistente dell’emoglobina glicata quando comparato alle cure standard.

Seppur questo studio è stato condotto in un Paese come gli Stati Uniti con costi e accessibilità alla sanità diversi rispetto all’Italia e pertanto poco applicabile alla nostra realtà, ha sicuramente il merito di aver posto l’attenzione sull’importanza dello screening autoimmune del diabete di tipo 1 nei bambini e adolescenti asintomatici. La riduzione del ritardo diagnostico, evitando l’esordio in DKA, rimane una delle sfide maggiori nel campo della diabetologia pediatrica. Inoltre, la diminuita incidenza di DKA è stata associata ad un miglioramento del controllo metabolico a medio e lungo termine e ad una riduzione delle complicanze. Tale aspetto è fondamentale da tenere in considerazione nella valutazione dello screening universale per il diabete tipo 1 nell’infanzia.

Secondo gli autori lo screening del diabete di tipo 1 pre-sintomatico ha un rapporto costo/efficacia favorevole nelle aree con una elevata prevalenza di chetoacidosi all’esordio, così come la presenza di un'infrastruttura con team dedicato che faciliti lo screening e il monitoraggio dei soggetti inclusi nel programma.

Altri aspetti fondamentali da chiarire saranno: a) esiste una “età ottimale” per lo screening in età pediatrica? b) Lo screening dovrà essere ripetuto nel tempo? Con quale frequenza? Con quali costi associati? c) Quali sono i costi associati alla creazione di infrastrutture ad hoc per la gestione di questo tipo di programma dove non già presenti? d) Quale sarà l’efficacia a lungo termine?

Ulteriori studi sono, pertanto, necessari per stabilire il reale rapporto costo-efficacia di questo tipo di approccio. Al momento attuale rimane fondamentale implementare le campagne di sensibilizzazione riguardo i segni e sintomi della patologia all’esordio non solo a livello della medicina del territorio ed ospedaliera ma anche a livello dell’intera comunità.

 

LINK: https://care.diabetesjournals.org/content/early/2020/04/22/dc19-2003

 

 

A cura di Domenico Corica (Messina)

Kelly AS, Auerbach P, Barrientos-Perez M, et al. A Randomized, Controlled Trial of Liraglutide for Adolescents with Obesity. N Engl J Med. 2020 Mar 31. doi: 10.1056/NEJMoa1916038. [Epub ahead of print].

 

Si tratta di un trial randomizzato, controllato, di fase 3, multicentrico, condotto in doppio-cieco, in cui è stato valutato l’utilizzo della Liraglutide nel trattamento dell’obesità in età adolescenziale. L’end-point primario dello studio era quello di valutare la variazione del BMI SDS dopo trattamento con Liraglutide in associazione al miglioramento dello stile di vita in adolescenti obesi, reclutati secondo i seguenti criteri: adolescenti in fase puberale di età compresa tra 12 e 18 anni, obesità severa, peso stabile negli ultimi 3 mesi (variazione < 5 kg secondo dati riportati dal paziente) e scarsa risposta alla sola modificazione dello stile di vita. 

La prima fase del trial consisteva in 56 settimane di trattamento con Liraglutide (dalla dose di 0.6 mg/die fino a 3 mg/die o fino alla dose massima tollerata) vs placebo per via sottocutanea, seguita da un periodo di follow-up della durata di 26 settimane a partire dall’interruzione della terapia. Sono stati randomizzati nei due bracci 251 soggetti con rapporto 1:1 (125 trattati con Liraglutide, 126 con placebo).  Alla 56° settimana, l’80.8 % dei casi ed il 79.4% dei controlli avevano completato il trattamento.  

Il principale dato che emerge dallo studio è la riduzione del BMI SDS significativamente maggiore nei soggetti trattati con Liraglutide, rispetto al gruppo placebo, dopo 56 settimane di trattamento. Inoltre, l’incremento del BMI SDS nel periodo successivo al termine del trattamento risultava maggiore nei soggetti precedentemente trattati con Liraglutide, rispetto ai soggetti trattati con placebo. L’analisi del profilo di sicurezza della Liraglutide aveva documentato che, sebbene la maggior parte degli eventi avversi fossero di entità lieve-moderata (prevalentemente gastrointestinali), questi erano stati la causa dell’interruzione del trattamento in un numero di soggetti significativamente maggiore tra coloro che erano in terapia con Liraglutide (13) rispetto ai controlli (0).

I risultati ottenuti in questo studio forniscono elementi incoraggianti riguardo la possibilità di utilizzare in futuro la Liraglutide nel trattamento dell’obesità severa in età adolescenziale in associazione al miglioramento dello stile di vita. Tuttavia, nell’interpretazione di questi risultati vanno tenute in considerazione alcune limitazioni dello studio tra cui la bassa numerosità campionaria, la mancata valutazione della composizione corporea, la difficoltà nel rilevare differenze significative riguardanti altri marcatori di rischio cardio-metabolico e qualità della vita.

Nonostante la terapia dietetico-comportamentale rimanga l’intervento primario per contrastare il persistere dell’obesità, talora questa può risultare di difficile attuazione e fallire in soggetti che presentano un quadro di obesità severa persistente nel tempo. La Liraglutide potrebbe, dunque, rivelarsi una valida alternativa per il trattamento dell’obesità severa in età adolescenziale, specie se persistente nel tempo, dopo il fallimento della sola terapia dietetico-comportamentale ma comunque in associazione ad essa, nell’ottica di ridurre il rischio di insorgenza delle complicanze cardio-metaboliche in età giovane-adulta. Queste considerazioni tuttavia non possono prescindere dalla necessità di precisare, attraverso ulteriori studi, dose e durata ideali per il trattamento con Liraglutide, di identificare i predittori di efficacia della terapia e di stabilire i criteri di selezione dei pazienti che possono beneficiare di questa terapia farmacologica, a fronte dei possibili effetti collaterali ad essa correlati e del rischio di scarsa aderenza, considerando la somministrazione giornaliera per via sottocutanea.

 

LINK: https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1916038

 

A cura di Gianluca Musolino (Varese)

van Kempen AAMW, Eskes PF, Nuytemans DHGM, et al. Lower versus Traditional Treatment Threshold for Neonatal Hypoglycemia. N Engl J Med 2020 Febr 6, 2020; 382(6): 534-544. doi:10.1056/NEJMoa1905593

 

Le ipoglicemie sono una delle più comuni problematiche metaboliche nei neonati. Essendo per lo più asintomatiche, molti neonati predisposti a svilupparle, quali ad esempio pretermine, small for gestational age (SGA), large for gestational age (LGA) o nati da madre diabetica, vengono routinariamente screenati (con prove glicemiche da 12 a 36h post nascita a seconda delle linee guida), con l’intento di prevenire danni dello sviluppo neuromotorio a distanza. Tuttavia, non vi è consensus generale su un cut-off glicemico diagnostico che sia sicuro, ma, al tempo stesso, eviti un ipertrattamento. Inoltre, gli studi che hanno verificato gli effetti a lungo termine dell’ipoglicemia sono per lo più osservazionali e hanno comparato soggetti con episodi ipoglicemici e neonati che non hanno avuto tale problema metabolico.

In questo studio multicentrico randomizzato sono stati comparati due valori soglia per il trattamento dell’ipoglicemia neonatale moderata asintomatica. Lo scopo dello studio era comprendere se l’utilizzo di un valore soglia più basso (trattamento con glicemia < 36mg/dL) fosse non inferiore rispetto a quello tradizionale (glicemia < 47mg/dL) per quanto riguarda lo sviluppo psicomotorio (endpoint primario) del bambino a 18 mesi di vita, valutato con la scala Bayley-III-NL (Bayley Scales of Infant and Toddler Development, third edition, Dutch version). Il range di tale scala va da 50 a 150 (media ± DS, 100 ± 15), con un punteggio più alto indicante un maggiore grado di sviluppo e mezza deviazione standard (pari a 7,5 punti) rappresentante una differenza clinicamente importante. Il cut-off glicemico più basso sarebbe quindi stato considerato non inferiore al tradizionale se i punteggi della scala di Bayley fossero risultati meno di 7,5 punti più bassi di quelli del gruppo con glicemia-soglia tradizionale. Gli outcomes secondari erano correlati agli svantaggi della terapia (e.g. numero di glicemie/die, tipo di trattamento, durata dell’allattamento al seno), all’efficacia (glicemia media, numero d’ipoglicemie dopo randomizzazione) ed ai costi sanitari (durata ospedalizzazione, costi nei 18 mesi post-nascita).

Venivano reclutati 689 neonati sani di ≥ 35 settimane di gestazione, con un peso alla nascita ≥2000g ed indicazione allo screening per ipoglicemia. I neonati erano pertanto appartenenti a quattro sottogruppi: late-preterm (35-37 EG), SGA (peso alla nascita <10° percentile per età gestazionale), macrosomici (peso alla nascita >90° percentile) e figli di madre diabetica. I neonati con ipoglicemia severa (≤ 35 mg/dL) erano esclusi. I punteggi di outcomes cognitivo e motorio erano simili nei due gruppi: punteggio medio [±SE], 102,9±0,7 [valutazione cognitiva] e 104,6±0,7 [motoria] nel gruppo con soglia inferiore e 102,2±0,7 [valutazione cognitiva] e 104,9±0,7 [motoria] nel gruppo tradizionale. Il limite di non inferiorità di -7,5 punti non è stato superato per il gruppo con valore soglia glicemico più basso. Dopo la randomizzazione si sono verificati episodi ipoglicemici nel 57% dei soggetti appartenenti al gruppo con valore-soglia minore e nel 47% dei neonati del gruppo tradizionale. Tale gruppo tuttavia ha registrato un incremento del 9% di misurazioni glicemiche e un numero più alto d’interventi terapeutici. Nessuna differenza è stata osservata nei 2 gruppi per quanto riguarda durata di ospedalizzazione ed entità di costi sanitari.

Questo studio mostra che l’utilizzo di un valore soglia glicemico di 36 mg/dL per il monitoraggio e la terapia delle ipoglicemie asintomatiche in neonati altrimenti sani è altrettanto valido rispetto al valore tradizionale di 47 mg/dL riguardo agli outcomes psico-motori a 18 mesi di vita. Il lavoro ha il merito di aver avuto un approccio pragmatico su una tematica che in letteratura suscita ancora discussione persino sulla definizione. Ottenere simili outcomes neuromotori a lungo termine con una strategia che comporta una rilevante riduzione di procedure, talora dolorose o invasive, per il trattamento dell’ipoglicemia rappresenta un risultato significativo per il neonato.

Vi sono alcune limitazioni di tale studio, quali il fatto che gli outcomes neurologici di un neonato sono influenzati da molti altri fattori prognostici, la necessità di adottare un diverso approccio diagnostico e terapeutico in caso di neonati con ipoglicemie ricorrenti (basso nel campione studiato) e, non ultimo, il fatto che deficit di importanti e sofisticate funzioni neurologiche (quali la comprensione del linguaggio, la parola e l’integrazione visuo-motoria) possono essere evidenziate solo dopo i 18 mesi di vita. Nonostante la buona correlazione della scala usata in questo trial con test d’intelligenza a varie età (fino a 10 anni), uno studio di follow-up di questo lavoro si rende necessario per il futuro.

LINK: https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1905593

 

A cura di Rita Ortolano (Bologna)

Heddar A, Beckers D, Fouquet B, Roland D, Misrahi M. A Novel Phenotype Combining Primary Ovarian Insufficiency Growth Retardation and Pilomatricomas With MCM8 Mutation. J Clin Endocrinol Metab. 2020 Jun 1;105(6). pii: dgaa155. doi:10.1210/clinem/dgaa155.

 

In questo lavoro viene descritta una nuova mutazione nonsense in omozigosi del gene MCM8 (coinvolto nei meccanismi di riparazione del DNA) in una paziente con insufficienza ovarica primaria (POI) associata a grave iposomia e pilomatricomi multipli.

La paziente si presenta all’età di 14 anni per bassa statura e ritardo puberale. È nata piccola per età gestazionale (SGA) e con ritardo di crescita intrauterino (IUGR), da genitori consanguinei. All’età di 13 anni il dermatologo le diagnosticava una condizione di pilomatricomi multipli (tumori benigni derivati dalle cellule dei follicoli piliferi). All’anamnesi familiare risulta che la madre presenta bassa statura, insufficienza ovarica precoce (amenorrea secondaria all’età di 29 anni) e patologia autoimmune (tiroidite, malattia di Behcet).

Gli accertamenti endocrinologici evidenziano insufficienza ovarica primaria (ovaie streaks), statura -4.33 SDS con velocità di crescita di 2.8 cm/anno, età ossea ritardata di 3 anni rispetto all’età cronologica. Rapidamente esclusa la sindrome di Turner e l’insufficienza ovarica precoce (POI) autoimmune, la paziente è stata sottoposta a terapia con ormone della crescita dai 14 ai 18 anni di età per persistente bassa statura in nata SGA ed a induzione della pubertà dai 15 anni con buona risposta. Gli ulteriori approfondimenti mostravano studio del gene FMR1 e Array CGH nella norma, inoltre mediante colonscopia non venivano riconosciuti polipi intestinali la cui eventuale presenza in associazione ai pilomatricomi avrebbe potuto essere suggestiva della sindrome di Gardner pertanto esclusa. L’applicazione della whole exome sequencing (WES) ha permesso di identificare una nuova mutazione nonsense (c.0925C>T; p.R309*) in omozigosi nel propositus e in eterozigosi in entrambi i genitori (confermata mediante sequenziamento Sanger) del gene MCM8. Lo studio delle rotture cromosomiche confermava la patogenicità della nuova mutazione.

È noto che i disordini di riparazione del DNA possono associarsi a bassa statura e che nelle sindromi da rotture cromosomiche, come la sindrome di Bloom e l’Anemia di Fanconi, è frequente il riscontro di IUGR o di nascita SGA. Inoltre nelle sindromi da rotture cromosomiche è presente un aumentato rischio di patologia tumorale.  I pazienti nati SGA che non presentano crescita di recupero secondo i criteri della nota AIFA n.39 in Italia possono venire sottoposti a terapia con ormone della crescita (GH). I dati sinora disponibili come quelli dello studio SAGhE non indicano un aumentato rischio tumorale associato all’utilizzo di terapia con ormone della crescita. Tuttavia, nei pazienti con sindromi da rotture cromosomiche e nei disturbi della riparazione del DNA, la terapia con GH è controindicata poiché tali pazienti hanno un maggiore rischio neoplastico in età giovanile. In questi casi infatti il GH potrebbe stimolare la proliferazione di cellule tumorali.

Questo report espande il fenotipo correlato a mutazioni in omozigosi di MCM8, già descritte in pazienti con ritardo puberale e amenorrea primaria e che in questo caso si caratterizza ulteriormente per bassa statura e pilomatricomi multipli. E’ il primo caso da mutazione del gene MCM8 associato a patologia tumorale umana, mentre è nota la sua associazione con tumori ovarici e carcinomi epatocellulari nei topi.

Gli autori concludono suggerendo di sottoporre all’analisi molecolare del gene MCM8, prima di intraprendere terapia con GH, le pazienti che si presentano con POI, nate SGA da genitori consanguinei con bassa statura, crescita di recupero assente e cariotipo normale. In definitiva, si rafforza il messaggio che nell’inquadramento diagnostico di pazienti con grave iposomia, nati SGA, senza crescita di recupero, è importante valutare eventuali altre possibili cause genetiche sottostanti, a maggior ragione quando un fenotipo familiare è ricorrente. Recenti dati della letteratura suggeriscono che nelle pazienti con POI idiopatica, mediante l’applicazione tecniche di biologia molecolare avanzate come la WES, è possibile identificare cause genetiche in circa 1/3 dei casi.  Tra queste è possibile riscontrare, dunque, eventuali mutazioni in eterozigosi del gene MCM8 che potrebbero predisporre ad un aumentato rischio di POI in presenza di altri fattori (ad esempio l’autoimmunità nella madre come nel caso della paziente descritta), e per le quali si raccomanda, pertanto, di valutare l’attuazione di tecniche di preservazione della fertilità.

LINK: https://academic.oup.com/jcem/article-abstract/105/6/dgaa155/5815316?redirectedFrom=fulltext