5/2019

A cura di: Domenico Corica (Messina), Elena Fornari (Verona) e Giacomo Tonti (Bologna)

 

Di Costanzo A, Pacifico L, Chiesa C, Perla FM, Ceci F, Angeloni A, D'Erasmo L, Di Martino M, Arca M. Genetic and metabolic predictors of hepatic fat content in a cohort of Italian children with obesity. Pediatr Res. 2019 Jan 23. doi: 10.1038/s41390-019-0303-1. [Epub ahead of print]

 

Background

Parallelamente al progressivo aumento di incidenza dell’obesità infantile è stato documentato un incremento delle diagnosi di steatosi epatica non alcolica (NAFLD), che ad oggi risulta essere la più comune epatopatia tra bambini ed adolescenti. Sebbene vi siano casistiche che documentano una prevalenza di NAFLD che raggiunge picchi del 60% tra bambini con obesità, non tutti i bambini obesi sviluppano una NAFLD. Tale evidenza suggerisce che alla base della patogenesi della NAFLD vi siano fattori genetici ed ambientali che influenzano la suscettibilità di ogni individuo. Poiché la NAFLD predispone all’insorgenza di un ampio spettro di epatopatie croniche dell’età adulta (steatoepatite, cirrosi epatica, epatocarcinoma), l’identificazione dei fattori favorenti la NAFLD nei bambini con obesità assume una grande rilevanza clinica al fine di mettere in atto interventi preventivi negli individui a rischio. Alcuni fattori metabolici (insulino-resistenza) e genetici (tra cui le varianti di sequenza rs738409 C>G del gene PNPLA3 e rs58542926 C>T del gene TM6SF2) sono state identificate come fattori promotori l’accumulo di grasso a livello epatico, attraverso differenti meccanismi d’azione.

 

Obiettivo

Valutare i fattori genetici e metabolici capaci di influenzare l’accumulo epatico di grasso (HFF) in una coorte di bambini con obesità.

 

Disegno

Studio osservazionale

 

Metodi

Per lo studio sono stati reclutati 230 bambini sovrappeso (BMI > 85° e < 95 percentile) ed obesi (BMI > 95° percentile) di età compresa tra 6 e 16 anni. Sono stati esclusi bambini affetti da diabete mellito, patologie epatiche e/o renali, celiachia, fibrosi cistica. I pazienti reclutati sono stati sottoposti alle seguenti indagini: 1. esami ematochimici per profilo lipidico, glicemia, insulinemia, transaminasi, curva da carico orale con glucosio (OGTT); 2. RMN epatica con scanner 3.0 T (HFF ≥ 5% sono stati classificati come NAFLD); 3. Genotipizzazione per le seguenti varianti geniche già note in letteratura per la loro correlazione con la NAFLD in soggetti adulti (Di Costanzo et al Sci. Rep. 2018; 27, 3702): rs641738 C>G (I148M) (PNPLA3), rs58542926 C>T (E167K) (TM6SF2), rs1260326 C>T (L446P) (GCKR), e rs641738 C>T (G17E) (MBOAT7-TMC4).

Sulla base dei 4 SNPs selezionati è stato calcolato un punteggio di rischio genetico (GRS) valutato sia come variabile continua che suddiviso in terzili.

 

Risultati

  • Il 45.7% dei pazienti presentava NAFLD (HFF ≥ 5% alla RMN).
  • 122 (53.1%) soggetti erano portatori della variante allelica G del gene PNPLA3, 163 (70.9%) della variante T in MBOAT7, 183 (79.5%) della variante T in GCKR, 32 (13.9%) della variante T in TM6SF2.
  • I portatori delle varianti geniche negli alleli G del gene PNPLA3, allele T in GCKR ed allele T in TM6SF2, presentavano una più alta percentuale di HFF rispetto ai soggetti wild type, anche dopo correzione per età, genere, BMI, stadio puberale, HOMA-IR.
  • In un modello statistico multivariato che includeva età, genere, BMI, HOMA e le varianti geniche di PNPLA3, GCKR e TM6SF2, le sole varianti geniche spiegavano il 16.1% della variazione di HFF, ed in particolare le varianti di PNPLA3 risultavano essere il miglior predittore della percentuale di HFF.
  • Il BMI e la presenza dei fattori diagnostici per sindrome metabolica erano gli unici fattori, tra i parametri metabolici, a risultare predittori indipendenti di NAFLD.
  • L’analisi dell’effetto cumulativo sul rischio di NAFLD dei 4 SNPs analizzati ha permesso di documentare che gli SNPs dei geni PNPLA3, GCKR e TM6SF2 (con l’esclusione di MBOAT7) spiegavano il più alto rischio di NAFLD. La prevalenza di NAFLD tra i pazienti della coorte aumentava all’aumentare dei terzili dei 3 SNPs ed il rischio di NAFLD saliva fino a 7.7 per valori di GRS > 0.3302 (corrispondenti al terzo terzile).

 

Conclusioni

I fattori genetici analizzati in questa popolazione determinavano un contributo indipendente al rischio di NAFLD significativamente superiore a quello legato all’insulino-resistenza ed al BMI. Le varianti di sequenza dei geni PNPLA3 and TM6SF2 sono quelle risultate più fortemente correlate al rischio di NAFLD tra i bambini obesi della coorte. A causa della sempre crescente insorgenza di obesità, assume grande importanza l’identificazione di un ampio pannello di geni di rischio per l’insorgenza di NAFLD con l’obiettivo di identificare ed intervenire precocemente sui soggetti a maggior rischio al fine di prevenire l’insorgenza o le complicanze correlate alla NAFLD.

 

COMMENTO

Questo interessante studio conferma, in una popolazione pediatrica, il ruolo delle varianti di sequenza di 3 geni (PNPLA3, TM6SF2, GCKR) già correlati con il rischio di NAFLD in soggetti adulti, e sottolinea come il loro impatto sul rischio di accumulo di grasso a livello epatico sia superiore a quello determinato da fattori metabolici, come l’insulino-resistenza, notoriamente correlati al rischio cardio-metabolico degli individui con obesità. Tuttavia, probabilmente, la bassa numerosità del campione ha influenzato, almeno in parte, i risultati dell’analisi, in particolar modo determinando l’esclusione dello SNP del gene MBOAT7 come fattore predittivo di NAFLD, e documentando invece solo una debole associazione con lo SNP del gene GCKR, che gli stessi autori avevano dimostrato essere significativamente correlato al rischio di NAFLD in soggetti adulti. Sarebbe pertanto auspicabile che tali riscontri fossero confermati su una più ampia casistica pediatrica. Un altro elemento che avrebbe ulteriormente valorizzato lo studio sarebbe stata la valutazione, tra i pazienti reclutati, di un altro fattore di rischio cardio-metabolico, quale il rapporto circonferenza vita/altezza. Tra i punti di forza dello studio, sono da sottolineare l’utilizzo della RMN per determinare il grado di steatosi epatica e la realizzazione del GRS utile a chiarire il peso dell’effetto combinato di queste varianti geniche sul rischio di NAFLD presente in questa popolazione.

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Radetti G, Loche S, D'Antonio V, Salerno M, Guzzetti C, Aversa T, Cassio A, Cappa M, Gastaldi R, De Luca F, Vigone MC, Tronconi GM, Corrias A. Influence of Hashimoto Thyroiditis on the Development of Thyroid Nodules and Cancer in Children and Adolescents. J Endocr Soc. 2019 Jan 4;3(3):607-616. doi: 10.1210/js.2018-00287. eCollection 2019 Mar 1.

Background

La tiroidite di Hashimoto (HT) è una delle più frequenti patologie autoimmuni sia nella popolazione adulta che in età pediatrica. Un argomento ancor oggi molto dibattuto, per il quale la letteratura scientifica disponibile fornisce risultati contrastanti, riguarda la possibile associazione tra la HT e l’insorgenza di noduli tiroidei e cancro tiroideo (CT). Nella popolazione pediatrica, sebbene il riscontro di noduli tiroidei sia un’evenienza più rara rispetto alla popolazione adulta, il rischio di evoluzione maligna dei noduli è maggiore. Precedenti lavori hanno documentato una percentuale di rischio fino al 9.6% di evoluzione maligna di un nodulo tiroideo identificato nel contesto di una HT, ed una prevalenza generale di CT, tra i bambini affetti da HT, compresa tra lo 0.67% ed il 3%.

Obiettivo

Gli autori di questo studio retrospettivo si proponevano di indagare il ruolo della HT nello sviluppo di noduli tiroidei e CT in un’ampia coorte di bambini ed adolescenti seguiti in follow-up fino a 12 anni dalla diagnosi di HT.

Disegno

Studio multicentrico retrospettivo

Metodi

Presso 9 centri italiani di endocrinologia pediatrica, sono stati valutati retrospettivamente 904 bambini ed adolescenti con diagnosi di HT, che nel corso del follow-up sono stati regolarmente sottoposti ad esami ematochimici di funzionalità tiroidea (TSH, FT4, TPOAb, TGAb), ecografie tiroidee, biopsia con ago sottile in presenza di noduli con diametro > 1 cm o compreso tra 0.5 e 1 cm in presenza di un pattern ecografico sospetto per malignità.

Risultati

  • La prevalenza di noduli tiroidei rilevati all’ecografia al momento della diagnosi di HT era dell’8.52% e si incrementava sino al 19.2% al momento dell’ultima visita del follow-up.
  • La probabilità di avere un nodulo tiroideo era del 9.3% alla diagnosi di HT e si incrementava fino al 43.9% dopo 10 anni, risultando, pertanto, un’incidenza annuale del 3.5%.
  • Nel corso dell’intero follow-up, 10 soggetti su 904 (1.1%) hanno sviluppato un CT (lo 0.33% dei soggetti aveva un cancro tiroideo già al momento della diagnosi di HT). L’età media alla diagnosi di CT era di 13.24 anni.
  • Tutti i pazienti con CT (6 tumori papillari e 4 tumori papillari variante follicolare) presentavano, al momento della diagnosi, una linfoadenopatia laterocervicale ed alterazioni ultrasonografiche suggestive di malignità. Tra questi, 6 soggetti erano eutiroidei, 1 ipotiroideo e 3 presentavano un ipotiroidismo subclinico al momento della diagnosi di CT.
  • La familiarità per patologie autoimmuni, il sesso, una diagnosi concomitante di celiachia o T1DM non influenzavano significativamente l’incidenza di nuovi noduli tiroidei. Al contrario, i livelli di TPOAb (p=0.05), il grado di ecogenicità all’ecografia (p=0.001), ed il trattamento con Levo-tiroxina (p=0.05) influenzavano significativamente l’incidenza di noduli nel corso del follow-up.
  • I livelli di TPOAb (p=0.01) risultavano significativamente correlati con l’incidenza di CT. Al contrario, i livelli di TSH e la presenza di noduli singoli o multipli non erano significativamente correlati alla diagnosi di CT.

Conclusioni

Lo studio ha dimostrato una evidente correlazione tra la presenza di HT e l’incidenza di noduli tiroidei, ma non di CT, ed ha confermato che il CT è un’evenienza rara tra i soggetti affetti da HT in età pediatrica. Gli autori ipotizzavano che la correlazione tra l’incidenza di noduli tiroidei ed i livelli di TPOAb, l’ecogenicità della tiroide e la terapia con L-tiroxina, elementi questi correlati ad una alterazione morfologica e funzionale della ghiandola, sia espressione del fatto che proprio lo stato infiammatorio possa favorire l’insorgenza dei noduli tiroidei nel contesto della HT.

COMMENTO

Si tratta di uno studio che fornisce un’analisi chiara e puntuale su un argomento, quello dell’incidenza di noduli e CT in soggetti pediatrici con HT, ancor oggi molto controverso, specie in età pediatrica. Questo studio, nonostante abbia un design retrospettivo, presenta numerosi punti di forza tra cui l’ampiezza della coorte pediatrica indagata, l’omogeneità dei dati raccolti presso i 9 centri coinvolti nell’analisi, e la lunga durata del follow-up sino a 12 anni dalla diagnosi di HT. Lo studio permette di focalizzare l’attenzione su quegli elementi utili ad identificare tra i bambini ed adolescenti con HT quelli a maggior rischio di sviluppare un nodulo tiroideo ed un CT nel corso del follow-up, in particolar modo documentando una correlazione significativa tra l’incidenza di noduli tiroidei ed i livelli di TPOAb, l’ecogenicità della tiroide e la terapia con L-tiroxina. E’ stata infine evidenziata una correlazione significativa tra l’incidenza di CT ed i livelli di TPOAb, al contrario non è stato confermato quanto riportato da altri autori riguardo la correlazione tra i livelli di TSH e l’insorgenza di CT, verosimilmente a causa della bassa incidenza di casi di CT nella coorte studiata.

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Zaharieva DP, McGaugh S, Pooni R, Vienneau T, Ly T, Riddell MC. Improved Open-Loop Glucose Control with Basal Insulin Reduction 90 Minutes Before Aerobic Exercise in Patients with Type 1 Diabetes on Continuous Subcutaneous Insulin Infusion. Diabetes Care Publish Ahead of Print, published online February 22, 2019

Questo studio crossover randomizzato valuta, in un gruppo di pazienti adulti con DMT1, l’effetto di 3 diverse modalità di gestione del profilo insulinico basale in occasione di un esercizio fisico programmato di 60 minuti. Impostare una basale temporanea all’80 o 50% 90 minuti prima di una sessione di esercizio fisico, risulta più efficace rispetto alla sospensione della basale durante l’esercizio stesso, sia in termini di minor variabilità glicemica, che di rischio di eventi ipoglicemici.

COMMENTO PERSONALE: sarebbe interessante replicare lo studio in età pediatrica, anche confrontandolo con il profilo basale durante la stessa sessione di esercizio di un gruppo di soggetti che utilizza microinfusore con sistema smart guard

LO STUDIO NEL DETTAGLIO…

Soggetti: 17 soggetti con diabete tipo 1 (17-65 anni) in trattamento con microinfusore.

Metodi: ciascun soggetto ha portato a termine 3 sessioni di esercizio di 60 minuti su tapis-roulant, rispettivamente con 3 diverse modalità di gestione del profilo basale: 1. Sospensione durante l’esercizio, 2. Basale temporanea all’80% 90’ prima dell’esercizio, 3. Basale temporanea al 50% 90’ prima dell’esercizio. Sono stati inoltre valutati il profilo glicemico conseguente all’assunzione di un pasto dopo la sessione di esercizio e i profili glicemici notturni.

Risultati: Entrambe le modalità di gestione mediante basale temporanea, hanno determinato un numero significativamente inferiore di eventi ipoglicemici rispetto alla sospensione della basale durante esercizio (1 evento per basale temporanea al 50% e 80% vs 7 eventi per sospensione della basale, sul totale dei soggetti). Considerando il profilo glicemico a partire da 30 minuti prima dell’inizio dell’esercizio per le successive 4 ore (compreso il post-meal), il profilo con basale ridotta all’80% 90’ prima della sessione di esercizio ha determinato, rispetto alle modalità di sospensione durante esercizio e basale temporanea al 50%, minor flessione glicemica al termine dell’esercizio (-31 mg/dl vs -47 mg/dl e -67 mg/dl con basale temporanea al 50% e basale sospesa) e minor incremento della glicemia post-prandiale. L’utilizzo di basale temporanea ha inoltre determinato profili glicemici notturni migliori (83% di time in range sia per la basale all’80% che per la basale al 50% vs 78% di time in range per la sospensione di basale) con minor tempo al di sotto del target ipoglicemico (2% e 1% rispettivamente per basale temporanea all’80% e 50%, 5% per la basale sospesa).

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Tandy Aye, Paul K. Mazaika, Nelly Mauras,3 Matthew J. Marzelli, Hanyang Shen, Tamara Hershey, Allison Cato, Stuart A. Weinzimer, Neil H. White, Eva Tsalikian,Booil Jo, and Allan L. Reiss,  for the Diabetes Research in Children Network (DirecNet) Study Group. Impact of Early Diabetic Ketoacidosis on the Developing Brain. Diabetes Care 2019 Mar;42(3):443-449. doi: 10.2337/dc18-1405. Epub 2018 Dec 20.

Questo interessante studio longitudinale analizza, in bambini con DMT1, i possibili effetti della DKA sullo sviluppo cognitivo e cerebrale. Sono stati effettuati, al baseline e a 18 mesi, test cognitivi e  imaging cerebrale (mediante RNM)  in un gruppo di 144 bambini (4-10 anni). I bambini sono stati classificati in 2 sottogruppi per severità della chetoacidosi (1. DKA assente/moderata, 2. DKA moderata/severa).

Le analisi sui dati di imaging (attendibili per 128 soggetti) hanno evidenziato nei 18 mesi di follow-up:

- maggior incremento della sostanza bianca nei soggetti con DKA moderata/severa

- nessuna differenza nei volumi della sostanza grigia tra i 2 gruppi.

Le analisi dei test cognitivi (disponibili per 137 soggetti) hanno mostrato nel gruppo di soggetti con DKA moderata/severa, comparato con il gruppo DKA assente/moderata:

- significativa differenza nel Quoziente Intellettivo “Full Scale” (di circa 6 punti inferiore)

- score significativamente inferiori nel CPT2 (Conners’ Continuous Performance Test)

- performance significativamente inferiori nel test di “dots location”.

COMMENTO: il riscontro di ridotta performance cognitiva e alterato sviluppo cerebrale al neuroimaging nei bambini con storia di DKA moderata/severa, deve essere ulteriore motivo di riflessione sulla necessità di implementare le campagne di prevenzione/sensibilizzazione al fine di favorire la diagnosi precoce di DMT1.

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Burckhardt MA, Chetty T, Smith GJ, Adolfsson P, de Bock M, Jones TW, Davis EA. Use of Continuous Glucose Monitoring Trends to Facilitate Exercise in Children with Type 1 Diabetes. Diabetes Technol Ther. 2019 Jan;21(1):51-55. doi: 10.1089/dia.2018.0292.

Lo studio valuta l’utilizzo di un algoritmo di assunzione dei carboidrati basato sul monitoraggio in continuo del glucosio (CGM) durante l’attività fisica in bambini con diagnosi di diabete mellito di tipo 1 di età compresa tra 8 e 12 anni.

Si tratta di uno studio pilota, crossover, randomizzato in cui i partecipanti hanno svolto una attività sportiva organizzata in due occasioni, a due settimane di distanza. Durante l’attività fisica essi hanno aderito ad un algoritmo di assunzione dei carboidrati basato sul trend del monitoraggio in continuo del glucosio (braccio intervento) o ad un protocollo in cui i livelli di glucosio nel sangue sono stati controllati ogni 30 minuti e i carboidrati sono stati somministrati secondo le linee guida standard per l’esercizio fisico (braccio controllo).

Hanno completato lo studio 14 bambini ed è emerso come nel braccio intervento si siano verificati un minor numero di eventi di assunzione di carboidrati durante lo svolgimento della prova e un numero inferiore di interruzioni dell’attività sportiva rispetto al braccio controllo. Non si sono verificate ipoglicemie significative e non si è evidenziata una differenza di percentuale di “time in range” di glicemia tra i due gruppi.

Lo studio, nonostante le dimensioni ridotte del campione, mostra come l’utilizzo dell’algoritmo descritto rappresenti una interessante possibilità per ridurre il carico della gestione del diabete mellito di tipo 1 con l’obiettivo di facilitare l’attività sportiva nei bambini con tale patologia.

Le evidenze scientifiche e le indicazioni riguardo lo svolgimento dell’attività fisica nei pazienti con diabete di tipo 1 sono ancora limitate. L’attività sportiva viene spesso affrontata con timore dai bambini affetti e dai loro familiari per paura di uno scarso controllo metabolico. Per tale motivo, il paziente è portato ad eseguire controlli ravvicinati della glicemia con integrazioni frequenti di carboidrati durante l’esercizio e, non di rado, a sospendere lo sport. L’algoritmo proposto può rappresentare pertanto una valida opportunità per ridurre il numero di interruzioni dell’attività sportiva, mantenendo un basso rischio di ipoglicemia o crisi iperglicemiche, e per migliorare quindi il grado di soddisfazione del paziente favorendo lo svolgimento dell’attività fisica con maggiore serenità.

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Schierloh U, Wilinska ME, Pit-Ten Cate IM, Baumann P, Hovorka R, De Beaufort C, Spidiman Study Group: Single Port Insulin Infusion for Improved Diabetes Management. Lower plasma insulin levels during overnight closed-loop in school children with type 1 diabetes: Potential advantage? A randomized cross-over trial. PLoS One. 2019 Mar 8;14(3):e0212013. doi: 10.1371/journal.pone.0212013. eCollection 2019.

In questo studio gli autori hanno voluto confrontare l’efficacia del sistema di erogazione di insulina “ad ansa chiusa” rispetto a quello “ad ansa aperta” durante le ore notturne valutando non solo i valori di glicemia e di percentuale di “time in range” di glucosio ma anche la quantità di insulina erogata e i livelli di insulinemia in bambini con diabete di tipo 1. La maggior parte degli studi presenti in letteratura ha infatti confrontato l’efficacia dei due sistemi di trattamento focalizzandosi sulla percentuale di “time in range” della glicemia e sui valori di HbA1c, non riportando dati riguardo ai livelli di insulina sierica.

Sono stati arruolati 15 bambini di età compresa tra 6 e 12 anni con esordio di diabete di tipo 1 ed in terapia con microinfusore da almeno 6 mesi, con valori di HbA1c <11%.

Il disegno dello studio era di tipo cross-over, randomizzato per cui tutti i partecipanti hanno ricevuto un trattamento che comprendeva la somministrazione di insulina con sistema “ad ansa chiusa” (Florence D2 closed-loop system) e “ad ansa aperta” in due degenze ospedaliere di 1 notte ciascuna. Per ogni paziente sono stati prelevati campioni seriati per glicemia ed insulinemia durante la notte a frequenza oraria. Sono stati inoltre riportati i dati relativi all’andamento glicemico e alle dosi di insulina somministrate.

Dai dati raccolti è emerso come le dosi di insulina erogate e i livelli di insulina plasmatica con il sistema “ad ansa chiusa” fossero significativamente inferiori rispetto al circuito “ad ansa aperta”, senza influire sui livelli di glucosio, sulla percentuale di “time in range” della glicemia e sulla frequenza di iperglicemie ed ipoglicemie severe.

I risultati relativi all’insulina somministrata e ai valori di insulinemia possono rappresentare un elemento importante nella gestione metabolica del bambino con diabete mellito di tipo 1. Infatti, sebbene il raggiungimento della normoglicemia sia uno dei principali obiettivi il tali pazienti, il trattamento intensivo è spesso associato ad alte dosi di insulina con un rischio di un aumento di peso e obesità. Nonostante il numero limitato di partecipanti e le scarse evidenze riportate in letteratura rispetto agli effetti a lungo termine dell’iperinsulinemia sull'outcome dei pazienti con diabete di tipo 1, questo studio offre uno spunto interessante nella valutazione dell’efficacia e della sicurezza dei due sistemi di erogazione di insulina confrontati.

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