HIGHLIGHT DAL CONVEGNO: Iperplasia surrenalica congenita
Tra tutti i simposi proposti dall'ESPE, una delle sessioni più interessanti e seguite è stata quella sulla iperplasia surrenalica congenita (CAH), la cui diagnosi e gestione sono ancora “difficili” soprattutto per il pediatra, come dimostrato dai dati riportati da Anna Nordenström (Stoccolma, Svezia) del registro svedese di malattia (che comprende più di 500 casi di CAH). La mortalità in questa popolazione resta ancora più di due volte superiore alla popolazione generale, sia per i maschi che per le femmine, e la crisi surrenalica ne è la causa in più del 40% dei casi, nonostante le campagne educative condotte tra i pazienti e i loro curanti per migliorarne la gestione.
La sessione è proseguita con l'intervento di Richard Auchus della University of Michigan (Michignan, USA) che ci ha illustrato i risultati di due trial clinici volti a valutare gli effetti di un inibitore del CYP17A1 (l’abiraterone acetato) e di un antagonista del recettore per il CRF rispettivamente in due popolazioni di 6 ed 8 donne con CAH classica ed iperandrogenismo. L’abiraterone determina una normalizzazione dei livelli di androstenedione in tutte le partecipanti, mentre nel secondo trial la metà dei soggetti mostra una riduzione nei livelli di ACTH e 17OH progesterone.
Questi due trial, seppure condotti su una piccola popolazione, mettono in campo la possibilità concreta di utilizzare “altri farmaci”, oltre alla terapia con gluocorticoidi, per ripristinare il difficile equilibrio della CAH, che si gioca tra ipercortisolismo iatrogeno ed iperandrogenismo non trattato… con tutte le conseguenze che conosciamo.
Richard Ross (Sheffield, UK) ci ha poi portato a riflettere su un altro complesso aspetto della terapia della CAH, che sta particolarmente a cuore al pediatra endocrinologo. C’è un’alternativa “più fisiologica” per adattare le piccole dosi di idrocortisone di cui hanno bisogno i nostri pazienti?
La domanda ha inevitabilmente portato a ricordare che altri pediatri (diabetologi) se l’erano fatta ormai qualche decennio fa, per adattare la terapia insulinica: il risultato fu che un farmaco tradizionalmente somministrato sottocute con un’iniezione poteva essere in maniera più fisiologica utilizzato con una “pompa” capace di somministrare delle microdosi continue e modulabili durante la giornata –Così nasceva il primo microinfusore… NEJM 1979!
Suona come un déjà vu la stessa domanda per l’idrocortisone? Ma è necessario farsela? Se l’outcome dei pazienti con CAH resta subottimale, come ci ha raccontato Anna Nordenstrom, forse sì. È ancora necessario ottimizzare la nostra capacità di trattare i pazienti con CAH. È così che Richard Ross ci illustra i nuovi sistemi per la somministrazione di idrocortisone in pompa sottocute (microinfusore), l’Infacort® (capsule contenenti idrocortisone multi-particolato) con un ottima palatabilità (“taste masking”) pensato per l’utilizzo nel neonato e nel bambino più piccolo. E in ultimo ci riporta i risultati di un trial di fase II con Chronocort (idrocortisone a rilascio modificato) che migliora l’iperandrogenismo nei pazienti con CAH adulti.