10/2019

A cura di: Patrizia Bruzzi (Modena) e Giuseppe Cannalire (Piacenza)

PDQ Pediatric Treatment Editorial Board. Late Effects of Treatment for Childhood Cancer (PDQ®): Health Professional Version. Bethesda (MD): National Cancer Institute (US); 2002-.2019 Jun 4.

In giugno 2019 è stato pubblicato l’aggiornamento da parte del PDQ (Physician Data Query) Pediatric Treatment Editorial Board del NCI (National Cancer Institute, USA) della revisione peer-reviewed e evidenced-based della letteratura sugli effetti a lungo termine della terapia oncologica in età evolutiva. Non si tratta di formali linee-guida o raccomandazioni, ma piuttosto di un’indipendente revisione della letteratura ad “uso e consumo” del clinico.

Ampio capitolo è dedicato alle conseguenze endocrine di pazienti sopravvissuti a patologia oncologica in età evolutiva (figura 1). 


 

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Lanes R, Lindberg A, Carlsson M, Chrysis D, Aydin F, Camacho-Hübner C, King D, Davenport M. Near Adult Height in Girls with Turner Syndrome Treated with Growth Hormone Following Either Induced or Spontaneous Puberty. J Pediatr. 2019 Jun 18. pii: S0022-3476(19)30539-6. doi: 10.1016/j.jpeds.2019.04.056.

Importanza: Questo studio presenta i dati di un ampio database internazionale, il KIGS (Pfizer International Growth Database), raccolti dal 1987 al 2012 in circa 772 bambine con sindrome di Turner (ST) che hanno raggiunto la statura pressoché finale (FH).

Obiettivo: Confrontare la crescita puberale e la statura finale delle pazienti con ST con pubertà spontanea rispetto a quelle sottoposte a induzione puberale sia per via orale sia per via transdermica.

Introduzione: L’ipogonadismo ipergonadotropo rappresenta la caratteristica più comune della ST, sebbene si stimi che circa il 30% delle affette presenti una pubertà spontanea. Evidenze indicano che l’inizio della terapia sostitutiva con estrogeni all’età di dodici anni permetta una normale progressione puberale senza interferire negativamente sull’efficacia della terapia sostitutiva con ormone della crescita [J Clin Endocrinol Metab 92: 10 –25, 2007]. Dati europei suggeriscono che la terapia con estrogeni somministrati per via transdermica sia più efficace rispetto alla via di somministrazione orale in termini di miglior crescita durante lo spurt puberale [J Clin Endo Metab 2005;90: 5197-204].

Metodi: KIGS Database (Pfizer International Growth Database).

Risultati: Il 18.8% delle pazienti ha presentato pubertà spontanea. L’altezza SDS iniziale e la dose di GH (sia iniziale sia durante la pubertà) non sono risultate differenti nel gruppo di pazienti con ST e pubertà spontanea e nel gruppo di pazienti con ST e pubertà indotta. La durata della pubertà è simile nei 2 gruppi (circa 3.5 anni). La crescita staturale tra l’inizio della pubertà e il raggiungimento di una statura pressoché definitiva (FH) è migliore nel gruppo con pubertà spontanea rispetto alle pazienti con pubertà indotta (p <0.1) sebbene altezza FH SDS sia risultata simile in entrambi i gruppi. Non è stata documentata alcuna differenza in termini di risposta alla terapia con GH e FH nell’analisi eseguita in base al cariotipo (45,X vs. mosaicismi). Le pazienti trattate con terapia estrogenica per via transdermica (TD) hanno presentato una migliore altezza SDS all’inizio della pubertà (+0.3 SD) e una migliore crescita prepuberale rispetto a coloro sottoposte a terapia orale (TO). Non è stata però dimostrata alcuna differenza in termini di guadagno staturale in pubertà (ovvero FH – inizio della pubertà) nei 2 gruppi. 

Conclusioni e rilevanza clinica: Gli autori concludono affermando che il maggior guadagno staturale indotto dalla terapia con GH in pazienti con ST sia ottenuto prima dell’inizio della pubertà e non si modifichi in base al tipo di terapia estrogenica proposta (TD vs. TO).  L’interpretazione dei risultati deve però considerare i limiti dello studio ovvero l’inclusione di pazienti con ST trattate con schemi terapeutici storici differenti: solo 43 pazienti dello studio sono state sottoposte a estrogeni via TD (1.2% nel gruppo delle trattate prima 1995, 7.0% dal 2000, 8.6% dal 2005 e 11.0% dal 2010) e, in questo gruppo, il dosaggio della terapia con GH è stato superiore rispetto al gruppo TO (0.34 mg/kg/week vs. 0.30 mg/kg/week). Inoltre, il numero delle pazienti con ST e pubertà spontanea aumenta nel corso del tempo (16.9% nelle pazienti trattate prima del 1995 vs. 30% delle pazienti trattate dopo il 2010). In prima ipotesi, il dato è correlabile ad un miglioramento del potere di screening e del “rate” diagnostico di ST, anche in pazienti con fenotipo più sfumato, nel corso del tempo.

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Herold KC, Bundy BN, Long SA et al. An Anti-CD3 Antibody, Teplizumab, in Relatives at Risk for Type 1 Diabetes. The New England Journal of Medicine. 2019, June 9

Importanza: questo recentissimo studio, presentato in occasione del 79° congresso dell’American Diabetes Association (ADA 2019), descrive i risultati del TrialNet Teplizumab  Prevention Study (TN10) in merito ad immunoterapia e timing di sviluppo di diabete di tipo 1 in pazienti ad alto rischio. Si tratta di uno studio di fase II, randomizzato, controllato con placebo in doppio cieco.

Obiettivo: lo studio TN10 è stato disegnato per valutare se l’anticorpo monoclonale anti-CD3 Teplizumab può ritardare l’insorgenza del diabete di tipo 1 in pazienti ad alto rischio riducendo il danno autoimmune a livello pancreatico da parte dei linfociti.

Introduzione: sono stati descritti modelli di trattamento per il diabete di tipo 1 volti a preservare la riserva insulinica residua nei pazienti con recente esordio ma sarebbe utile identificare una strategia per prevenire o ritardare la malattia in pazienti a rischio.

Pazienti e Metodi: 76 pazienti di età compresa tra 8 e 45 anni (72% dei pazienti di età inferiore a 18 anni) con familiarità di primo o secondo grado per diabete di tipo 1, deficit nella secrezione insulinica (verificato attraverso un test da carico con glucosio) e screening anticorpale positivo per diabete autoimmune (almeno 2 anticorpi). I pazienti sono stati randomizzati a ricevere placebo (42%) o Teplizumab attraverso un’infusione ev quotidiana della durata di 30 minuti per 14 giorni.

Risultati: è stato dimostrato che un singolo ciclo di 14 giorni di trattamento ha ritardato significativamente l'insorgenza e la diagnosi clinica di diabete di tipo 1 rispetto al placebo nei bambini e negli adulti considerati ad alto rischio: tempo mediano alla diagnosi nel gruppo placebo 24,4 mesi rispetto a 48,4 mesi nel gruppo Teplizumab (p=0,006). Nei 60 mesi successivi alla randomizzazione, hanno sviluppato la malattia il 72% dei soggetti del gruppo placebo rispetto a solo il 43% del gruppo Teplizumab. Tassi annualizzati di diagnosi di diabete: 14,9% nel gruppo Teplizumab e 35,9% nel gruppo placebo.

Il farmaco è stato ben tollerato, i principali effetti collaterali segnalati sono stati: rash cutaneo e linfopenia transitoria. I dati di sicurezza sono stati coerenti con quelli degli studi precedenti effettuati su pazienti di nuova diagnosi.

Conclusioni e rilevanza clinica: i risultati hanno evidenziato che Teplizumab è in grado di ritardare la comparsa del diabete di tipo 1 in pazienti predisposti. Uno screening anticorpale ed una valutazione glicometabolica nei familiari di primo e secondo grado dei pazienti con diabete di tipo 1 autoimmune ci permetterebbe di identificare i pazienti affetti dalla forma precoce ed asintomatica di diabete di tipo 1 e di sottoporli ad immunoterapia per prevenire o ritardare in modo significativo (di almeno 2 anni) la diagnosi clinica.

Commento: questo studio descrive un’interessante strategia per la prevenzione del diabete di tipo 1 in pazienti ad alto rischio e potrebbe trovare un’applicazione pratica dopo che il farmaco verrà approvato e registrato da FDA. Attualmente è in corso, negli Stati Uniti, uno studio di fase 3 per valutare l’efficacia del Teplizumab in pazienti in età pediatrica. I risultati sono attesi per il Maggio 2022. In caso di risultato positivo in termini di costi/benefici, Teplizumab potrebbe diventare il primo anticorpo monoclonale approvato e utilizzabile nella prevenzione del diabete di tipo 1.

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Mehta S, Brar PC. Severe, persistent neonatal hypoglycemia as a presenting feature in patients with congenital hypopituitarism: a review of our case series. J Pediatr Endocrinol Metab. 2019, June 18

Importanza: per deficit ipofisario multiplo neonatale o panipopituitarismo si intende quella patologia, ad esordio nel periodo neonatale, caratterizzata dal deficit di 2 o più ormoni ipofisari. Tale patologia è rara (incidenza 1:4.000 nati vivi) e la diagnosi è difficile (avviene nel periodo neonatale solo nel 37% dei casi) per la scarsa specificità di segni e sintomi di esordio e per la problematica valutazione della funzionalità ipofisaria nel neonato. Trattandosi di una patologia rara, in letteratura non è descritta una casistica tale da permettere la formulazione di linee guida sulla diagnosi e sulla terapia. Il mancato riconoscimento e l’inadeguato trattamento possono compromettere lo sviluppo neuromotorio e condurre a complicanze mortali, quali ipoglicemia severa e mancata risposta surrenalica in caso di stress.

Obiettivo: descrivere 5 casi clinici di neonati che hanno presentato ipoglicemia severa protratta nei primi 3 giorni di vita e nei quali è stata posta diagnosi di panipopituitarismo presso il reparto di neonatologia della New York University School of Medicine nel triennio 2013-2016.

Introduzione: il più importante e comune sintomo di presentazione del panipopituitarismo neonatale è l'ipoglicemia severa protratta che è causata dal deficit degli ormoni controinsulari GH ed ACTH. L’ipoglicemia può essere associata ad iponatremia e ad instabilità cardiocircolatoria che può esitare in shock in caso di evento stressante a causa del deficit dell’asse corticotropo. Il sintomo ipoglicemia può essere misconosciuto in epoca neonatale, specie nel prematuro in prolungata nutrizione parenterale. L’ipoglicemia può associarsi ad ittero neonatale prolungato attribuibile sia al deficit di tiroxina, che causa la mancata coniugazione della bilirubina, sia all’ipocortisolismo che determina colestasi per la deficitaria azione del cortisolo nella sintesi degli acidi biliari e nella modulazione del flusso biliare.

Possono essere evidenti i caratteri fenotipici legati al deficit di GH: bozze frontali prominenti, naso a sella, ipotonia della muscolatura addominale con possibile ernia ombelicale. Nei casi associati ad anomalie della linea mediana, è possibile riscontrare labio-palatoschisi, incisivo singolo centrale ed ipertelorismo. Un'altra caratteristica del panipopituitarismo neonatale è la presenza di micropene (lunghezza del pene è inferiore alle - 2,5 SDS) nel 60% dei maschi affetti. La compresenza tra micropene ed ipoglicemia è fortemente suggestiva di questa patologia e deve indurre ad eseguire valutazioni ormonali oltre ad una valutazione neuroradiologica dell’encefalo con studio della regione ipotalamo-ipofisaria (alterazioni descritte nell’80% dei casi) e genetica mirata (analisi dei geni responsabili dell’ontogenesi della regione ipotalamo-ipofisaria).

Pazienti e risultati: 5 neonati (3 M, 2 F) nati a termine (età gestazionale media 39,8 ± 1,4 settimane), parametri auxologici normali, che hanno presentato nelle prime 3 giornate di vita ipoglicemia protratta severa sintomatica (media glicemica < 35 mg/dL) corretta con pasto di latte e glucosata ev al dosaggio medio di 7.22 ± 1.98 mg/kg/min per una durata media di 6.2 ± 3 giorni.

In nessun caso si è verificata iponatremia ed in un solo caso ittero con colestasi. Il micropene è stato diagnosticato in tutti i pazienti maschi.

La diagnosi di panipopituitarismo è stata posta da 2 a 52 giorni dopo il primo episodio ipoglicemico, nel 60% dei casi entro i primi 30 giorni di vita. In tutti i neonati è stato diagnosticato un deficit di GH, di ACTH e di TSH. In nessun caso è stato identificato diabete insipido. La terapia sostitutiva è stata iniziata tempestivamente dopo la diagnosi. Alla RMN encefalo: anomalie della regione ipotalamo ipofisaria (pituitary stalk transection syndrome) nel 100% dei casi associate a displasia setto ottica (40%) e a polimicrogiria (20%).

Conclusioni e rilevanza clinica: questo è uno dei pochi studi presenti in letteratura che descrive una casistica di pazienti con panipopituitarismo neonatale. Dai dati presentati emerge l’importanza di sospettare questa patologia in caso di ipoglicemie severe e protratte a partire dai primi 3 giorni di vita, soprattutto se associate a micropene nel maschio e ad ittero colestatico. Alle valutazioni ormonali (dirimente il dosaggio di ACTH, cortisolo e GH in corso di ipoglicemia) devono seguire l’imaging neuroradiologico e l’approfondimento genetico. La terapia sostitutiva deve essere iniziata tempestivamente e nell’ordine corretto: la somministrazione di L-Tiroxina, ad esempio, potrebbe precipitare un deficit dell’asse surrenalico non trattato.

Commento: il panipopituitarismo neonatale merita un’attenzione particolare dato che il suo mancato riconoscimento può esitare in complicanze acute che mettono a rischio la vita del neonato; nei casi meno gravi può invece determinare un deficit accrescitivo ed un inadeguato sviluppo neuromotorio. La sintomatologia con cui può presentarsi il deficit ormonale multiplo è variabile in base al tipo ed alla severità del deficit combinato. La diagnosi in epoca neonatale è difficile in quanto i sintomi ed i segni d’esordio sono spesso aspecifici. La valutazione neuroradiologica e l’analisi dei geni coinvolti nell’ontogenesi della regione ipotalamo-ipofisaria sono fondamentali per la diagnosi e per comprendere lo sviluppo embriologico di questa regione cardine in ambito ormonale. Di grande interesse epigenetico è la variabilità di fenotipo ed assetto ormonale, descritta in letteratura, in neonati con la stessa mutazione, anche gemelli monocoriali.

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