20/2018

A cura di: Giorgia Pepe (Messina) e Marco Marigliano (Verona)

Sophie Moniez, Catherine Pienkowski, Benoit Lepage, Safouane Hamdi, Myriam Daudin, Isabelle Oliver, Béatrice Jouret, Audrey Cartault, Gwenaelle Diene, Alain Verloes, Hélène Cavé, Jean-Pierre Salles, Maithé Tauber, Armelle Yart and Thomas Edouard. Noonan syndrome males display Sertoli cell-specific primary testicular insufficiency. Eur J Endocrinol. 2018 Dec 1;179(6):409-418. doi: 10.1530/EJE-18-0582.

Background: la sindrome di Noonan (NS) può associarsi con alterazioni della funzione gonadica in entrambi i sessi, con pubertà spesso ritardata e spurt puberale ridotto. Nelle femmine la fertilità non sembra compromessa, mentre nei maschi è riportata una insufficiente funzione spermatogenetica, e ciò contribuirebbe a spiegare la prevalente trasmissione materna della sindrome.

Il gene PTNP11, implicato in più del 50% delle mutazioni NS, svolge un ruolo critico nella regolazione della spermatogenesi ed è espresso dalle cellule di Sertoli e dalle cellule germinali.

Obiettivi: valutare l’evoluzione della funzione gonadica dall’infanzia all’età adulta in pazienti maschi con NS.

Disegno: retrospettivo.

Metodi: sono stati reclutati 37 ragazzi con diagnosi geneticamente confermata di NS (genotipi PTPN11, SOS1, RAF1, KRAS) per un follow-up medio di 2.9 anni ed età media all’ultima visita di 11.1 anni. Sono stati esaminati: genotipo, storia personale (cardiopatia congenita, criptorchidismo), altezza, BMI, stadio puberale, livelli sierici di FSH, LH, testosterone, ormone antimulleriano (AMH), inibina B.

Outcome principali: l’età media all’avvio della pubertà era ritardata di circa 2 anni rispetto alla popolazione di riferimento (13.5 vs 11.7 anni) ed inversamente proporzionale al BMI. In età puberale, i valori di testosterone erano nella norma, indice di una normale funzionalità delle cellule di Leydig; AMH e inibina B erano ridotti, con livelli nettamente più bassi nei pazienti con mutazione PTNP11, suggerendo una disfunzione delle cellule di Sertoli. Non è emersa alcuna differenza significativa nei livelli di AMH e inibina B tra i pazienti con criptorchidismo. In 4 pazienti (tutti con genotipo PTNP11), è stato riscontrato un ipogonadismo ipergonadotropo con azoospermia.

Conclusioni: nei maschi con NS, l’insufficienza testicolare è a carico della componente tubulare del Sertoli, mentre la funzionalità delle cellule di Leydig sembra essere conservata.

Commento: lo studio ha il merito di indagare la funzione gonadica in un’ampia casistica di pazienti con NS; mancano in letteratura dati in età pediatrica ed adolescenziale. L’aspetto più interessante è il tentativo di fornire una correlazione genotipo-fenotipo che, sebbene sia stata già descritta per alterazioni cardiache, auxologiche ed ematologiche della sindrome, non era mai stata studiata nell’ambito delle disfunzioni gonadiche.

PER VISUALIZZARE L’ABSTRACT CLICCA SU QUESTO LINK

 

Lauren Kanner, Julie C.E. Hakim, Christina Davis Kankanamge, Vrunda Patel, Vivian Yu, Emily Podany, Veronica Gomez-Lobo. Noncytotoxic-Related Primary Ovarian Insufficiency in Adolescents: Multicenter Case Series and Review. J Pediatr Adolesc Gynecol. 2018 Dec;31(6):597-604. doi: 10.1016/j.jpag.2018.06.006.

 Background: la più comune causa di insufficienza ovarica primaria (POI) nelle adolescenti è rappresentata dalle terapie gonadotossiche (chemio o radioterapia con irradiazione pelvica). L’eziologia della POI è stata ampiamente studiata nella donne adulte; sono pochi, invece, i dati disponibili in età adolescenziale relativamente a cause non iatrogene.

Obiettivi: definire l’eziologia della POI in una casistica di pazienti adolescenti al fine di migliorarne l’approccio diagnostico, la gestione ed il trattamento.

Disegno: multicentrico descrittivo.

Metodi: sono state reclutate 135 pazienti di età compresa tra 13 e 21 anni, afferenti a 6 centri americani di 3° livello, con diagnosi di POI (definita come amenorrea primaria o secondaria per 3 mesi consecutivi, con FSH>40mUI/ml in due determinazioni distanziate di almeno un mese). Dalla popolazione totale sono state escluse: 52 pazienti sottoposte a pregressa terapia gonadotossica, 7 pazienti con cariotipo 46 XY, 19 pazienti che non hanno soddisfatto i criteri di POI (normale FSH con oligomenorrea, ritardata comparsa del menarca, ipogonadismo ipogonadotropo, etc.).

Outcome principali: nel gruppo delle 57 pazienti con POI non citotossica: 16 pazienti avevano un cariotipo compatibile con sindrome di Turner, 4 pazienti presentavano mutazioni a carico del cromosoma X, 2 pazienti sono risultate affette da galattosemia; nei restanti 39 casi la POI è stata definita idiopatica (ma non tutte le pazienti hanno ricevuto una valutazione eziologica completa).

Conclusioni: la POI non citotossica è una condizione rara nell’adolescenza; l’eziologia nota più frequente è rappresentata dalle aberrazioni cromosomiche e dalla galattosemia. Una migliore comprensione dell’eziologia della POI, oltre ad evitare ritardi nella diagnosi, può consentire un adeguato management ed un approccio terapeutico mirato a prevenire i rischi connessi all’ipoestrogenismo ed a preservare la fertilità futura. Gli autori ribadiscono l’importanza di un follow-up standardizzato in queste pazienti, che spesso differisce da quello previsto per l’età adulta.

Commento: il principale punto di forza dello studio sta nell’aver reclutato la più ampia popolazione di adolescenti con POI mai descritta in letteratura. Tuttavia, molte pazienti con POI idiopatica non sono state sottoposte ad una valutazione eziologica completa.

PER VISUALIZZARE L’ABSTRACT CLICCA SU QUESTO LINK

 

Mark A Atkinson, Bart O Roep, Amanda Posgai, Daniel C S Wheeler, Mark Peakman. Type 1 diabetes and immune-based therapies 1. The challenge of modulating β-cell autoimmunity in type 1 diabetes. Lancet Diabetes Endocrinol; October 24, 2018 http://dx.doi.org/10.1016/ S2213-8587(18)30112-8

L’articolo, che fa parte delle Document Series di Lancet Diabetes and Endocrinology, cerca, attraverso un’interessante review, di fare il punto sulla situazione attuale della immuno-terapia nel Diabete Mellito di Tipo 1 (DMT1), in particolare sulla sfida della modulazione dell’immunità beta-cellulare.

Da quando il DMT1 è stato identificato come malattia autoimmune, circa 40 anni fa, è emersa la speranza che presto sarebbero state disponibili terapie di immuno-modulazione per prevenire e per curare il DMT1. Tuttavia, nonostante i numerosi studi clinici sperimentali che hanno provato a dare una risposta, la promessa rimane insoddisfatta. Tra i molteplici motivi di tali fallimenti possiamo sicuramente annoverare: l’eterogeneità del DMT1, l’utilizzo di modelli sperimentali animali inadeguati, l’incapacità a valutare il contributo immunologico e metabolico della malattia, il disegno sub-ottimale degli studi sperimentali e la mancanza di una chiara comprensione dei meccanismi immuno-patologici del DMT1. In questa review gli autori illustrano come i recenti risultati nel campo della immuno-modulazione beta-cellulare in combinazione con i dati derivanti dagli studi clinici, forniscano un cauto ottimismo sulla possibilità, in un prossimo futuro, di utilizzare nella pratica clinica terapie immunologiche per la prevenzione della perdita di cellule β nei pazienti con DMT1. In particolare gli autori sottolineano i seguenti punti principali:

 

  • Trials su terapie non-antigene-specifiche per il DMT1: sono studi che hanno come target principali l’immuno-modulazione, le citochine e l’anti-infiammazione e la vitamina D, così come la terapia cellulare. Attualmente, sono in corso 58 studi di immunoterapia non antigene-specifiche per il DMT1 che stanno attivamente arruolando pazienti i cui risultati sono attesi nei prossimi anni.
  • Il fallimento nel raggiungere gli obiettivi principali degli studi e quindi nell’introdurre l’immuno-terapia nella pratica clinica, può essere dovuto soprattutto ad una serie di ipotesi errate e a scarsa conoscenza su: possibili sottocategorie eziologiche di DMT1; gli effetti potenziali di fattori ambientali, temporali, demografici o geografici; meccanismi e modelli di perdita di funzione o di massa beta cellulare; la incapacità di quantificare in maniera adeguata la massa β-cellulare funzionante e non nei pazienti in vita;  la capacità delle cellule β residue di compensare la diminuzione della funzione o della massa beta cellulare prima dello sviluppo del DMT1; e infine la necessità di effettuare un intervento terapeutico molto precoce per prevenire la progressione del DMT1 dallo stato di positività multi-anticorpale (Stadio 1) al quadro di disglicemia (Stadio 2).
  • Alcuni dei punti fondamentali per provare a migliorare la riuscita dei trials di immuno-terapia possono includere: l'uso di dati meccanicistici per lo sviluppo degli studi e per selezionare gli elementi e i fattori più efficaci; la valutazione dei risultati di trials su dati meccanicistici; l’effetto potenziale di terapie combinate; un trattamento specifico basato sulle caratteristiche dello stadio di malattia, definito in base all’analisi di dati genetici, immunologici e metabolici; procedure standardizzate e pianificazione di studi coordinati globalmente; allargamento dei trials alla popolazione sana generale e non solamente a parenti dei pazienti con DMT1; sviluppo di protocolli che affrontino l'eterogeneità della malattia; sviluppo di trials che sappiano modularsi e adattarsi nel corso dello sviluppo.
  • Negli studi futuri, l’attenzione dovrà essere posta soprattutto sui risultati clinici più vicini al paziente, come ad esempio l’aumento della secrezione del C-peptide per un lungo periodo (mesi/anni) in alcune sottocategorie di pazienti, piuttosto che su esiti affascinanti ma spesso non raggiungibili come la remissione e la cura definitiva del DMT1.

 

L’articolo presenta tutti i principali studi sperimentali su immunomodulazione e immunoterapia nel DMT1 che hanno da poco concluso o che termineranno nel corso dei prossimi 3-4 anni la raccolta dei dati. La situazione che viene descritta e sottolineata dagli Autori è quella di un cauto ottimismo ma ci fa focalizzare anche su obiettivi più raggiungibili che possano concretamente migliorare aspettativa e qualità di vita dei pazienti con DMT1.

PER VISUALIZZARE L’ABSTRACT CLICCA SU QUESTO LINK

 

Halis Kaan Akturk, MD, Janet K. Snell-Bergeon, PhD, Amanda Rewers, MD, Leslie J. Klaff, MD, Bruce W. Bode, MD, Anne L. Peters, MD, Timothy S. Bailey, MD, and Satish K. Garg, MD. Improved Postprandial Glucose with Inhaled Technosphere Insulin Compared with Insulin Aspart in Patients with Type 1 Diabetes on Multiple Daily Injections: The STAT Study. Diabetes Technology & Therapeutics Volume 20, Number 10, 2018 Mary Ann Liebert, Inc. DOI: 10.1089/dia.2018.0200

In questo articolo gli autori hanno voluto verificare l’efficacia dell’insulina inalatoria (Technosphere insulin, TI) nel controllo della glicemia post-prandiale [time-in-range (TIR) 70-180 mg/dl ed escursioni glicemiche post-prandiali a 1-4 ore] in un gruppo di pazienti con Diabete Mellito Tipo 1 (DMT1) in terapia insulinica multi iniettiva (MDI), rispetto alla tradizionale terapia iniettiva con l’analogo rapido dell’insulina umana (insulina aspart).

 

Disegno dello studio

Si tratta di uno studio multicentrico, randomizzato, open-label, in cui sono stati arruolati 60 pazienti adulti con DMT1, con controllo metabolico variabile (HbA1c compresa tra 6.5% e 10%). I pazienti sono stati assegnati in maniera casuale al gruppo di trattamento con insulina inalatoria (TI) (26) o al gruppo di trattamento tradizionale (MDI) con insulina aspart (34), stratificati in base al livello di controllo glicometabolico (HbA1c £ o > a 8.0%). Tutti i pazienti hanno utilizzato un sensore in continuo per il glucosio (CGM) per tutta la durata dello studio. I pazienti del gruppo di trattamento TI potevano assumere inalazioni supplementari di insulina a 1 o 2 ore dal pasto in base all’andamento glicemico post-prandiale (PPG) (vedi Tab.2).

Risultati

L’analisi statistica del campione totale di partecipanti allo studio (pazienti in trattamento con insulina inalatoria TI VS pazienti che utilizzavano terapia MDI tradizionale) ha mostrato un TIR comparabile tra i due gruppi con un minor tempo trascorso in ipoglicemia per i pazienti trattati con insulina inalatoria (p <0.05). Inoltre, analizzando i dati del gruppo di pazienti TI che si erano attenuti maggiormente al protocollo (cioè quelli che hanno somministrato con regolarità i supplementi d’insulina inalatoria a 1 o 2 ore dal pasto), i risultati erano ancora migliori: TIR superiore (62.5% ±2.6% vs 53.8% ±1.7%, P = 0.009) e il tempo passato in iperglicemia (> 180 mg/dl) inferiore (34,2% ±2,7 % vs 41,0% ±1,7%, P = 0.045) rispetto al gruppo trattato con aspart. L’escursione glicemica post-prandiale era inferiore nel gruppo di pazienti TI a 60 e 90 minuti e si è osservato una aumento ponderale nel gruppo in trattamento con aspart e un calo ponderale nel gruppo in trattamento con TI (nonostante la più alta dose insulinica prandiale complessiva).

Conclusioni

Gli autori concludono affermando che in pazienti adulti con DMT1 l’utilizzo appropriato di insulina inalatoria (TI) ai pasti, cioè utilizzando i dosaggi supplementari secondo il protocollo previsto, rispetto alla terapia tradizionale MDI, migliora il controllo glicemico post-prandiale (TIR e controllo a 1-4 ore) senza un aumento del tempo passato in ipoglicemia o aumento ponderale.

Lo STAT study afferma in maniera chiara che l’insulina inalatoria è efficace nel controllo della glicemia post-prandiale in soggetti con DMT1 e la TI potrebbe diventare un’opzione terapeutica. Sono necessari ulteriori studi RCT con un maggior numero di pazienti partecipanti, per verificare l’efficacia di questa insulina a lungo termine e per valutare l’incidenza di potenziali effetti collaterali dell’insulina inalatoria.

PER VISUALIZZARE L’ABSTRACT CLICCA SU QUESTO LINK