15/2019

A cura di: Flavia Barbieri (Napoli) e Alberto Casertano (Napoli)

 

Judith S. Renes, Jaap van Doorn, Anita C.S. Hokken-Koelega. Current Insights into the Role of the Growth Hormone-Insulin-Like Growth Factor System in Short Children Born Small for Gestational Age. Horm Res Paediatr. 2019 Sep 11:1-13. doi: 10.1159/00050273

La maggior parte dei bambini nati SGA (90%) mostra uno spontaneo recupero accrescitivo nei primi anni di vita. Le ragioni per il mancato recupero accrescitivo nel restante 10% dei casi non sono ancora chiare. Questa review riassume le ultime conoscenze raggiunte nei meccanismi molecolari ed epigenetici dell’asse GH-IGF1 nei bambini nati SGA.

L’alterazione maggiormente riscontrata nei bambini nati SGA è una riduzione dei livelli di IGF1 nella placenta e nel sangue cordonale, ma anche di una ridotta attività dell’IGF1 in utero. In epoca post-natale i livelli di IGF1, ALS e IGFBP3 sono ridotti nei nati SGA con bassa statura, mentre sembra essere aumentata la proteolisi dell’IGFBP3, conducendo pertanto alla formazione di un complesso tra ALS-IGF1 e IGFBP3 proteolizzato. L’affinità dell’IGF1 per il complesso così formato è di gran lunga inferiore rispetto al classico complesso ALS-IGF1-IGFBP3 e potrebbe pertanto provocare un rilascio precoce dell’IGF1.

Al contrario, recentemente è stata descritta una mutazione nella proteasi PAPPA2 in due bambini con bassa statura nati SGA che comporta aumentati livelli di IGF1, ALS e IGFBP3.

Ulteriori studi sono pertanto necessari per fornire una conoscenza migliore e approfondita delle cause di mancato catch up growth nei bambini nati SGA, essenziale per un’ottimizzazione della gestione terapeutica di questi pazienti. 

PER VISUALIZZARE L’ABSTRACT CLICCA SU QUESTO LINK

 

Harpreet Gill, Nick Barrowman, Richard Webster, and Alexandra Ahmet. Evaluating the Low-Dose ACTH Stimulation Test in Children: Ideal Times for Cortisol Measurement. J Clin Endocrinol Metab. 2019 Oct 1;104(10):4587-4593. doi: 10.1210/jc.2019-00295.

La diagnosi di insufficienza surrenalica risulta ancora oggi una diagnosi difficile. Vari test sono utilizzati per la diagnosi e anche le modalità di esecuzione dei test cambiano nei vari centri di Endocrinologia Pediatrica. La maggior parte dei centri esegue la misurazione del cortisolo durante ACTH test low dose al tempo 0 e dopo 30 minuti dalla somministrazione di corticotropina, come consigliato in letteratura.

Scopo degli autori del presente studio è stato valutare l’utilità della misurazione del cortisolo anche dopo 15 e 60 minuti dalla somministrazione di ACTH.

La maggior parte dei pazienti arruolati nello studio (ben 221) mostrava, come atteso, un picco di cortisolo dopo 30 minuti dalla somministrazione di ACTH. Tuttavia, l’esecuzione del prelievo per cortisolo a 15 e 60 minuti ha consentito di mostrare un picco di cortisolo normale nel 10% dei pazienti.

Il tempo del picco di cortisolo risultava correlato al BMI z-score, all’età e all’esposizione alla terapia con glucocorticoidi.

Dosare il valore del cortisolo dopo 15 e 60 minuti durante ACTH test low dose può pertanto essere fondamentale per ridurre il numero di falsi positivi, evitando terapie cortisoniche prolungata, stress del paziente e della famiglia, costi sanitari e prelievi inutili.

Tuttavia tale lavoro presenta alcuni limiti:

  • lo studio è di tipo retrospettivo e manca di una correlazione con un test diagnostico gold standard;
  • la maggior parte dei pazienti arruolati erano stati valutati perché espositi a steroidi esogeni;
  • i risultati dello studio non sono applicabili in età neonatale.

 

PER VISUALIZZARE QUESTO ABSTRACT CLICCA SU QUESTO LINK

 

 

Josephine HoAlissa C NicolucciHeidi VirtanenAlana SchickJon MeddingsRaylene A ReimerCarol Huang. Effect of Prebiotic on Microbiota, Intestinal Permeability, and Glycemic Control in Children With Type 1 Diabetes. J Clin Endocrinol Metab. 2019 Oct 1;104(10):4427-4440. doi: 10.1210/jc.2019-00481.

DISEGNO E RAZIONALE DELLO STUDIO:

Uno studio canadese randomizzato controllato, condotto in doppio cieco su 38 bambini e adolescenti (età 8-17 anni) affetti da Diabete mellito di tipo 1 (DM1), ha valutato gli effetti della supplementazione alimentare con prebiotici (8 g/die di oligofruttosio arricchito di inulina) su controllo glicometabolico, permeabilità intestinale e flora microbica intestinale.

Lo studio si fonda sul possibile ruolo patogenetico nel DM1 riconosciuto al microbiota intestinale, insieme all’alterata permeabilità ed all’infiammazione della mucosa enterica rilevata in questi pazienti; i prebiotici modulano la permeabilità intestinale (es. riduzione mediante un meccanismo che coinvolge il GLP-2) e la composizione del microbiota, che, a sua volta, modula la permeabilità e lo stato infiammatorio della mucosa enterica attraverso la produzione di prodotti di fermentazione e inducendo citochine. A corollario di un ruolo dei prebiotici nel controllo della patogenesi del DM1, inoltre, è stato dimostrato su modelli murini NOD di diabete, un effetto dell’oligofruttosio nell’incrementare la sensibilità insulinica, il tasso di proliferazione delle cellule ß ed il loro contenuto di insulina. Una recente review ha dimostrato un effetto statisticamente significativo dei probiotici nel ridurre i livelli postprandiali di glucosio; tuttavia non erano inclusi dati su pazienti pediatrici.

PAZIENTI E METODI

I pazienti sono stati randomizzati in casi (trattati per tre mesi con oligofruttosio) e controlli (riceventi maltodestrine isocaloriche al preparato di oligofruttosio). Lo studio è durato un anno; all’arruolamento, il gruppo dei trattati e dei non trattati (placebo) erano sovrapponibili per numerosità (17 vs 21), età (12,5 ± 2,8 anni vs 12,0 ± 2,6 anni) ed HbA1c (8,02 ± 0,82 % vs 8,08 ± 0,91 %). Sono stati esclusi soggetti con scadente controllo glicometabolico (HbA1c > 10%), malattia celiaca o enteropatia o terapia farmacologica in grado di determinare disbiosi intestinale.

La valutazione clinico-laboratoristica di casi e controlli è stata effettuata a tempo 0, dopo tre mesi di somministrazione e dopo ulteriori tre mesi di wash-out.

Sono stati raccolti i seguenti dati:

  • Registrazione anamnestica di scompensi glicometabolici acuti  (ipoglicemia o chetoacidosi)
  • C-peptide, HbA1C, indici infiammatori sierici (IL-6, IFN-γ, TNF-α, and IL-10), glucagon-like peptide (GLP)-1, GLP-2.
  • Test di permeabilità intestinale con carico orale di mannitolo e lattulosio. La permeabilità veniva pertanto quantizzata dal rapporto Lattulosio/mannitolo sulle urine dopo carico orale del doppio zucchero
  • Composizione del microbiota intestinale con ricerca di specifici acidi nucleici.

RISULTATI

Lo studio ha evidenziato assenza di differenza significativa dell’HbA1c, dei markers infiammatori e dei livelli di GLPs tra trattati e controlli dopo tre mesi; tuttavia sono emersi i seguenti dati:

  1. Al tempo 0 la presenza di un’incrementata permeabilità intestinale in 1/3 dell’intera popolazione di studio
  2. Nel gruppo dei trattati, un significativo incremento del C-Peptide e una riduzione della permeabilità intestinale (che invece aumentava nei pazienti riceventi placebo seppure in maniera non statisticamente significativa) a tre mesi di trattamento.
  3. Una correlazione positiva e significativa tra la permeabilità intestinale e i livelli di HbA1c (rs =0.628, P < 0.01) dopo tre mesi di trattamento e persistente dopo i tre mesi di washout.
  4. Al tempo 0 correlazione negativa significativa tra livelli di citochina antiinfiammatoria IL10 e del batterio Terrisporobacter e della permeabilità intestinale nei trattati.

I dati sopra esposti suggeriscono un possibile ruolo dell’oligofruttosio nel preservare la permeabilità intestinale e con questa la funzione ß cellulare, come evidenziato dall’incremento dei livelli di peptide C dopo tre mesi di trattamento, rispetto al placebo e alla riduzione della permeabilità intestinale.

È altresì possibile che tali dati non si siano tradotti in una significativa differenza in termini di HbA1c per ridotta durata e dimensione del campione del presente studio, pertanto è auspicabile verificarne i risultati su coorti più ampie.

COMMENTO: lo studio riportato avvalora l’ipotesi di un ruolo determinante del sistema mucosa enterica/flora microbica nella patogenesi del diabete autoimmune. Sempre più patologie appaiono legate in gran parte ad alterazioni del “microbioma intestinale” che di fatto rappresenta un attore determinante nella modulazione della risposta immunitaria innescata dal contatto degli antigeni con gli enterociti. Probabilmente l’intervento con probiotici in un diabete franco non determina significativi risultati sul controllo glicometabolico in quanto la riserva beta cellulare è già significativamente compromessa. Tuttavia il dato dell’incremento del peptide C offre lo spunto interessante di testare una eventuale azione “preventiva” dei prebiotici, su soggetti suscettibili (HLA positività o presenza di autoanticorpi) in termini di preservazione del patrimonio beta cellulare o addirittura nel frenare l’innesco del processo autoimmune legato all’alterata permeabilità intestinale.

 

PER VISUALIZZARE QUESTO ABSTRACT CLICCA SU QUESTO LINK

 

Henna Kallionpää, Juhi Somani, Soile Tuomela, Ubaid Ullah, Rafael de Albuquerque, Tapio Lönnberg, Elina Komsi, Heli Siljander, Jarno Honkanen, Taina Härkönen, Aleksandr Peet, Vallo Tillmann, Vikash Chandra, Mahesh Kumar Anagandula, Gun Frisk, Timo Otonkoski, Omid Rasool, Riikka Lund, Harri Lähdesmäki, Mikael Knip, and Riitta Lahesmaa. Early Detection of Peripheral Blood Cell Signature in Children Developing b-Cell Autoimmunity at a Young Age. Diabetes 2019; 68:2024–2034 | https://doi.org/10.2337/db19-0287

INTRODUZIONE

La comparsa degli autoanticorpi associati al diabete di tipo 1 è attualmente il solo parametro predittivo di DM1 rilevabile nella pratica clinica in soggetti geneticamente suscettibili. Tuttavia gli autoanticorpi compaiono in una fase avanzata della patogenesi disimmune, quando cioè è già è stata intaccata la tolleranza immunitaria e inoltre non danno informazioni sul timing di comparsa possibile della patologia.

OBIETTIVI: Identificare marcatori precoci della reazione autoimmune del DM1, antecedenti lo sviluppo degli autoanticorpi, indicanti una fase precoce del processo sulla quale poter attuare strategie preventive.

PAZIENTI E METODI: È stato condotto uno studio longitudinale su una coorte di 836 bambini con suscettibilità HLA DQ/DR per DM1. A 3, 6, 12, 18, 24, e 36 mesi sono stati dosati gli autoanticorpi, il totale delle cellule mononucleate, e le sottopopolazioni linfocitarie CD8+, CD4+, NK e CD4­-CD8-. 7 soggetti hanno positivizzato gli autoanticorpi entro due anni e sviluppato diabete tra 2,7 e 3,4 anni. In questa popolazione è stato studiato il profilo di espressione di RNA (trascrittoma) dei linfociti, nelle fasi precedenti allo sviluppo degli autoanticorpi e confrontato con quello di soggetti a rischio HLA, appaiati per sesso, età e luogo di nascita che però non hanno sviluppato nel corso dell’osservazione la positivizzazione sierologica. 

RISULTATI: Nei 7 casi si è rilevata significativa l’overespressione dell’IL32, particolarmente in cellule NK e Linfociti T attivati; essa è risultata inoltre coespressa con altri geni già in passato associati all’autoimmunità. L’IL32 testata su colture cellulari di cellule ß pancreatiche non ha determinato disfunzione/danno/citotossicità. Tuttavia si osservavava un’espressione di IL32 da parte delle ß cellule se esposte a citochine infiammatorie. La stessa IL-32 con meccanismo autocrino poteva a sua volta stimolare la propria espressione. Infine si è osservato su isole di ß cellule ottenute da cadaveri umani come l’incubazione con Coxsackie Virus B, al pari delle citochine su cellule in vitro, potesse determinare l’espressione dell’IL32.

DISCUSSIONE: L’overespressione linfocitaria di IL32 prima della sieroconversione predittiva della progressione del danno ß -cellulare, fa ipotizzare un ruolo di questa citochina come marcatore precoce del processo disreattivo autoimmune del DM1. La suddetta citochina è espressa sia su linfociti attivati che su cellule epiteliali (nella fattispecie nelle cellule ß esposte a stimolo infiammatorio/virus). Sui linfociti modula i CD4+ effettori promuovendo risposta Th1 e Th17, implicati nella patogenesi dell’insulite del DM1 osservata nell’uomo e in modelli murini.

CONCLUSIONE: Lo studio rappresenta il primo esperimento di ricerca a livello trascrittomico di marcatori precoci della risposta autoimmune del DM1. Tuttavia è stato focalizzato su un fenotipo particolarmente aggressivo, ovvero sviluppatosi entro i tre anni di vita e verosimilmente con caratteristiche patogenetiche peculiari. Un altro limite è la ridotta numerosità dei casi. Gli autori auspicano che tale filone di ricerca sia ulteriormente sviluppato in due direzioni: la prima è quella di riprodurre lo studio su un campione più numeroso e la seconda è di valutare non solo a livello cellulare, ma anche plasmatico i livelli di IL32.

COMMENTO: Si tratta di uno studio piuttosto complesso ed originale. Gli autori hanno seguito una coorte numerosa di bambini a rischio selezionando “solo” 7 casi, ma hanno effettuato studi in vitro sia su colture cellulari standard, che su cellule pancreatiche da cadavere per testare un possibile ruolo dell’IL32 nella patogenesi autoimmune del DM1. Sarebbe interessante che studi futuri oltre che cercare marcatori precoci si orientino alla ricerca di “bersagli precoci” da colpire con terapia molecolare/biologica specifica e quindi evitare lo sviluppo dell’autoimmunità. Sarebbe auspicabile inoltre evidenziare se esistano marcatori precoci della nota alterazione mucosale enterica associata al DM1 e definire più chiaramente le relazioni temporali tra la disreattività immunologica enterica-umorale e pancreatica, al fine di identificare la migliore terapia immunomodulante preventiva in termini di rischio/beneficio.

PER VISUALIZZARE QUESTO ABSTRACT CLICCA SU QUESTO LINK