"Cancer is HOT, diabetes is NOT": la pandemia silenziosa
Spesso senza una clinica chiaramente “manifesta” all’esterno, il diabete ormai ha raggiunto lo status di vera e propria pandemia. Silenziosa, ma non per questo meno grave, questa malattia purtroppo è ancora ampiamente sottovalutata rispetto ad altre gravi condizioni a decorso più o meno lungo e con maggior risonanza (HIV, neoplasie, virus Zika). È cosi quindi che con la esclamazione “Cancer is HOT, diabetes is NOT”, Desmond Schatz, attuale presidente dell’American Diabetes Association, apre la plenaria introduttiva del meeting ISPAD di Valencia.
L’incidenza mondiale del diabete raddoppia ogni 20 anni, ed il 20-50% delle nuove diagnosi in età adolescenziale è da ricondurre al DM di Tipo 2. Addirittura, in paesi come Giappone e Taiwan l’incidenza del Tipo 2 tra gli adolescenti supera quella del Tipo 1. In continuo aumento anche la prevalenza delle chetoacidosi nei DM1 all’esordio (il 29,9% dei DM1 esordisce con una DKA e tale valore arriva a 36,2% nei bambini con età <3anni).
Quindi, se da un lato la riduzione del tasso di morbilità e mortalità (5 milioni di decessi nel 2015) sembrerebbe essere una buona notizia, dall’altro l’aumento della prevalenza è sicuramente un fattore poco rassicurante. Più anni con diabete implicano un tasso maggiore di complicanze e un aumento complessivo dei costi sanitari da destinare a tale patologia (12% della spesa sanitaria globale nell’anno 2015).
Per fare fronte a questa pandemia, la parola d’ordine per una cura migliore è senz'altro “prevenzione”, ma come prevenire efficacemente? È fondamentale attribuire al diabete la giusta importanza, percepirne innanzitutto il “senso d’urgenza” e facendo “uscire il diabete dall’invisibilità”, al fine di instaurare le premesse ad una più corretta strategia d’approccio. Fondamentali sono: una miglior allocazione delle risorse (intesa come un miglioramento dell’accesso alle cure, ma anche come un aumento dei fondi governativi da destinare alla ricerca), un corretto processo educativo (fondato su un approccio multidisciplinare e su un valido training dei caregiver), valorizzazione della ricerca e le sue potenzialità (maggior collaborazione a livello internazionale, data sharing, creazione/aggiornamento di registri con possibilità di mettere a confronto anche gli outcome terapeutici…). Ad incoraggiarci in questo lungo ed impegnativo percorso, Schatz conclude la sua stimolante presentazione con una riflessione di Confucio: “Quando ormai è ovvio, scontato che un obiettivo non possa essere raggiunto, non cambiare obiettivo ma solo i passi necessari per renderlo realizzabile”. Non ci resta quindi che cogliere questa perla di saggezza e scegliere i passi per nostro cammino! F.O.